Dall'inizio del 900 gli addetti ai lavori, per aumentare un'audience non altissima, ricorrono all'effetto choc e alla provocazione fini a se stessi, così da interessare più persone che, stupite o scandalizzate, tendono a farsi un'opinione. Negli ultimi decenni ne abbiamo viste di tutti i colori: corpi mozzati, amplessi, ritratti di criminali, rane crocefisse, esibizioni di cadaveri, rifiuti trattati con afflato poetico. Siamo talmente abituati all'effettaccio grand-guignolesco che nulla ci turba più di tanto. Questa volta però Christian Jankowski, artista-curatore della nuova Manifesta la biennale d'arte europea itinerante allestita sempre in città diverse (nel 2016 è a Zurigo, la prossima sarà a Palermo) - ha escogitato il coup de théâtre più clamoroso di cui molto si sta discutendo, decidendo di ospitare l'installazione del collega americano Mike Bouchet.
In apparenza è una stanza sigillata che contiene una gigantesca installazione marrone. Potrebbe essere fatta di terra, oppure l'enorme riproposta di un cretto alla Burri, o ancora un'opera di Land Art riportata all'interno del museo. Invece no: la distesa che ci troviamo di fronte è stata realizzata assemblando e trattando chimicamente 80mila chili di merda umana, autoctona per giunta perché prodotta da un bel gruppo di volontari abitanti in Svizzera. Non si può entrare per non venire contaminati da un odore che pensiamo devastante e schifoso, ma ugualmente ai visitatori vengono rilasciati deodoranti: non si sa mai. Con The Zurich Load, questo il titolo dell'installazione di Bouchet, forse l'arte è arrivata a un punto di non ritorno. La cacca un tempo era rinchiusa nelle celebri scatolette di Piero Manzoni, e leggenda vuole che qualcuno abbia tentato di aprirle ai fini di verificarne il contenuto. Prima di lui c'era stato il celebre Fountain di Marcel Duchamp, peraltro ripreso in versione dorata negli anni '80 dall'americana Sherrie Levine, ma lì si trattava di un forte gesto che avrebbe decretato per sempre l'affermarsi del contesto nella lettura dell'opera d'arte. Più di recente il pittore angloafricano Chris Ofili, uno che tra l'altro ha vinto il Turner Prize, appoggiava i suoi quadri blasfemi contro l'icona della Santa Vergine Maria su enormi escrementi appallottolati di elefante, a sottolineare il difficile rapporto tra la cultura indigena e quella acquisita. E non poteva non toccare a Maurizio Cattelan, altro esperto nel far parlare di sé: un gabinetto in oro 18 carati, perfettamente funzionante, andrà collocato nelle toilette del Guggenheim Museum a New York e il pubblico, tra una mostra e l'altra, potrà deporre i propri bisogni come in un cesso normale, così che si completerà la mimesi tra arte e vita.
La verità è che oggi gran parte dell'arte contemporanea si guarda come un film porno, ossessionati dal proibito, dalla stranezza, dall'anomalia, dall'oscenità finalmente rimessa in scena: se la Merda d'artista, nel suo piccolo, poteva rappresentare un gesto di autoerotismo, The Zurich Load è una gigantesca orgia in cui non c'è limite alle preferenze sessuali e il pudore un concetto che non esiste più. In barba a chi si fa la fila, sgomitando, davanti alla Gioconda per raccoglierne il sorriso, pensiamo a frotte di art addicted a schiacciare il naso sul vetro mentre, dall'altra parte, milioni di stronzi giacciono immobili, compressi in un rettangolo minimalista. C'è gente che dalla fiera di Basilea si farà altri chilometri per poter dire "sì, l'ho visto anche io". Se l'arte un tempo era condivisione e ricerca dell'utopia, oggi non risulta altro che un gigantesco peep show, metafora di una condizione straziante e disperata di un'arte che non sa altro che raccontare macerie.
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