NON erano ancora arrivati i primi soccorsi nei comuni colpiti dal terremoto, una settimana fa, e già il tam tam sui social network indicava drastiche scelte: “mandiamo gli sfollati negli hotel occupati dai profughi, e loro nelle tende”, stabiliva stringenti misurazioni: “la magnitudo è del 6.2 e non del 6.0 come dice l’istituto di geofisica, vogliono fregare i terremotati”, imponeva di riporre i portafogli: “non versiamo un euro per le sottoscrizioni, perché tutto finisce alle banche e non alle popolazioni”, suggeriva fondi alternativi: “si incameri il jackpot del superenalotto e lo si devolva alle vittime del sisma”. Orrori, assurdità, bufale assolutamente ininfluenti sulle scelte pratiche dell’emergenza, ma devastanti per il confronto non solo virtuale nell’opinione pubblica.
E a lungo andare pericolosi per molti aspetti. Pensate solo alla raccolta di solidarietà: se si instilla il sospetto che i fondi costituiti dalle donazioni possano finire in tutto o in parte in altre tasche che non siano quelle delle popolazioni colpite dal terremoto, quanti diranno: “allora non verso un euro”.
MA non c’è solo questo. Se si insinua che l’intensità del terremoto è stata diminuita nella sua misurazione, così da permettere allo Stato di non rifondere i danni umani e materiali, si instilla una sfiducia totale nelle istituzioni scientifiche, disponibili a una simile abominevole operazione, e nel governo del paese, pronto a tutto pur di favorire lobbies assicurative e camarille sulla pelle di popolazioni messe in ginocchio dal sisma. Ecco: c’è chi ha creduto a tutto questo, e se ne è fatto tramite per diffondere una “controverità” sul web, nella doppia illusione di smascherare un potere empio e fare informazione alternativa. Il che ha anche prodotto un effetto collaterale per tutti noi che facciamo il mestiere di dare le notizie: di trovarci schiacciati nella difesa di istituzioni che magari qualche altra magagna nascondono o hanno nascosto, e che queste bombe fuori bersaglio impediranno di scoprire. Ma il fenomeno porta a due osservazioni di fondo: la prima è che la crisi economica e sociale ha intaccato quel tessuto di umanità e di solidarietà che sempre scattava per disgrazie simili. Ci siamo induriti, fino a infilare di peso la questione controversa dei migranti in una tragedia che con il problema profughi non c’entra nulla, anche perché nessuno sfollato accetterebbe di lasciare la zona del suo paese per un hotel della costa, e più in generale non sente nessuna fretta di tornare sotto un tetto di mattoni.
SOLO chi non conosce il dramma dei terremoti non capisce quanto le genti vogliano restare aggrappate al loro territorio. E quando sarà freddo posti in albergo ce ne saranno in abbondanza,e sperabilmente anche costruzioni provvisorie nell’area colpita. Ma c’è anche un’altra osservazione più allarmata: c’è qualcuno che mentre il terremoto era ancora avvolto dal buio della notte già avvelenava i pozzi di Internet, contando sul disagio, su rancori vecchi e nuovi, sulla credulità popolare. Qualcuno pronto a sfornare finti dati, finte leggi, realtà controfattuali. Falsari del web in servizio permanente effettivo, spacciatori di bufale tossiche. Qui non siamo di fronte al solito balletto di dure propagande incrociate: pdioti contro grullini contro felpisti. Qui c’è altro, di più oscuro e insidioso. Le persone perbene possono fare due cose, opposte: lasciare i social al flusso dell’odio, o starci attivamente per difendere le ragioni della ragione.
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