La rivista Nature dedica la copertina a un nuovo farmaco che sarebbe in grado di ridurre in modo significativo l’accumulo di proteina beta-amiloide nel cervello, una proteina che è considerata causa delle demenze e dell’Alzheimer (che a oggi non hanno cure). Secondo lo studio appena pubblicato i pazienti trattati avrebbero mostrato segni di rallentamento del declino cognitivo.
La sperimentazione
Il farmaco in questione si chiama aducanumab, ed è un anticorpo monoclonale (sviluppato dalla statunitense Biogen) che «insegna» al sistema immunitario a riconoscere le placche. Il medicinale è stato testato su un gruppo di 165 persone con Alzheimer moderato, metà delle quali ha ricevuto una infusione settimanale, mentre gli altri hanno avuto un placebo. Chi ha ricevuto il principio attivo ha mostrato una progressiva riduzione delle placche, spiegano gli autori, mentre per chi ha ricevuto il placebo la situazione è rimasta invariata. «Dopo un anno - sottolinea Roger Nitsch dell’università di Zurigo, che definisce i risultati `incoraggianti´ - le placche sono quasi completamente scomparse». Inoltre, chi ha ricevuto dosi più alte del farmaco ha anche avuto maggiore riduzione delle placche (misurate con la Pet).
Studio incoraggiante, ma serve cautela
«Valuto questo studio molto importante e incoraggiante - commenta Marco Trabucchi, presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria e direttore scientifico del Gruppo di ricerca Geriatria di Brescia- e ho l’impressione che, con le dovute cautele, ci stiamo avvicinando a una soluzione concreta per curare l’Alzheimer. È stato dimostrato che il farmaco riduce l’amiloide nel cervello, ma non sempre si sono visti gli effetti clinici. In questo caso sia nell’animale sia nell’uomo anticorpo monoclonale si lega alla betamiloide e ne produce una riduzione. La novità è che anche se in condizioni sperimentali e molto precarie si è vista oltre alla riduzione delle placche anche la riduzione dei sintomi. È decisamente passo in avanti».
Nuovo trial su 2700 persone
Lo studio di fase 1 non doveva verificare l’efficacia nel diminuire i sintomi, sottolineano gli autori, ma comunque una diminuzione del declino cognitivo, dipendente dalla dose ricevuta, è stata trovata in chi aveva preso il farmaco. Dal punto di vista della sicurezza, sottolineano gli autori, sono stati trovati problemi nei pazienti con una particolare variante genetica, che hanno avuto un accumulo di fluidi nel cervello che in qualche caso ha portato a forti emicranie e alla sospensione. Gli effetti collaterali non sono però stati giudicati gravi, tanto che dopo i risultati incoraggianti i la sperimentazione andrà avanti: è ora previsto un trial (fase III) su 2700 pazienti affetti da forme lievi o moderate di Alzheimer. Lo studio si dovrebbe concludere entro la fine del decennio e se tutto procederà senza imprevisti una nuova terapia potrebbe arrivare entro il 2020.
Scienziati prudenti
Anche se Nature ha presentato lo studio in toni trionfalistici la cautela è d’obbligo. Anche perché sono molti i farmaci sperimentati contro l’Alzheimer che si sono rivelati promettenti nelle prime fasi ma che in un secondo momento sono stati dei fallimenti. «Spero che i trial clinici di fase III (quelli in cui si verifica l’efficacia di una terapia su un numero ampio di persone, ndr) siano un successo, ma ho una sensazione di dèja vu», ha dichiarato Gordon Wilcock, professore all’università di Oxford. Prudente anche il neurologo Sandro Iannaccone, primario della neuroriabilitazione del San Raffaele di Milano dove è in corso una parte della sperimentazione del farmaco: «L’educanubab è efficace nel ridurre gli accumuli, ma al momento non è ancora chiaro se riduca anche i sintomi, cioé se sia in grado di contrastare la demenza e sia efficace a livello di memoria». Gli stessi autori, pur entusiasti, invitano alla cautela. La scomparsa delle placche non è ancora una prova di efficacia, sottolinea in un editoriale di accompagnamento Eric Reiman del Banner Alzheimer’s Institute. «Secondo alcuni ricercatori le placche sono un effetto, non una causa del declino - scrive -. Se il suo rallentamento verrà confermato da studi più ampi ci saranno indicazioni utili anche a risolvere questo dubbio».
Il farmaco
L’aducanumab è un anticorpo umano, isolato in persone sane che avevano mostrato una particolare resistenza al declino cognitivo, mentre i suoi livelli erano molto bassi negli anziani colpiti da Alzheimer. Per questo i ricercatori hanno intuito che l’anticorpo potesse avere un ruolo protettivo. Lo sviluppo dell’anticorpo come terapia e la sua successiva sperimentazione si basano su questo principio. Nel giro di poco si dovrebbe scoprire se è corretto
1 settembre 2016 (modifica il 1 settembre 2016 | 15:42)
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