Nell'homo sapiens la disposizione a capire il prossimo,
accettarne le diversità e a cooperare oltre i legami familiari, emerse per
proteggersi dai predatori e per facilitare la caccia. La cooperazione
extrafamiliare fu decisiva per imporre la supremazia umana nella competizione
evolutiva fra le speci, nonostante la gracilità, la lentezza e la debolezza
dell'uomo. L'uomo è, più di qualsiasi altro essere vivente, un animale sociale.
Il cervello umano crea e seleziona i processi nervosi della convivenza. Sperimentalmente
si è visto (R.J.Davidson, B.S.McEwen) che i comportamenti sociali sono i più
efficaci nell'indurre modificazioni strutturali della corteccia cerebrale dei
primati e dell'uomo. Grazie alla plasticità della corteccia cerebrale, gli
eventi nervosi della convivenza determinano sia i rapporti sociali che le loro
trasformazioni nel tempo. Le neuroscienze hanno trascurato a lungo i meccanismi
nervosi della socialità umana, soprattutto per la difficoltà a studiare eventi
naturali e sociali dovuti a meccanismi cerebrali attivi da millenni e in
continua trasformazione.
Oggi la
neuroscienza sociale è una ricerca interdisciplinare in espansione. Essa
coinvolge lo studio del comportamento umano e animale, l'anatomia comparata, la
biologia evolutiva, la sociologia, la paleontologia, la genetica, la
neurofisiologia e la neuropsicologia, la diagnostica per immagini, la storia,
l'antropologia, il diritto. I suoi dati potrebbero avere nella vita sociale un
impatto più diretto di qualsiasi altra disciplina: basti pensare alle possibili
conseguenze dello studio dei meccanismi della coscienza e della volontà sulla
giurisprudenza, specie su quella penale. Nel fascicolo ora in distribuzione di
Nature Neuroscience sono pubblicati sei lavori di neuroscienze sociali e un
editoriale esemplari per la scelta dei temi, la qualità delle ricerche e la
cautela nell'interpretazione dei dati. La considerazione alla base delle
ricerche della neuroscienza sociale è che gli uomini sono l'unica specie ad
avere collegamenti di collaborazione e cooperazione stabile e strutturata con
gruppi eterogenetici più ampi di quelli familiari. Le neuroscienze sociali cercano
di individuare i meccanismi nervosi di questa particolarità, tanto più
singolare in quanto i vantaggi della socialità erano e sono messi continuamente
in pericolo dall'aggressività umana. Per J.W.Buckholtz e R.Marois la socialità
si è salvata perché fu strutturata in norme salvaguardate da sanzioni punitive
per chi le trasgrediva. Quei remotissimi eventi sono il fondamento delle varie
forme di associazionismo attuale e dei sistemi moderni della giustizia civile e
penale. È controversa l'opinione se il cervello dell'Homo sapiens abbia selezionato
per via evolutiva meccanismi nervosi specifici per norme di comportamento.
Quest'aspetto determinante della cultura potrebbe essere uno dei tanti prodotti
dall'architettura neurobiologica generale dei processi cognitivi. Gli autori
individuano i meccanismi nervosi delle norme con vantaggio sociale, della loro
accettazione e rafforzamento e della punizione di chi le viola: le aree
determinanti sarebbero nella corteccia prefrontale, nel sistema limbico (in
particolare nell'amigdala e in parte della corteccia cingolata, di cui da tempo
si conosce il ruolo nella valutazione di una ricompensa ritenuta ingiusta),
parti mediali dei lobi temporali. Gli studi dell'ultimo decennio di
neuroscienza dell'empatia, atteggiamento chiave nei rapporti umani, avrebbero
sofferto, secondo J. Zaki e K. Ochsner, dell'eccessiva valutazione dei dati
delle neuroimmagini. Il ruolo centrale degli ormoni testosterone, oxitocina e
arginina-vasopressina nella modulazione del comportamento (collaborazione e
affiliazione, sensibilità sociale, attrazione sessuale, aggressività e stati
ansiosi), nelle motivazioni e cognizioni sociali di uomini e animali è discusso
da C. McCall e T.Singer nel senso di una vera e propria neuroendocrinologia
sociale, tanto selettivi sono gli effetti degli ormoni nel comportamento,
specie nelle motivazioni. R. Davidson e B. McEwen descrivono modificazioni del
cervello in seguito ad eventi sociali positivi e negativi. Si sa da tempo che
eventi positivi e negativi nei primi anni di vita possono avere conseguenze
durature sul carattere. Le esperienze provocano modificazioni strutturali
specie dell'ippocampo e della corteccia prefrontale, cioè delle aree della
razionalità, della memoria e dell'affettività. Le esperienze negative provocano
l'aumento di volume dell'amigdala, organo della paura e dell'aggressività.
Questi dati sottolineano l'importanza dell'educazione, dell'insegnamento, della
coesione sociale per lo sviluppo di una società equilibrata. N.Eisenberger e
S.Cole confermano quest'ipotesi rilevando gli stretti rapporti fra salute
mentale e condizione fisica. Società socialmente ben connesse vivono più a
lungo e sono più resistenti a molte malattie. Le minacce alle connessioni
sociali attiverebbero gli stessi meccanismi d'allarme della sopravvivenza
individuale. A. Meyer-Lindberg e H.Tost sostengono che malattie psichiatriche
sorgono spesso su deficit sociali. Le neuroscienze avrebbero considerato questi
influssi con rischi di carattere puramente genetico. Essi sono certamente rilevanti,
ma occorre non ignorare che meccanismi senza legami genetici possono convergere
nella stessa malattia psichica, modificando la corteccia del cervello.
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