Dire qualcosa di utile sulla precarietà, in questo momento di grandi difficoltà lavorative ed economiche, risulta sempre un po' banale. Perché i problemi del lavoro toccano da vicino moltissime persone tra disoccupati, cassaintegrati, inoccupati, sottoccupati. E la precarietà è una condizione, oltre che una difficoltà sociale, che coinvolge più o meno un po' tutti, giovani e meno giovani. Contraddistingue ormai il clima delle aziende, provocando competizioni, rivendicazioni e anche, purtroppo, forme di sfruttamento. Forse di crisi se ne parla troppo, un termine che ha invaso anche il linguaggio comune. Essere in crisi è diventato un modus vivendi che coinvolge e stravolge il modo di lavorare, di fare scelte, di frequentare gli altri, di immaginare il rapporto di coppia. Di pensare la propria vita. Di (non) vedersi nel futuro. Disagio, delusione, disorientamento, demotivazione procurati dalla perdita di lavoro - o dalla possibilità di perderlo - ci immobilizzano in una condizione di impotenza, inadeguatezza, paura. Vissuti che possono farci stare male anche fisicamente. In termini tecnici si parla di sindrome da lavoro precario. In un altro senso però si può interpretare come una risposta, del tutto sana, necessaria per reagire, dispiegare le risorse di cui disponiamo per affrontare la situazione. Alcuni studi dimostrano che il precariato è correlato negativamente al benessere. Ma la precarietà non porta necessariamente disturbi di ansia o depressione. Ci sono caratteristiche personali che mediano le reazioni e giocano un ruolo fondamentale nel gestire l'impatto delle difficoltà sulla nostra vita. Come la capacità di fronteggiare gli eventi difficili, di riorganizzare l'esistenza, di saper cogliere le opportunità. Sono questi gli aspetti psicologici sui quali puntare. Non esistono tattiche e ricette che magicamente risolvono.
"L'uomo si separa dal vicino in quanto nutre sentimenti di odio e di repulsione. Così ignora una cosa: nello stesso istante ha già tagliato via se stesso dalla Città universale del genere umano"
mercoledì 28 maggio 2014
lunedì 19 maggio 2014
SESSUALITA' E PREGIUDIZI. B. GASPERINI, Orientamento sessuale: 10 "scoperte" che annientano i preconcetti, LA REPUBBLICA, 19 maggio 2014
Si nasce, si diventa o si sceglie di essere etero, omo o bisessuali? La maggior parte degli studiosi ha più volte messo in evidenza la molteplicità degli aspetti che concorrono, fin dalla nascita, nel determinare il sesso dal quale siamo attratti. E forse rimane sempre qualcosa di inspiegabile e di misterioso riguardo la direzione del nostro desiderio, delle nostre fantasie, della nostra sessualità. L'orientamento sessuale deriva infatti da una delicata combinazione di fattori genetici e ambientali. Ed è ben più complesso, variabile e “colorato” di quanto si pensi.Era il 1948 quando il biologo sessuologo Alfred Kinsey, sulla base dei risultati di una vasta inchiesta statistica sul comportamento sessuale della popolazione statunitense, dichiarò che l’orientamento sessuale non è una condizione immutabile, piuttosto una collocazione spesso dinamica, lungo un continuum di possibilità.
domenica 11 maggio 2014
MASS MEDIA INTERNET COSMOPOLITISMO. INTERVISTA CON E. ZUCKERMAN. F. CHIUSI, Il web è da rifare. Parla Ethan Zuckerman 'C'è troppo ottimismo ingenuo sulla Rete', L'ESPRESSO, 6 maggio 2014
Iperconnesso significa cosmopolita? Non necessariamente, scrive Ethan Zuckerman in “Rewire. Cosmopoliti digitali nell’era della globalità” (Egea, pp. 256 ): poter essere connessi a tutto il globo e a tutte le visioni del mondo non significa che ci interessi farlo davvero, e che lo facciamo. Di certo, argomenta il direttore del Center for Civic Media del Mit di Boston, non sarà la tecnologia da sola a renderci cittadini del mondo.
giovedì 1 maggio 2014
MASS MEDIA ED ECONOMIA. B. VECCHI, I sommersi della rete, IL MANIFESTO, 29 aprile 2014
Codici aperti. Il web provocherà un’apocalisse sociale e culturale. Un sentiero di lettura a partire dal pamphlet di Jaron Lanier e dal saggio del docente del Mit Ethan Zuckerman
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