sabato 14 settembre 2019

ANTROPOLOGIA. AMAZZONIA. S. CERNUZIO, Amazzonia, il capo degli indigeni: “Le destre latinoamericane si uniscono alle potenze straniere per distruggerla”, LA STAMPA, 14 settembre 2019

QUITO (ECUADOR).«Oggi, noi indigeni, abbiamo tanti nemici». Il volto di Gregorio Díaz Mirabal, coordinatore della Coica - la Organizaciones Indígenas de la Cuenca Amazónica - sembra quello di un bambino se non fosse per le rughe che lo solcano. 
Immagine sal sito de LA STAMPA
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Rughe date dalle continue preoccupazioni di questa «lotta» in corso tra i popoli indios e gli «invasori» che depredano e violentano sistematicamente la loro terra, strappando via le loro radici e quindi la stessa vita. 


Gregorio, 52 anni, proviene dalla popolazione Curripaco, è il primo venezuelano ad esser stato eletto a capo della Coica nei 36 anni di storia della organizzazione che raccoglie circa 4 milioni di indigeni, oltre 4.500 comunità, e che attualmente rappresenta l’unico organismo rappresentativo di queste popolazioni a livello internazionale. 
Lo incontriamo a Quito, in Ecuador, nell’ambito di un viaggio organizzato dalla Repam (la Rete Panamazzonica di vescovi e religiosi) in vista del prossimo Sinodo per l’Amazzonia che si terrà in Vaticano dal 6 al 27 ottobre. Il leader indigeno sarà presente a Roma in quei giorni: «Mi ha invitato l’hermano Francisco» dice, riferendosi al Papa che ha avuto modo di incontrare personalmente nel giugno scorso nella sede romana della Fao. «Mi ha stretto le mani e mi ha detto: tu dovrai venire al Sinodo» racconta, mentre gesticola con le mani facendo muovere la collana di perline colorate intrecciate, simbolo di amore per la natura, e un bracciale sul polso sinistro con la scritta «Recistencia», «resistenza». Ovvero la parola che gli indios dei 9 Paesi abbracciati dalla cuenca amazzonica si ripetono come un mantra ormai da anni. Ma resistenza a chi? 
Chi sono questi nemici di cui parla? 
«La tecnologia. La comunicazione del mondo la controlla la gente che sta distruggendo il pianeta. La tecnologia è buona, non dico il contrario, ma viene utilizzata per distruggere e non riusciamo ad avere un controllo su questo. I “padroni” di questa tecnologia stanno attualmente devastando i territori indigeni per lo sfruttamento del petrolio, dell’acqua, del coltran, del legno». 
A chi si riferisce esattamente? 
«Parlo di Russia, Cina, Stati Uniti, Europa. Noi, popoli indigeni, siamo solo una piccola parte di un piano economico, anzi siamo un ostacolo. E la cosa più grave è che i governi dei Paesi dell’America Latina non governano! Eseguono i piani che non provengono nemmeno da questi Paesi esteri, ma dalle aziende. E così la Bolivia di Evo Morales si unisce al Brasile di Jair Bolsonaro, le destre latinoamericane si agganciano alle capitali cinesi e russe per distruggere l’Amazzonia». 
Voi come reagite? 
«Stiamo cercando di unire le nostre voci e instaurare un dialogo internazionale, ma abbiamo tanti punti deboli. E anche tanti problemi interni, come ad esempio il fatto che ci sono oltre 69 indigeni che vivono in isolamento volontario nella selva, senza alcun contatto con noi e col mondo. Vogliono essere lasciati soli ma sono sotto minaccia perché se l’Amazzonia continua ad essere distrutta, non saranno in grado di dire o fare nulla. Il Brasile è il Paese con il maggior numero di popoli in isolamento volontario, ma anche la Colombia e il Venezuela. Ci sono tante persone che lavorano per cercare di stabilire un contatto e salvarli, perché se qualcuno li contamina con un’influenza, muoiono tutti. La situazione è davvero difficile: l’estrazione illegale è entrata nei loro territori e già tanti di loro sono morti».
Vi sentite soli in queste sfide? 
«Attualmente stiamo portando avanti un dialogo con la Repam e anche cercando di costruire una “articolazione” con gli indigeni di Africa e America del nord. Al contempo, stiamo stringendo un’alleanza con la Chiesa che è un “esercito” molto grande, diffuso in tutti i cinque continenti, con un “capo” (il Papa, ndr) che si è mostrato sempre vicino a noi e, con lui, anche tanti cardinali che sono dalla nostra parte».
Proprio il Papa ha indetto un Sinodo dedicato all’Amazzonia… 
«Anzitutto vorrei dire grazie al “fratello” Francesco per il suo coraggio e la sua sensibilità nel sollevare un tema così difficile come la salvezza dell’Amazzonia, in un’epoca in cui i nostri territori sono visti come spazi per l’estrazione delle ricchezze e non come luoghi in cui vive della gente. Papa Francesco è oggi l’unico leader mondiale a mettere a nudo tali questioni, lui sta rischiando la vita per dire la verità. Quello che lui dice non suona bene alle orecchie di tante gente, noi abbiamo il dovere morale di sostenerlo in questa lotta. Anche perché non credo che ci sarà un altro Papa a dire le stesse cose».
Dal Sinodo cosa vi aspettate? 
«Il Sinodo è una piccola iniziativa che è come una goccia di ciò che la Chiesa rappresenta. C’è un settore della Chiesa che non è d’accordo con questo Sinodo, lo sappiamo. E ci sono persino cardinali che oggi subiscono una persecuzione ideologica per aver preso le difese di noi indegni. Noi vogliamo essere presenti per dare voce alla nostra gente, non per scattarci una foto con il Papa. Ci saranno anche delle donne, anche se non sono abbastanza… Chiederemo soluzioni nel breve e nel lungo periodo per salvare il pianeta, perché se si fa qualcosa per l’Amazzonia si fa per tutta l’umanità. In questo senso, siamo più interessati al post Sinodo, a ciò che accadrà dopo… sperando che non sia un fallimento». 
Nel concreto cosa vorreste che la Chiesa facesse? 
«Come ho detto a Papa Francesco: abbiamo bisogno, sì, di oraciones (preghiere), ma soprattutto di acciones (azioni). Vorrei che tutti insieme ci impegnassimo in un’agenda globale per scuotere il mondo, perché c’è troppa insensibilità a quanto sta accadendo. Recentemente è stato pubblicato un dossier in cui studiosi di tutto il mondo, a livello scientifico, afferma che i territori peggio conservati del pianeta sono quelli dove vivono i popoli indigeni. Quindi non stiamo parlando di fantasie… C’è bisogno di azioni concrete».
I giovani indigeni come vivono la “lotta” di cui parla? Si sentono parte di questa causa? 
«Sì, i giovani stanno dando una lezione a noi adulti. Loro sentono la responsabilità di fare quello che tutti noi non siamo stati in grado di fare finora. Guardo con speranza alle nuove e generazioni e, proprio su questa scia, qualche ora fa abbiamo stretto un patto con Greta».
Greta? 
«Sì, Greta Thunberg. Questa ragazzina ha smosso la coscienza dell’Europa chiedendo che si faccia qualcosa di più per il pianeta. Quello che dice ora, noi lo diciamo da 500 anni fa, ma lei ha avuto la capacità di farsi ascoltare. Dai ragazzi di 14 anni fino agli adulti e ai “potenti”. Non è una cosa facile visto che ancora oggi, nel mondo, ci sono tanti attivisti e leader ambientali che vengono assassinati… Il prossimo 20 settembre vorremmo partecipare con Greta a New York ad una grande marcia mondiale contro i cambiamenti climatici, in preparazione anche alla Cop25 in Cile (2-19 dicembre 2019). Si prospettano giorni impegnativi, penso che quello che accadrà nei prossimi tre mesi sarà la chiave per capire cosa succederà nel mondo il prossimo anno».
In che senso? 
«Ora come ora non c’è presente né futuro per il pianeta, ma se facciamo qualcosa possiamo cambiare il corso degli eventi. Voi giornalisti inclusi, avete una grande responsabilità».

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