Jaron Lanier è da molto tempo nella Silicon Valley ed è stato uno dei primi pionieri della realtà virtuale. Ma, nel corso degli anni, è diventato uno dei maggiori critici del mondo tech e in particolare delle aziende che gestiscono i social media, e cioè degli «imperi della modificazione dei comportamenti» come lui li definisce. Oggi Lanier lavora per Microsoft, che ha puntato tutto sulla corsa globale per costruire il metaverso.
Ascolta il podcast
L’intervista comincia affrontando il tema dei social media. Lanier ha scritto un libro, nel 2018, dal titolo “Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social” secondo molti piuttosto in anticipo sui tempi e predittivo di molte cose. Lanier spiega tuttavia che le cose non sono molto cambiate da quando ha scritto quel libro, perché il mondo è ancora stretto in una morsa perversa dagli algoritmi di un piccolo numero di aziende, che operano con questo curioso business model.
Lo schema che descrive il programmatore è questo: le persone tendono ad assumere alcune delle peggiori caratteristiche che sono connesse alla costante eccitazione di quello che possiamo chiamare “cervello rettiliano”. Diventano un po’ più irritabili, vanesie, sprezzanti, chiuse nella propria tribù, sdegnose, sgarbate. E, più di ogni altra cosa, diventano paurose. E quando tutto questo succede nei social media, si sviluppa una sensazione che potremmo definire di meta-disperazione. Il punto è che questa tendenza, cioè rendere le cose peggiori, è diventata il principale business model di alcune delle maggiori aziende del mondo. Il modello viene definito come “ciclo di retroazione”: qualcosa che uno ha fatto nel passato influenza quello che gli si fa vedere nel presente allo scopo di modificare il suo comportamento nel futuro.
Questa modificazione del comportamento è studiata da tempo: si tratta di allenare un animale a fare qualcosa legando un premio al comportamento giusto e una sanzione al comportamento sbagliato.
Per il momento nel mondo dei social media non ci sono ancora scosse elettriche o erogatori di dolcetti, ma ci potremmo arrivare e il meccanismo dei “mi piace” replica in qualche modo lo schema. Nei social network ci sono anche degli aspetti positivi, ammette Lanier, come la possibilità per le persone affette da malattie rare di trovarsi, o la possibilità di organizzare mobilitazioni politiche. Ma si potrebbero avere tutti gli aspetti positivi senza il business model attuale.
Una delle sue principali tesi è che gli utenti dovrebbero in realtà pagare per cose come le ricerche su internet e i social network, un vero e proprio modello economico alternativo che lui chiama data dignity. Le persone hanno sempre pagato per ottenere beni, è solo che abbiamo stabilito che alcuni servizi, come le ricerche su internet, la condivisione di video o gli stessi social media debbano invece essere gratuiti. Ora, ragiona Lanier, la situazione è questa: il motivo per cui queste cose sono gratuite è il fatto che vengono barattate in cambio delle informazioni sulle persone che le usano. E questi dati valgono molto. E non c’è nessuna ragione particolare per la quale non si dovrebbe pagare per averli.
Quindi la domanda è: perché le persone non vengono pagate? Aziende come Google o come Meta stanno ottenendo gratuitamente tutti questi dati da persone che non ne capiscono né il significato né il valore e li stanno trasformando in questi algoritmi che sono perlopiù adoperati per manipolare quelle stesse persone. Ma non c’è un motivo per il quale le persone che producono queste informazioni non siano coinvolte nel gioco e messe nelle condizioni di renderlo migliore. Ottenere una partecipazione di molte più persone interessate potrebbe essere il modo giusto di sistemare dei problemi apparentemente irrisolvibili, come ad esempio i bias negli algoritmi dell’intelligenza artificiale. Le persone dovrebbero concedere in licenza i loro dati, ma non come singoli individui: le battaglie dei singoli non sarebbero economicamente sostenibili. Per migliorare le cose, le persone dovrebbero unirsi in organizzazioni.
Per far capire meglio cosa intende, Lanier cita ciò che in epoca medievale era definito rapporto fiduciario. Dall’altro lato c’è qualcuno che ha delle conoscenze e delle informazioni che sono per te molto rilevanti, e per utilizzarle viene pagato. In questo caso, questa persona deve giurare di mettere i tuoi interessi davanti a tutto, come i dottori e gli avvocati. Negli anni 80, prosegue l’informatico, le cose sembravano andare in questa direzione, in particolare nei primi esperimenti di realtà virtuale. Per lui la realtà virtuale è sempre stata un modo per avere un termine di paragone e per apprezzare finalmente quanto sia splendida la realtà che abbiamo di fronte. Se chi ha trascorso un po’ di tempo nella realtà virtuale poi va in una vera foresta, sarà capace di amare quella foresta in un modo più viscerale di quanto non potesse pensare.
Negli anni Ottanta Lanier immaginava che l’economia e, più in generale, la civiltà si sarebbero spostate dalla necessità alla creatività. Era convinto che, lentamente, sarebbero stati disponibili e utilizzabili sempre più tipi di robot e sempre più tipi di software, e questo avrebbe spinto le persone verso un’economia basata sull’accrescimento dell’intelligenza, sull’accrescimento della profondità della comunicazione e, semplicemente, sull’accrescimento della bellezza. Non è andata così.
Lanier sostiene che Facebook sia sottovalutata in questo momento. Perché, in sostanza, Facebook sta gestendo le identità per Internet e questa è una funzione che ha un grande valore. Quindi in un regime di data dignity Facebook raddoppierebbe o triplicherebbe molto rapidamente il suo valore. Insomma, l’azienda ha un grande potenziale non sfruttato, secondo Lanier.
Qual è il lato oscuro del metaverso? È molto semplice. Nella nostra economia la ricompensa deriva dall’esercitare un sempre maggiore controllo sulle possibilità di manipolare i comportamenti delle persone. E questo ci rende tutti sempre più vanesi, paranoici, irritabili, xenofobi, stupidi e paurosi. Perdiamo la capacità di parlare gli uni con gli altri. Perdiamo la capacità di percepire con precisione la realtà. In sostanza, perdiamo la capacità di essere intelligenti. E poi moriamo, perché gli esseri umani hanno corpi fragili e l’unica cosa che ci fa tirare avanti è l’intelligenza, sennò finiremmo divorati. Lanier conclude con un esempio, per far capire bene come mai sia pessimista sul futuro: qualunque cosa stupida che possiamo vedere su internet esisteva già prima di internet. Ci sono sempre state teorie cospirative. Tutte queste cose sono sempre esistite. Il punto è quale grado e quale rilevanza raggiungono. La vera questione è fino a che punto potremo sopravvivere davanti alla sempre crescente amplificazione di queste nostre stupidaggini. È come per la crisi climatica. Possiamo sopravvivere a un incremento dell’1 per cento della stupidità? Difficile dirlo. E a un incremento dell’1,5 per cento? Il problema è questo.
Nessun commento:
Posta un commento