Tra gli anni ‘90 e i primi duemila Semir Zeki, neurobiologo di fama mondiale e tra i pionieri della neuroestetica, dedicò anni a dimostrare, tramite l’uso di risonanza magnetica funzionale, che la percezione del bello dipende tanto dall'input visivo quanto dall'elaborazione emotiva e personale.
In altre parole, Zeki riuscì a evidenziare che due persone possono avere reazioni neurologiche completamente diverse alla stessa opera d'arte o allo stesso paesaggio, perché la loro percezione è mediata dalla propria storia, dalle proprie emozioni, dai propri contesti culturali. Ma anche che per entrambe l'esperienza del bello è tanto più intensa quanto più il soggetto si sente in sintonia con l'immagine percepita, trasformandola in una sorta di “specchio” della propria immagine di sé.
E in un’epoca in cui è la rivoluzione digitale a pervadere ogni aspetto della vita quotidiana, la fusione tra innovazione e immagine corporea amplifica e velocizza la ricerca urgente dell’ideale estetico promosso dalla tecnologia, con un impatto sia su una percezione sana della propria corporeità sia sulla rappresentatività di modelli di bellezza non conformi.