Nato nel 1929 a Reims in Francia, Jean Baudrillard inizia la sua formazione come germanista, e successivamente ottiene un dottorato in sociologia. Dal 1966 insegna all’università di Paris X-Nanterre, e negli anni successivi entra a far parte dell’Institut de recherche sur l’innovation sociale, laboratorio del Centre national de la recherche scientifique. Sociologo brillante, Baudrillard ha consacrato la sua opera all’analisi della società contemporanea studiando in particolare la società dei consumi: i suoi miti, le sue strutture. Il consumo è trattato nei suoi lavori come un ‘linguaggio sociale’ qualcosa che tende ad aumentare i desideri degli individui piuttosto che a soddisfarli. Nel mondo contemporaneo si assiste ad una dematerializzazione della realtà e l’attenzione dell’uomo è distolta dal mondo naturale e concentrata sulla televisione, sul mondo della comunicazione che è divenuta un valore assoluto, un obiettivo in sé. I vecchi miti sono stati rimpiazzati e la società è, secondo Baudrillard, dominata da una ideologia fondata sull’<estasi della comunicazione>
Intervista su reale e virtuale (1999)
Il gioco dell'incertezza E. Baj intervista J. Baudrillard (1999)
Decodifica del film MATRIX (2003)
Incontro con J. Baudrillard, a cura di B. Sebaste (2007)
1. La produzione e lo scambio di beni ed oggetti svolgono una funzione di prestigio e di costruzione-mantenimento della gerarchia sociale
In questo saggio pubblicato sulla rivista COMMUNICATION nel 1969, Baudrillard sostiene che al centro dello scambio e del consumo economico, anche nelle società occidentali vigono le stesse regole presenti nelle economie tipiche delle cosiddette società primitive:
“Il consumo dei beni –alimentari o di lusso- non è volto a soddisfare un’economia individuale dei bisogni, ma è una funzione sociale di prestigio e di ordinamento gerarchico (…) affinché una gerarchia sociale si manifesti è necessario che beni ed oggetti siano prodotti e scambiati, talvolta nella forma di una estrema dilapidazione” (8).
L’autore cita proprio la scoperta di Malinowski che, nelle isole Trobriand, si accorge dell’esistenza di due tipologie di scambio: la prima (kula) simbolica sulla quale è fondato il sistema sociale dei valori e dello status sociale; la seconda (gimwali) pratica, finalizzata, invece, al commercio dei beni primari.
Nelle società occidentali questa distinzione sembra scomparsa: eppure, a guardare bene, tracce consistenti di essa appaiono nei fenomeni del regalare, della dote, ecc. Tuttavia, per Baudrillard, la logica del consumo di beni ed oggetti ha un suo senso principale nel meccanismo di concorrenza, discriminazione e di prestigio che innesca.
2. Il possesso e l’esibizione del personale domestico e delle donne
Baudrillard ricorda le analisi del sociologo americano Veblen a proposito della condizione della donna nella società patriarcale: “Non si veste sontuosamente una donna perché sia bella, ma perché testimoni, con il suo lusso, della legittimità o del privilegio sociale del suo padrone” (9). Allo stesso modo le classi subalterne svolgono la funzione di “mettere in mostra il rango del padrone. Le donne, il ‘personale’, i domestici rappresentano così degli esponenti di questo rango. Si tratta di categorie che consumano anch’esse, ma in nome del padrone, testimoniando, con il loro ozio e la loro superfluità della sua grandezza e della sua ricchezza. Come nel caso degli oggetti nella kula o nel potlach, la funzione di queste categorie non è economica, ma ha il carattere di una istituzione o di un mantenimento di un ordine gerarchico di valori” (9).
Nelle società occidentali democraticizzate, se non esistono più classi sociali destinate per diritto al consumo per prestigio e al mantenimento della supremazia nella gerarchia sociale, sono presenti classi “destinate di fatto a questi meccanismi di prodigalità, ripresentando così l’antichissima funzione di valore e di discriminazione sociale propria al consumo di una età preindustriale” (10).
3. La vera funzione degli oggetti: de-signano l’essere e il rango sociale di chi li possiede
Ricchezza, spreco, ozio sono le manifestazioni più evidenti del prestigio sociale. Secondo Baudrillard anche il mondo degli oggetti si carica di questi attributi, in particolare dell’ultimo dei tre elencati: l’ozio lo si riconosce nell’inutilità, nella futilità, nel superfluo, nel decorativo, nel non funzionale in cui si esprimono tanti oggetti; oppure in certe categorie spcifiche di oggetti come i ninnoli, i gadgets, gli accessori; od anche nelle forme e nelle trasformazioni continue imposte loro dalla moda.
“In breve, gli oggetti non si esauriscono mai in ciò a cui servono e proprio in questo eccesso di presenza assumono il loro significato di prestigio e “designano” non più il mondo, ma l’essere e il rango sociale dei possessori” (10)
4. Un intreccio profondamente contraddittorio: il compromesso fra la morale democratico-puritana del fare e la morale aristocratica dell’ostentare e del consumare
Le società occidentali si troverebbero a recitare una continua commedia e ad operare un compromesso segnato da una logica assolutamente contraddittoria.
Da un lato devono far valere i principi puritani del fare e del lavoro (negotium), dall’altro non possono nascondere i principi arcaici ed aristocratici del prestigio e dell’ostentazione discriminatoria: “L’oggetto funzionale finge di essere decorativo, si carica di inutilità o del travestimento della moda; l’oggetto futile ed inutile si carica di ragion pratica (come avviene nella villa di campagna fornita di riscaldamento centrale: il carattere folcloristico dello scaldino dei contadini viene mascherato con la frase –D’inverno ci sarà utile!-) (…) In ogni modo, tutti gli oggetti, anche futili, sono oggetti di un lavoro: le faccende domestiche, il mettere in ordine, il bricolage, le riparazioni. Sempre l’homo faber si sovrappone all’homo otiosus. Più in generale, ci troveremo sempre di fronte ad un simulacro funzionale (make-believe) dietro al quale gli oggetti continueranno ad assolvere il loro ruolo di discriminazione sociale” (11). I due sistemi di valori sono antinomici e la loro conciliazione compromissoria dà luogo ad una profonda contraddizione logica: “La morale del consumo sostituisce quella della produzione” (13), ovvero si intreccia con questa nella medesima logica della salvezza che fu propria dell’etica puritana del capitalismo di produzione di weberiana memoria.
5. L’analisi sociologica degli oggetti di consumo
Se la funzione vera dell’oggetto è quella di comunicare, l’analisi sociologica dovrà, allora, cercare di studiare questa forma particolare di comunicazione tramite oggetti. Attraverso gli oggetti, scrive Baudrillard, gli individui comunicano la propria “tattica sociale”, attuano una “pratica sociale” chiara e precisa che ci consente di sapere che cosa siano e cosa vogliano: “Non è forse vero che alcuni oggetti connotano l’appartenenza sociale, lo status reale, mentre altri connotano uno status presunto, un livello di aspirazioni? Non vi sono oggetti ‘irreali’, che si collocano come falsi nei confronti dello status reale e testimoniano disperatamente un livello di vita inaccessibile? E non vi sono, forse, all’opposto, oggetti-testimoni che attestano, malgrado la mobilità dello status, la fedeltà alla classe di origine ed un tenace legame con la cultura in cui si è vissuti?” (17).
La discriminazione sociale e la volontà di distinzione si serve di sfumature che richiedono, per capirle e coglierle, “un’analisi della sintassi degli oggetti” capace di individuare, ad esempio, il modo con cui si distribuiscono e si organizzano nello spazio. L’analisi dovrà, però, piuttosto che individuare un codice di riferimento specchio di uno status sociale idealmente stabile, tutti quegli elementi che lo rendono piuttosto un “dialetto di classe”, vale a dire una lingua che presenti i caratteri di chi la sta usando e parlando. In tal modo potremo vedere che gli oggetti “non ci parlano tanto del loro uso e delle pratiche tecniche, quanto di ambizioni sociali e di rassegnazione, di mobilità sociale e di inerzia, di acculturazione o di fissità culturale, di stratificazione e di classificazione sociale. Attraverso gli oggetti, ogni individuo, ogni gruppo, cerca il suo posto in un ordine pur tentando di sovvertire quest’ordine secondo la propria carriera personale. Attraverso gli oggetti parla una società stratificata; e se, come del resto i mezzi di comunicazione di massa, essi sembrano parlare a tutti (non esistono più, in linea di diritto, oggetti di casta) è proprio per rimettere ciascuno al proprio posto” (19).
6. Un esempio di analisi della pratica degli oggetti all’interno della classe media
Alla fine degli anni Sessanta, nelle società occidentali industrializzate si assiste ad un fenomeno sociale rilevante: l’avanzata delle cosiddette ‘classi medie’ e la formazione di uno strato sociale detto ‘piccolo-borghese’. Si tratta di classi in ascesa sociale che tendono a sfuggire, da un lato, “al destino di esclusione proprio del proletariato industriale”, dall’altro al rischio dell’”isolamento rurale”. E tuttavia “le società industriali offrono alle categorie intermedie possibilità di mobilità, ma possibilità relative; la carriera, salvo casi eccezionali, è molto breve; l’inerzia sociale è grande; tornare indietro è sempre possibile” (20).
In particolare la classe media appare fin da subito caratterizzata da quella contraddizione trasmessagli dalla società in via di sviluppo di quegli anni: un “eccesso di aspirazioni in rapporto alle possibilità reali” dovuta al fatto che “l’ideologia “democratica” del progresso sociale spesso compensa l’inerzia relativa dei meccanismi sociali. Ossia: gli individui sperano perché ‘sanno’ di poter sperare; non sperano troppo perché ‘sanno’ che questa società oppone di fatto invalicabili barriere ad una libera ascesa; ma tuttavia sperano un po’ troppo perché vivono anche dell’ideologia diffusa della mobilità e dello sviluppo” (20). Si produce, così, un compromesso “fra un realismo alimentato dai fatti e un non-realismo prodotto dall’ideologia dell’ambiente sociale (…) un compromesso espresso anche negli oggetti che si posseggono” (21).
Proprio perché caratterizzate da questa dimensione precaria, dalla relatività della loro ascesa sociale effettiva, dalla impossibilità di “fondare in un valore proprio la situazione acquisita”, le classi medie “investono con notevole accanimento nell’universo privato, nella proprietà privata e nell’accumulazione di oggetti per tentare di celebrare una vittoria, un riconoscimento sociale che sfugge loro” (22). In tal modo gli oggetti accumulati, organizzati ed esibiti come vedremo, in realtà confessano la sconfitta sociale di queste classi. Cosicché quella che gli oggetti esibiti esprimono è ciò che l’autore definisce “retorica della disperazione”. Baudrillard ne descrive alcuni aspetti.
7. Lo stile evidenziato nella pratica oggettuale della classe media: saturazione, ridondanza, simmetria e gerarchia.
Intanto nell’uso che le classi medie fanno degli oggetti si cerca di simulare i “modelli borghesi di organizzazione domestica”. La borghesia che si cerca di imitare non è tanto quella contemporanea, quanto quella impostasi, nella storia francese, a partire dall’età dell’impero e della restaurazione (1815). A sua volta quella borghesia aveva imitato modelli aristocratici.
Due sono i modi di organizzazione dello spazio oggettuale domestico: da una parte la modalità ‘saturazione-ridondanza’, dall’altra la modalità ‘simmetria-gerarchia’.
Per saturazione si intende il modo di riempire fino all’eccesso gli interni domestici, le stanze di una abitazione. La saturazione è segno di status e di benessere in quanto accumulazione di beni ereditati.
La ridondanza consiste nel voler “sottolineare quanto si possiede” attraverso una serie di strategie teatrali e barocche: “la tavola è coperta da una tovaglia, a sua volta protetta da una tovaglia di plastica; tende e doppie tende all finestre; tappeti, fodere, sostegni, rivestimenti, paralumi. Ogni ninnolo posa su un centrino, ogni fiore ha il suo vaso, ogni vaso il suo portavasi. Tutto è protetto e circondato. Persino nel giardino, ogni aiuola è circondata da una protezione, ogni vialetto è sottolineato da mattoni o da mosaici (…) non solo possedere, ma sottolineare due, tre volte ciò che si possiede, questa l’idea fissa del possessore di una villetta, del piccolo proprietario. In questo, come in altri casi, la ridondanza dei segni, nelle loro connotazioni e nel loro eccesso, esprime l’inconscio” (24).
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