Decine i ragazzi delle bande sudamericane finiti in cella
«Era il periodo della pazzia». Dicono così , locura : per descrivere il passaggio nel mondo della violenza, i giorni col coltello in tasca, le sbornie devastanti, l'obbedienza alle leggi della strada, la città straniera, Milano, che diventa campo di battaglia. Sono 531 i ragazzi latinoamericani sotto i 18 anni che tra 2006 e 2011 hanno pagato il loro periodo di locura con una denuncia al Tribunale per i minorenni, che spesso finisce con un processo, a volte anche con la reclusione. Sono sempre di più: dai 50 fascicoli d'indagine aperti nel 2006, ai 123 dell'anno scorso. L'aumento è in parte fisiologico, per la maggiore attenzione che le forze dell'ordine dedicano alle pandillas , le bande di strada. Soprattutto, però, quelle cifre identificano una frattura, confusa nel grande flusso dell'immigrazione dal Centro e Sud America, che attraversa gli adolescenti. Un passaggio stretto tra le mura del carcere e il rischio di una coltellata. «Transiti devianti», li definisce Massimo Conte, ricercatore che alterna da anni lo studio e la strada, fondatore dell'agenzia «Codici». I confini che ogni giorno i ragazzi rischiano di varcare, tra i parchi e le fermate del metrò.
Il 7 febbraio scorso il commissariato Mecenate ferma 25 giovani «soldati». Latin King Luzbel, Neta, Latin King New York, Trebol, Ms13. Sono accusati di tentato omicidio e rapina. Il numero di arresti delle «reclute» delle pandillas - sono dati della Procura - sale dai 14 del 2006 ai 43 del 2011; sono 38 solo nei primi mesi di quest'anno. Quattro morti sul campo: king Santiago ucciso nel 2007 dai Latin King New York, king Boricua (un ragazzo dal sorriso triste che, dopo gli anni di locura , era diventato un punto di riferimento per i più giovani e più a rischio che cercavano una strada diversa) ammazzato a giugno 2009; il giovane egiziano assassinato da ragazzi vicini ai Trinitarios; junior, dei Trinitarios, ucciso da appartenenti ai Comando nel gennaio 2011. C'è una «vecchia guardia», e una nuova leva di ragazzini affascinati dalla mitologia dello scontro. Anche per questo Milano è diventata un laboratorio centrale per l'analisi, la comprensione, le strategie per prevenire e limitare i «transiti» nella violenza. Ieri si è tenuto il convegno «Latinos, percorsi di integrazione sociale per i giovani latinoamericani», a chiusura di un anno di ricerche realizzate dalle associazioni Codici, Comunità Nuova, Soleterre e Suoni sonori. Il punto di partenza per un lavoro ancora lungo.
Nelle storie dei ragazzi delle pandillas si ricostruisce spesso un passato di «triplo abbandono». Il più duro, da parte della madre che li ha lasciati in Ecuador o in Perù per venire a lavorare in Italia. Il distacco dai familiari, quasi sempre le nonne, con i quali sono cresciuti fino al ricongiungimento. La nuova frattura qui, a Milano, all'incontro con la madre, che spesso ha una nuova famiglia, deve comunque continuare a lavorare e non può seguire il figlio da vicino, non può soddisfare alcuna delle aspettative di un adolescente che si ritrova solo ed estraneo nella città del consumo. Non è teoria. I particolari contano: «Non c'è alcuna preparazione nel ricongiungimento dei ragazzi con i genitori - spiega Joseph Moyersoen, del Tribunale per i minorenni -. Si pensi che di solito li fanno arrivare quando finisce l'anno scolastico in Sud America, a dicembre: questi giovani hanno così il primo impatto con la scuola italiana a gennaio, quando le classi sono già formate. Sommando tutte le difficoltà connesse all'immigrazione, il primo impatto può creare già un trauma di esclusione fortissimo». Dei 531 ragazzi (tra cui 80 ragazze) «trattati» per vari reati dal Tribunale per i minori, solo uno è nato in Italia, gli altri hanno tutti affrontato il ricongiungimento da adolescenti.
Non significa giustificare. Aiuta, però, a capire l'origine di una rabbia impastata di inganno, sradicamento, disillusione. La pandilla è il gruppo che accoglie: «Risponde al bisogno di appartenenza, di identità, di dare sfogo alla rabbia e alla frustrazione», spiega Silvana Poloni, dell'Università Cattolica. A Milano si riproduce allora la stessa seducente violenza della calle , dove è sottile il confine tra il bullismo e le gang, le organizzazioni criminali che in Ecuador o El Salvador hanno un peso simile alle nostre mafie. Una materia potenzialmente esplosiva che la città deve provare a disinnescare. «Stiamo lavorando su più fronti - dice l'assessore alle Politiche sociali, Pierfrancesco Majorino - tra cui il riconoscimento della cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia e le richieste di ricongiungimento familiare, in stretta collaborazione con la prefettura».
Non esiste ancora controllo del territorio. Ma c'è già una catena drammatica di ritorsioni, vendette e spedizioni punitive, con un livello di violenza spesso feroce. «Il fenomeno è in costante aumento - avverte Adriano Scudieri, magistrato al quale la Procura ha affidato tutte le inchieste sulle gang - abbiamo segnali di un inizio di attività di spaccio e del reperimento di armi da fuoco». Solo i Latin King (nelle tre diverse articolazioni) a Milano contano su circa 150 affiliati. Piccoli gruppi di criminali «veri». Molte bande di giovani in bilico. Ragazzini «in transito» ai bordi della violenza. Fermarli un passo prima sarà una sfida per Milano nei prossimi anni.
Nessun commento:
Posta un commento