Ho visto la trasmissione
Controcampo e l’ho trovata molto interessante.
Ragionavo su alcune cose:
in primo luogo, il ritmo della
trasmissione è, rispetto a quello incalzante al quale siamo abituati, piuttosto
lento, direi quasi meditativo. Fa piacere vedere e ascoltare un dibattito
televisivo in cui i partecipanti sono uomini politici e di cultura che arrivano
in tv con un discorso preparato (in alcuni casi si vede che chi prende la
parola legge degli appunti che, forse, ha preparato prima). Oggi siamo abituati
agli interventi onnopervasivi degli “opinionisti”.
Il conduttore richiama al fatto che “ciò che è
opinabile per la magistratura, non può essere oggetto di certezza” da parte di
chi sta parlando in televisione. Anche questo mi sembra un aspetto che raramente
ritroviamo nelle trasmissioni di oggi.
Gli interventi non sono gridati,
il linguaggio utilizzato non è volgare né offensivo. Semmai rischia di
evidenziare un certo distacco rispetto al pubblico. Aveva allora forse ragione
Pasolini a dire che “parlare dal video è come parlare ex cathedra”. Mi chiedo: quanti di coloro che a quei tempi
guardavano la tv erano in grado di comprendere il significato di questo
dibattito?
Altro spunto di riflessione
riguarda la figura di Pasolini che definirei quasi un “profeta apocalittico”:
oggi possiamo solo constatare la veridicità della sua analisi
sociologico-antropologica. La civiltà neocapitalistica, vera rivoluzione
borghese, ha creato l’uomo consumista, ha eliminato ogni differenza
qualitativa. Certo, hanno ragione coloro che sono intervenuti al dibattito
televisivo a dire che quelle di Pasolini non sono idee nuove. Fa piacere sentire in tv i nomi di Tocqueville e degli
esponenti della Scuola di Francoforte. Credo tuttavia, come afferma
Pedullà, che Pasolini abbia avuto il merito di descrivere dettagliatamente la
realtà italiana di quei tempi, realtà che al giorno d’oggi sembra ingigantita,
esasperata.
Riflettevo su questo e mi è
tornato in mente un episodio accaduto a scuola, circa tre anni fa, quando una
nostra collega, ormai in pensione, lamentava il fatto che le alunne potessero
permettersi capi di abbigliamento molto costosi che l’insegnante in questione
aveva potuto acquistare soltanto dopo anni di lavoro. Veniva
meno uno degli aspetti simbolici della distinzione socio-clturale tra
professore e alunno. Ma i simboli parlano di una realtà che cambia, e il
fatto che l’alunno si vesta e si atteggi come un professore denuncia un
assottigliamento della linea di demarcazione tra classi e ceti. In altre parole questo fatto, apparentemente insignificante,
parla di una distinzione di ruoli sociali che è sempre più labile. Non
si può negare che oggi il ruolo dell’insegnante abbia perduto, a livello sociale,
quel tipo di riconoscimento che aveva fino a qualche anno, o forse decennio,
fa.
Condivido l’analisi che fa
Pasolini e penso anche io che la produzione di beni superflui abbia cambiato
antropologicamente gli italiani (e non solo gli italiani).
Interessante, da questo punto di vista, è il
film “La classe operaia va in paradiso”.
Ciò che invece critico di
Pasolini è un’interpretazione della realtà dicotomica, se non manichea, che
vede nella classe contadina e nel sottoproletariato l’incarnazione del mondo
antico, reale, genuino. Credo che sia semplicistico pensare che il “bene”, il
“reale”, il “genuino” siano rappresentati da una classe sociale nella sua
interezza. La realtà, secondo il mio modo di vedere, è ben più complessa. Non
solo ritengo che non esista una classe sociale “vera”, “autentica” “buona”, ma non credo esistere neanche una persona che
possa essere definita come “buona” o “autentica” in sé; dipende dalle
circostanze. Quelle circostanze che hanno portato la classe contadina a subire
delle trasformazioni che, tuttavia, non sono necessariamente il “male”. Non
associo alla civiltà contadina, né tantomeno al sottoproletariato le qualità
che le riconosceva Pasolini. Spesso povertà è sinonimo di crudeltà, ignoranza,
miseria, violenza. Quella violenza della quale lui stesso è stato vittima.
Ecco, paradossalmente egli ha
vissuto sul suo corpo il senso della primigenia forza che caratterizza, io
credo, la “purezza” del genere umano.
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