Forse è giunto il momento di una reazione forte al destino di beceraggine che sembra incombere
sulla nostra società, fra le proterve cafonate di gruppo e gli acri sghignazzi di massa. Ma tale reazione,
sulla cui esigenza esiste un grande emotivo coinvolgimento, non può restare
sulla facile riproposizione di sentimenti e valori di legalità, moralità,
trasparenza, merito, talento e bene comune; essi ci nobilitano il cuore e le
parole, ma li abbiamo usati fin troppo, riducendoli a inerti chiamate alle
armi.
Mentre un corpo sociale complesso quale è il nostro ha bisogno, per cambiare, di una
più complessa elaborazione di fatti e di interpretazioni.
A tal fine è opportuno cominciare a capire cosa sia avvenuto nella chimica di una
società cresciuta negli ultimi decenni in modo mirabolante e che si ritrova
spesso marchiata
d'infamia,
con ondate quasi periodiche di sputtanamento nazionale. Molti indulgono a pensare che potrebbe
trattarsi dei gradoni infernale di una discesa verso l'inevitabile disastro
antropologico;
ma potrebbe trattarsi anche di un processo di ruminazione delle sacche di marginalità che
un Paese per secoli povero si porta dentro. Se vale la prima ipotesi, non abbiamo
speranza e non ci resta che emigrare; se vale la seconda, vale la pena
continuare a ragionare e poi a crescere, socialmente ed economicamente.
In questa meno sconsolante prospettiva è opportuno riguardarle, anche con un po' di
memoria visiva, quelle impressive ondate di declassamento della nostra immagine
interna e internazionale: come dimenticare i montaggi fra P38 e pasta asciutta
che facevano da copertina ai più influenti periodici stranieri; come
dimenticare quell'insieme di faccendieri, «nani e ballerine» con cui si incartò
e poi si svilì l'entourage e anche il gruppo più dinamico del craxismo; come dimenticare la
quota di impuniti e di veline che hanno consumato i successi elettorali del berlusconismo; come dimenticare la
quota di ridicola arroganza dei famigli leghisti, fra ampolle padane e lauree albanesi; e come
oggi chiudere gli occhi di fronte alle tragicomiche avventure degli ultimi parvenu arrivati alla
politica dalle seconde file del Lazio e di altre regioni. Lo sghignazzo
indignato e dolente ci ha avvelenato; negli ultimi anni ma, diciamo la verità,
nessuna nazione al mondo avrebbe resistito alla forza di delegittimazione
morale e di immagine di queste potenti e ravvicinate ondate di sputtanamento.
C'è però da domandarsi quale sia il motore immobile e ricorrente
di queste ondate. A guardar bene, si capisce che esse sono legate all'entrata nel gioco
politico e del potere pubblico di gruppi a lungo tenuti in condizioni di
marginalità minoritaria ma che una volta «sdoganati» si sono accanitamente
volti a recuperare il tempo perduto, senza alcun rispetto umano. Un Paese per secoli povero non passa a essere signorilmente
borghese solo perché è diventato agiato; deve necessariamente assorbire ondate
di parvenu, di ex poveri che vogliono esprimere anche senza stile la
propria coazione alla ricchezza. Così un Paese per secoli senza democrazia, senza
dialettica culturale e politica, non passa ad avere rapidamente partecipazione
e trasparenza civile; deve assorbire i grumi di un passato (di piazza, di covi,
o d'alcove) che dal potere era escluso e poi si è sentito autorizzato a
goderne.
La sola speranza è allora quella di andare avanti, di continuare a
ruminare e metabolizzare i parvenu, senza cadere nella tentazione di
vedere tutto in discesa verso il baratro della beceraggine collettiva. Ogni loro ulteriore ondata
(se non ne abbiamo esaurito il giacimento) può essere riassorbita; come, a
guardar bene, buona parte delle ondate precedenti l'abbiamo riassorbita, anche
con un certo successo reale, nella chimica evolutiva del corpo sociale. Per
qualcuno tale dinamica può apparire il frutto di una tragica assuefazione al
male, per altri può essere un segnale di fiducia in una società che è nel fondo
più sana di quanto oggi si sia costretti a raccontare. Anche con il male, come
con la povertà, si può andare oltre, se si è fedeli alla lunga deriva del
nostro sviluppo, solo che lo si depuri della pericolosa pastura di spesa
pubblica con troppo facilità frequentata da tanti vecchi e nuovi villani
rifatti.
Nessun commento:
Posta un commento