Nostalgia
per l’immediato. Il romanticismo sociale di G. Debord
Secondo l’autrice la denuncia debordiana della società
contemporanea come ‘società dello spettacolo’ ruota attorno a 3 presupposti:
- la società moderna, nella sua accezione capitalistica, è una società ‘malata’, anzi è l’ultimo stadio a cui sarebbe giunta la storia della civiltà occidentale, stadio di un percorso involutivo nel quale si sarebbe portato a compimento un graduale processo di “degradazione ontologica crescente: dall’essere si sarebbe passati all’avere per finire nell’apparire” (27). In un film del 1978, “Giriamo di notte e siamo consumati dal fuoco” (In girum imus nocte et consumimur igni) (si possono vedere alcune sequenze sulla rete) Debord contrappone immagini di ‘vita autentica’ (fotografie di origine autobiografica, documenti e memorie della Parigi degli anni Cinquanta, una lunga sequenza delle fondamenta di Venezia girato da una barca) ad immagini di ‘vita inautentica’ accompagnate da didascalie come questa: “La distruzione di Parigi non è che una illustrazione esemplare della malattia mortale che sta uccidendo tutte le grandi città e questa malattia, in se stessa, non è che uno dei numerosi sintomi della decadenza materiale di una società” (27). Questo primo punto viene definito anche come “una sociodicea inserita in una filosofia pessimistica della storia” (30)
- lo spettacolo è una forma di alienazione in quanto “è lo specchio in cui la società contempla adorante la propria immagine perfezionata e sublimata senza sapere che è una immagine capovolta”. Infatti, la società ‘autentica’ è ormai (senza rimedio?) alle nostre spalle: vicina ad una natura non corrotta, senza “false brume dell’inquinamento, senza alberi morti soffocati” (estratti dal film citato). Secondo Carnevali, Debord si riallaccia alla tradizione anticapitalistica romantica, ad esempio, ai versi di un William Blake che scriveva di “fabbriche cupe e sataniche (these dark, satanic mills) (Prefazione a Milton). La ‘vita autentica’ è, per Debord, origine e meta della sua particolare filosofia della storia;
- il concetto di feticismo della merce. Ciò che vale, nella società capitalistica, non è il ‘valore d’uso’ di un prodotto (ciò a cui il prodotto serve) quanto il ‘valore di scambio’, ciò che il prodotto rappresenta;
- certo, lo scopo principale di Debord non è quello di “fondare una nuova teoria della società” quanto quello di denunciare il meccanismo con cui l’ideologia capitalistica cerca di ingannare lo spazio pubblico. Il tutto porta ad una conclusione paranoica per cui “lo spettacolo sarebbe creato da poteri occulti che, attraverso la propaganda dei media, ingannano un volgo credulo e passivo (…) Non è altro che la vecchia tesi della religio instrumentum regni riadattata alla nuova religione della spettacolarità” (32).
Le critiche di Carnevali alle analisi
di Debord
1. La società è, per
sua natura, spettacolare o lo è diventata solo oggi, al tempo del capitalismo?
Per l’autrice la
socialità e i rapporti sociali implicano necessariamente “la mediazione di
maschere ed apparenze”; ogni società poggia su una dimensione “mediale e
immaginale”. Dunque società vuol sempre dire anche ordinario apparire sensibile, fatto che non impedisce di
denunciare, poi, le eventuali “manifestazioni straordinarie” di questi aspetti. Debord non prende seriamente in
considerazione il mondo delle apparenze “misconoscendo le cause della loro
produzione fisiologica e il loro ruolo nello sviluppo normale dell’interazione
… manca una analisi più realistica e spassionata della dimensione estetica del
sociale” (32).
2. Le immagini e le
apparenze provengono solo da quel potere che sta, tradizionalmente, in alto?
Se appare giusta la
relazione esistente fra apparenze, immagini e potere, occorre, però, spostare
l’attenzione dalla fonte più scontata ed ovvia da cui esse possono avere
origine per chiedersi se, invece, “il profluvio di immagini che invade il
sociale non sia anche il prodotto necessario della società stessa e non sorga
spontaneamente dalle sue profondità antropologiche” (32).
3. Siamo sicuri che i
‘nuovi schiavi delle immagini’ non desiderino essi stessi questa schiavitù?
Si tratta
dell’antico problema formulato da Etienne
de La Boetie (1530-1563): la ‘servitù volontaria’*: “Comprendere perché
amiamo lo spettacolo che ci domina e perché gli esseri umani non riescono a
spezzare le catene immateriali delle apparenze che pure sono così fragili e
vane (…) Occorre porre il problema della messinscena quotidiana, degli aspetti
libidici del dominio spettacolare e della connivenza dei dominati con i loro
dominatori: connivenza per lo più involontaria ed inconsapevole, ma proprio per
questo tanto minacciosa (…) la magia delle immagini afferra le masse
dall’interno, non cala mai inaspettata dall’alto, ma viene creata e sollecitata
dal basso, dai bisogni stessi dei soggetti sociali” (33).
4. Una idea di potere
come ‘formazione di compromesso’
La spettacolarità
appare come il risultato di un intreccio fra generazione spontanea e dal basso
di apparenza e direzione strumentale, dall’alto, con lo scopo di dominare. Il
potere, dunque, è un potere diffuso, ricercato anche da chi poi lo subisce! Si
tratta, perciò, di “indagare in questa direzione, mentre il critico romantico
vagheggia il mito di una società senza spettacolo cui sarebbe possibile
ritornare una volta rovesciata l’alienazione esistente secondo il principio
della negazione della negazione (…) Egli sogna una comunità originaria, pura,
incorrotta, in cui l’umanità esiste in una dimensione di pienezza, senza veli e
senza maschere, non si traveste, ma comunica in modo sincero e trasparente. Una
società vergine, innocente come l’infanzia” (34).
5. Gli studi di
Goffman mostrano che la presenza dell’artificio e della finzione gioca un ruolo
fondamentale anche in comunità pre-moderne
Se si guardano gli
studi di E. Goffman sull’interazione
sociale**, ci si accorge di un fatto molto importante: “Una dose di spettacolo è prevista dal funzionamento sano di qualsiasi
tipo di società, persino da quello che sembra il più ridotto, coeso e vicino
alla semplicità naturale. Con mossa decisiva Goffman ha dimostrato la sua
teoria della rappresentazione sociale non a partire dal sofisticato stile di
vita di una élite mondana e metropolitana, ma a partire dalla routine di una
piccola isola delle Shetland, ossia proprio il tipo di comunità antimoderna che
i romantici hanno esaltato in reazione alla crescita alienante delle mediazioni
sociali nelle corti e nelle grandi città” (34).
Note:
Note:
* (…) «è
davvero sorprendente, e tuttavia così comune che c’è più da dispiacersi che da
stupirsi nel vedere milioni e milioni di uomini servire miserevolmente, col
collo sotto il giogo, non costretti da una forza più grande, ma perché sembra
siano ammaliati e affascinati dal nome solo di uno, di cui non
dovrebbero temere la potenza, visto che è solo, né amare le qualità, visto che
nei loro confronti è inumano e selvaggio. […] Ma, buon Dio! che storia è
questa? Come diremo che si chiama? Che disgrazia è questa? Quale vizio, o
piuttosto, quale disgraziato vizio? Vedere un numero infinito di persone non
obbedire, ma servire; non essere governati, ma tiranneggiati; senza che gli
appartengano né beni né parenti, né mogli né figli, né la loro stessa vita!
Sopportare i saccheggi, le licenziosità, le crudeltà, non di un esercito, non
di un’orda barbara, contro cui bisognerebbe difendere innanzitutto il proprio
sangue e la propria vita, ma di uno solo […] Chiameremo questa vigliaccheria?
diremo che coloro che servono sono codardi e deboli? Se due, tre o quattro
persone non si difendono da un’altra, questo è strano, ma tuttavia possibile;
si potrà ben dire giustamente che è mancanza di coraggio. Ma se cento, mille
sopportano uno solo, non si dovrà dire che non vogliono, che non osano
attaccarlo, e che non è vigliaccheria, ma piuttosto spregevolezza ed abiezione?
[…] Dunque quale vizio mostruoso è mai questo che non merita nemmeno il nome di
vigliaccheria, e per il quale non si trova un termine sufficientemente
offensivo, che la natura rinnega di aver generato e la lingua rifiuta di
nominare?». (Discorso sulla servitù volontaria, 1552)
** “Il materiale illustrativo presentato in questo lavoro è
di vario tipo: parte è stato ricavato da ricerche scientifiche; parte da
documenti impressionistici scritti da gente curiosa; parte sta a metà fra i due generi.. Inoltre
mi sono spesso servito di un mio studio su di una comunità di piccoli
coltivatori delle isole Shetland” (E. Goffman, Prefazione a THE PRESENTATION OF
SELF IN EVERYDAY LIFE, 1959, tr. It. Il Mulino, 1969, p. 10)
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