Comunque e in qualsiasi momento finisca questa pesante crisi economica da cui perfino gli Stati Uniti faticano a risollevarsi lascerà esangue la borghesia, quella middle class che più delle altre classi, a qualsiasi latitudine, ha contribuito alla lunga crescita dei decenni passati beneficiando anche molto del proprio imprinting dato alla globalizzazione. Qualsiasi studioso concorda oggi sul fatto che a pagare il prezzo della recessione sono in particolar modo i piccoli imprenditori, le famiglie, i risparmiatori, gli impiegati, il terziario, quel variegato mondo del lavoro che dopo aver depurato della cattiva fama affibbiatagli dagli eredi del marxismo abbiamo imparato a conoscere (e apprezzare) come borghesia.
Secondo un recente studio del Pew Research Center negli ultimi 5 anni la percentuale di americani che si definisce “middle class” è passata dal 53% all 44% (due su tre pensano, correttamente, che il gap tra ricchi e poveri sia enormemente cresciuto). In Europa, con 20 milioni di disoccupati, la situazione non è migliore. Se ne 2007 i 27 stati membri contavano 85 milioni di persone a rischio di povertà ed esclusione sociale, nel 2009 erano arrivati a quota 115 milioni (circa il 23,1% della popolazione senza contare una cifra analoga di precari a cui bastano due mesi senza stipendio o un’ipoteca da pagare per finire in miseria). Dal 2009 a oggi non ci sono stati grandi segni di risalita.
E’ la fine della borghesia, croce e delizia del secolo scorso, quintessenza dell’ambizione celebrata dai teorici dell’ascensore sociale e liquidata da altri come una miscela viziosa di manierismo, meschinità, ipocrisia, una classe plebea vergognandosi di esserlo il cui “fascino discreto” veniva ferocemente immortalato da Luis Bunuel nel 1972? I discorsi allarmati del presidente americano Barak Obama, del premier inglese Cameron, dei leader europei, suggeriscono il momento del requiem. Eppure, racconta il quotidiano Financial Times, non è ancora detto. Almeno a giudicare dal rapporto del 2013 dello studio preofessionale EY intitolato “Hitting the Sweet Spot” in cui si mette in evidenza come, con buona pace delle Cassandre, nei prossimi vent’anni ci saranno al mondo almeno tre miliardi di borghesi in più. Certo, due terzi di loro non vivranno accanto a casa nostra e neppure nelle leggendarie periferie di New York, ma in Cina, in India o in Brasile. Ma tant’è. Senza contare che già adesso, solo in Asia, 525 milioni di persone si considerano “middle class” (tutta l’Unione Europea conta 503 milioni di abitanti).
A ben guardare quel che i borghesi descritti da EY condividono con i nostri è soprattutto l’ambizione, la volontà di crescere, l’entusiasmo dei pionieri. Il loro stipendio infatti è calcolato tra i 10 e i 100 dollari al giorno (a famiglia), il necessario per cominciare a pensare di permettersi una macchina, la tv, gli elettromestici extra materializzatisi nella case degli italiani durante il boom degli anni ’50 e ’60. Difficile immaginare che i nipotini di quegli italiani si sentano oggi ugualmente a loro agio guadagnando 70 euro al giorno (da cui vanno tolte le tasse, l’affitto, il caro vita...). Né il tanto vagheggiato miraggio della decrescita felice (vivere meglio consumando meno) può servire a risollevare il morale. I borghesi sono consumatori e, che ci piaccia o meno, siamo tutti, sebbene più poveri, consumatori. Anzi, più siamo poveri più paradossalmente ci consoliamo consumando.
Dobbiamo rassegnarci a cedere il passo? Vuol dire che non è la borghesia ad estinguersi ma solo la borghesia occidentale? Può darsi. Ma non bisogna arrendersi senza combattere. Guardo la mia tata filippina mettere da parte con saggezza il denaro da mandare a casa (dove i suoi fratelli stanno comprando casa costruendosi un futuro da middle class) senza rinunciare a studiare l’italiano (parla già l’inglese e il turco), senza rinunciare a comprarsi un vestito nuovo per una festa e concedersi un taglio alla moda dal parrucchiere (filippino), senza rinunciare a comprarsi un tablet per comunicare bene con la sua famiglia... Guardo e imparo. Quand’è che abbiamo smesso di sognare e abbiamo cominciato a recriminare per colpe non nostre? Cambia poco, purtroppo, di chi sia la colpa. La mia tata non ne ha direttamente se è dovuta emigrare per vivere. La middle class italiana, europea, occidentale, non ha colpa (non tutta almeno) se annaspa. Registriamo dunque un dato positivo: la middle class non sparirà. E ora, con ambizione borghese, avanti tutta per starci dentro (o oltre o fuori ma per scelta felice).
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