Il miglior film di Paolo Virzì. E stiamo parlando del regista considerato il solo vero erede della commedia all’italiana. Quella, tanto per intenderci, dei vari Comencini, Monicelli, Scola, Germi, Steno, Risi. Un appellativo meritato dal cineasta livornese grazie a titoli che hanno saputo coniugare il favore del pubblico con la satira graffiante, per quanto sorridente, dell’attuale degrado di costumi nel nostro Paese: Ferie d’agosto, Ovosodo, Caterina va in città, Tutta la vita davanti, La prima cosa bella. Eppure, Virzì non è uno che si accontenti di cavalcare l’onda del successo. Cerca anzi di sfuggire alle etichette, ama mettersi alla prova. Lo ha dimostrato, un paio d’anni fa, girando Tutti i santi giorni, moderna e sorprendente storia d’amore per ribadire che fare coppia, metter su famiglia e avere figli resta sempre la più grande avventura. A chi poi gli rimproverava di essersi rammollito, di aver smarrito la sua vena di fustigatore, aveva ribattuto: «Tranquilli. Sto già lavorando al prossimo film dal tono amarissimo», la sua promessa. «È ispirato al romanzo Il capitale umano dell’americano Stephen Amidon. Ma ho traslato la storia dal Connecticut alla Brianza perché quando l’ho letto mi son detto: questi siamo noi! Un film sulla smania di denaro e su come le vittime di questa nevrosi siano i nostri figli».
Detto, fatto. Virzì ha scritto a tempo di record l’adattamento del copione con la preziosa collaborazione di Francesco Bruni (sceneggiatore rivelatosi anche regista con Scialla!) e Francesco Piccolo (coautore preferito di Soldini, Sironi e Nanni Moretti). Poi ha messo insieme un cast corale affiatato come gli strumenti di un’orchestra in cui spiccano i nomi di Fabrizio Bentivoglio, Valeria Golino, Fabrizio Gifuni, Valeria Bruni Tedeschi, Luigi Lo Cascio e perfino un Bebo Storti affrancato dal ruolo di guitto. Ne è venuto fuori un film vibrante, teso, dal 9 gennaio su centinaia di schermi. Scomodo, perché mai finora si era visto un ritratto così vivido dell’Italia di oggi. Che poi era il pregio essenziale di quella commedia all’italiana che ha fatto grande il nostro cinema tra fine anni ’50 e ’70. Una pellicola addirittura sorprendente perché Virzì, pur di seguire l’ispirazione, non ha esitato a cambiare genere e a misurarsi con i canoni classici del thriller. «La tenerezza de La prima cosa bella mi era venuta ripensando ai nostri padri, madri, nonni», spiega il regista. «A un’Italia che ne aveva viste tante senza smettere mai di lottare con un’energia e un gusto per la vita che noi, figli del benessere incapaci di godere degli affetti, dovremmo saper ritrovare. Invece, l’amarezza de Il capitale umano nasce dalla rabbia per ciò che stiamo diventando, dallo sconcerto che magari si prova andando a guardare da vicino i protagonisti di un banale fatto di cronaca. Uno di quegli incidenti che sul giornale locale meritano poco più di un trafiletto in cronaca».
-Si spieghi meglio...
«Tutto comincia una notte, su una strada provinciale che costeggia una città brianzola. È la vigilia di Natale e un ciclista, un poveraccio che ha appena staccato dal suo turno di cameriere, viene investito da un Suv. L’auto non si ferma a soccorrere il ferito e il giorno dopo la polizia comincia a indagare. Mentre la vita pian piano gocciola via da quell’uomo in ospedale, noi scopriamo invece cosa sia la vita per le persone i cui destini si sono incrociati quella notte, su quella strada».
-Punto di forza del film è il racconto dell’incidente da angolazioni diverse. Il ripassare ogni volta per certi snodi narrativi arricchendo la storia di particolari. Così da coinvolgere lo spettatore nella ricerca del colpevole. Idea sua?
«No. È esattamente la struttura di Human capital di Stephen Amidon, un romanzo splendido che è stato per me come un colpo di fulmine. Quella vicenda, quei personaggi mi sono apparsi subito come emblematici anche del momento che stiamo attraversando in Italia».
- La cinepresa non punta sul soggetto apparentemente più discutibile, il broker d’assalto che gestisce un aggressivo fondo d’investimento. Ruota piuttosto attorno a lui mostrando i personaggi che ronzano sfruttando la sua ricchezza o sperando di averne una parte...
«C’è l’immobiliarista in crisi che cerca di approfittare del presunto fidanzamento della figlia col rampollo del ricco. C’è la moglie del broker, attrice che ha smesso di calcare la scena e vive gli agi con senso di colpa, pur non sapendo rinunciarvi. Ci sono gli adolescenti che crescono sbandati in queste famiglie, consumati da ansie e insicurezze, tutti presi dal cerimoniale dell’apparire, ma incapaci di trovare il proprio essere. Insomma, c’è tutta l’Italia di oggi: la ricchezza che non trae origine dal lavoro, ma dalla speculazione; l’ansia di elevazione sociale attraverso il denaro; una generazione di figli costretta a pagare il prezzo della spasmodica ambizione dei propri genitori». Interpreti strepitosi nei vari ruoli: Fabrizio Bentivoglio l’immobiliarista, Valeria Golino sua ingenua compagna, Valeria Bruni Tedeschi ricca moglie insoddisfatta, Luigi Lo Cascio amante intellettuale ed egocentrico, Fabrizio Gifuni broker fascinoso e spietato, Bebo Storti poliziotto che ce l’ha con i ricchi. Il cuore della storia però sono i tre ragazzi, bravissimi.
-Dove li ha trovati?
«Mi piace scovare nuovi attori. Ce ne sono sempre nei miei film. Ho fatto provini per mesi. Giovanni Anzaldo, che fa il problematico Luca, proviene dallo Stabile di Torino. Mentre Matilde Gioli e Guglielmo Pinelli, i rampolli delle famiglie protagoniste, sono degli esordienti». Vero mattatore resta il denaro... «L’ansia di moltiplicarlo, l’angoscia di perderlo determinano vite affettive e destini. Ma qual è il valore economico della vita di una persona? Esiste, è un termine assicurativo... Lungi da me fare il moralista, ma sarà meglio rifletterci su prima che sia troppo tardi».
«Tutto comincia una notte, su una strada provinciale che costeggia una città brianzola. È la vigilia di Natale e un ciclista, un poveraccio che ha appena staccato dal suo turno di cameriere, viene investito da un Suv. L’auto non si ferma a soccorrere il ferito e il giorno dopo la polizia comincia a indagare. Mentre la vita pian piano gocciola via da quell’uomo in ospedale, noi scopriamo invece cosa sia la vita per le persone i cui destini si sono incrociati quella notte, su quella strada».
-Punto di forza del film è il racconto dell’incidente da angolazioni diverse. Il ripassare ogni volta per certi snodi narrativi arricchendo la storia di particolari. Così da coinvolgere lo spettatore nella ricerca del colpevole. Idea sua?
«No. È esattamente la struttura di Human capital di Stephen Amidon, un romanzo splendido che è stato per me come un colpo di fulmine. Quella vicenda, quei personaggi mi sono apparsi subito come emblematici anche del momento che stiamo attraversando in Italia».
- La cinepresa non punta sul soggetto apparentemente più discutibile, il broker d’assalto che gestisce un aggressivo fondo d’investimento. Ruota piuttosto attorno a lui mostrando i personaggi che ronzano sfruttando la sua ricchezza o sperando di averne una parte...
«C’è l’immobiliarista in crisi che cerca di approfittare del presunto fidanzamento della figlia col rampollo del ricco. C’è la moglie del broker, attrice che ha smesso di calcare la scena e vive gli agi con senso di colpa, pur non sapendo rinunciarvi. Ci sono gli adolescenti che crescono sbandati in queste famiglie, consumati da ansie e insicurezze, tutti presi dal cerimoniale dell’apparire, ma incapaci di trovare il proprio essere. Insomma, c’è tutta l’Italia di oggi: la ricchezza che non trae origine dal lavoro, ma dalla speculazione; l’ansia di elevazione sociale attraverso il denaro; una generazione di figli costretta a pagare il prezzo della spasmodica ambizione dei propri genitori». Interpreti strepitosi nei vari ruoli: Fabrizio Bentivoglio l’immobiliarista, Valeria Golino sua ingenua compagna, Valeria Bruni Tedeschi ricca moglie insoddisfatta, Luigi Lo Cascio amante intellettuale ed egocentrico, Fabrizio Gifuni broker fascinoso e spietato, Bebo Storti poliziotto che ce l’ha con i ricchi. Il cuore della storia però sono i tre ragazzi, bravissimi.
-Dove li ha trovati?
«Mi piace scovare nuovi attori. Ce ne sono sempre nei miei film. Ho fatto provini per mesi. Giovanni Anzaldo, che fa il problematico Luca, proviene dallo Stabile di Torino. Mentre Matilde Gioli e Guglielmo Pinelli, i rampolli delle famiglie protagoniste, sono degli esordienti». Vero mattatore resta il denaro... «L’ansia di moltiplicarlo, l’angoscia di perderlo determinano vite affettive e destini. Ma qual è il valore economico della vita di una persona? Esiste, è un termine assicurativo... Lungi da me fare il moralista, ma sarà meglio rifletterci su prima che sia troppo tardi».
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