Si va online per un aggiornamento sulla drammatica situazione in Ucraina, e – di notizia in notizia, di commento in commento – si finisce per passare ore e ore con gli occhi incollati allo schermo del Pc o dello smartphone, e con l’animo abbattuto dalla ferocia della guerra e dal senso di impotenza per un mondo che sembra lanciato su una spirale al di fuori di ogni controllo. La dipendenza dalle news catastrofiche ha un nome preciso: doomscrolling. È traducibile come “scrolling (ovvero scorrimento del flusso di notizie) apocalittico”, ed è un fenomeno diventato di massa allo scoppio della pandemia, quando la persona media, alle prese con un nemico invisibile e letale di cui ignorava praticamente tutto, si trovava costretta, per massimizzare le proprie probabilità di salvarsi dal contagio, a compulsare tutte le notizie e le scoperte sul virus, le sue modalità di diffusione e i suoi effetti. Quando allo stress da pandemia, seppure ormai in parte mitigato dall’abitudine, si aggiunge il nuovo stress da conflitto militare con annessa minaccia di terza guerra mondiale, aumenta il rischio di sviluppare per il doomscrolling quella che è una vera e propria dipendenza, secondo esperti come la psichiatra Anna Lembke, direttrice del centro per la cura delle dipendenze della Stanford University School of Medicine.
Professoressa Lembke, come funziona la dipendenza dalle cattive notizie?
"Una premessa: studi mostrano che quando si somministra a un topo una scossa elettrica molto dolorosa, si vede che i neuroni preposti al rilascio della dopamina (neurotrasmettitore legato al senso di piacere e alle dipendenze) aumentano la loro ramificazione, in un modo analogo a ciò che succede quando invece al topo si somministra della cocaina. In altre parole: il cervello, di fronte a un dolore intenso, reagisce rilasciando una grande quantità di dopamina: ciò suggerisce che si possa sviluppare una dipendenza per il dolore. Questo lo vediamo anche clinicamente: esistono delle persone che sviluppano una dipendenza per le forme di esercizio fisico più estreme, così come esistono i cosiddetti “drogati di adrenalina”, che non riescono a rinunciare ad attività pericolose come il base jumping o il volo con la tuta alare. Allo stesso modo, io a Stanford ho pazienti che ammettono di essere dipendenti dalle notizie, in special modo dalle cattive notizie. Consumano news in un modo compulsivo, mi dicono di rendersi conto di non poter esercitare controllo su questa abitudine".
Quindi è una dipendenza a tutti gli effetti?
"Quando queste persone cercano di “disintossicarsi”, compaiono quelli che sono i sintomi universali dell’astinenza: irritabilità, insonnia, disforia. Quindi quando ci chiediamo come sia possibile che qualcuno diventi dipendente dal “doomscrolling”, possiamo pensare agli studi nei quali stimoli molto dolorosi causano, nel cervello, gli stessi tipi di cambiamenti nel circuito della dopamina che si vedono con intossicanti come la cocaina".
C’è qualche meccanismo psicologico specifico che entra in gioco quando il “doomscrolling” si trasforma in una dipendenza?
"Sui social media, in particolare, le notizie tendono a presentarsi in una forma che facilita la dipendenza, una forma “droghificata”, per così dire. Già di per sé i social media possono dare dipendenza, perché milioni di anni di evoluzione hanno fatto sì che il cervello dell’Homo sapiens, e degli ominidi che l’hanno preceduto, fosse premiato da un gratificante rilascio di dopamina quando si entra in contatto con gli altri. A questa sorta di dipendenza sociale, si aggiunge il fatto che la dopamina risponde molto alla novità. Anche qui per ragioni evolutive. E quindi la prospettiva di scoprire qualcosa di nuovo, cercando senza sosta informazioni online, stimola ancora di più il rilascio di dopamina. Quando poi le informazioni possono essere molto rilevanti – come nel caso di news relative a grandi eventi drammatici come la guerra alle porte dell’Europa – la cosiddetta “paura di perdersi qualcosa”, di essere tagliati fuori dal ciclo dell’informazione (detta FOMO – “Fear of Missing Out” – in inglese) amplifica questi effetti. Ed è più facile diventare dipendenti. Anche perché, e questa è un’altra caratteristica importante, per accedere all’informazione online basta uno smartphone, ovvero qualcosa che abbiamo con noi 24 ore su 24".
Cosa si può fare per evitare che il – comprensibilissimo e anzi prezioso nelle democrazie liberali – bisogno di informazione si trasformi in una dipendenza?
"Ai miei pazienti raccomando alcune strategie autolimitanti. Ad esempio stabilire un vincolo temporale: “consulterò notizie online per non più di due ore al giorno”. Oppure un vincolo categorico, ovvero limitare la fruizione di notizie a canali che permettono una fruizione più ponderata - e non potenzialmente infinita come accade con il “doomscrolling”, dove basta scorrere il feed per far apparire notizie a getto continuo - ad esempio i giornali di carta. Oppure limitarsi, se si va online, ad alcuni siti specifici, ad esempio quelli curati da testate giornalistiche vere e proprie, evitando invece il consumo di news su Facebook, dove il contesto sociale, il meccanismo dei “like” e dei commenti rende più difficile staccarsi".
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