Qualche giorno fa un articolo pubblicato sul New York Times, firmato Adam Grant, psicologo della University of Pennsylvania, descrive con molto realismo lo stato emotivo che sembra aver caratterizzato la nostra quotidianità negli ultimi mesi di questo assurdo anno di pandemia: il languishing.
Tale espressione, che in lingua italiana potrebbe essere tradotta con il verbo languire, indica una condizione di assenza di benessere, scopo e gioia. In cui la motivazione e la spinta vitale sembrano essersi spente, lasciando la persona in uno stato di inerzia e devitalizzazione.
L’Autore dell’articolo descrive il languishing come “un senso di stagnazione e di vuoto. Ti senti come se ti stessi confondendo tra i giorni, come se guardassi la tua vita da un finestrino appannato. Questa potrebbe essere l’emozione dominante del 2021”.
Il termine languishing è stato coniato qualche anno fa, in tempi non sospetti, dal sociologo Corey Keyes (2002). Sta ad indicare uno stato mentale che, idealmente, potrebbe collocarsi a metà lungo il continuum che, all’interno dello spettro “salute mentale/patologia”, lega la condizione di depressione e il suo polo opposto. Quello che viene indicato come flourishing (letteralmente uno stato di vitalità emozionale che fa “fiorire” la persona, come descritto da Seligman & Csikszentmihaly nel 2000).
Nella condizione di languishing, benché non compaiano i sintomi di un vero e proprio disturbo mentale, la persona non percepisce uno stato di benessere, sentendosi demotivata a mettere in gioco le proprie risorse e capacità.
Keyes conia questo termine per indicare quelle persone che, seppur non depresse, non stanno “prosperando”.
Il rischio di psicopatologia associata al languishing
Il languishing, più sfumato e forse più subdolo di una vera e propria psicopatologia, potrebbe proprio per questo rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo di disturbi mentali (Keyes et al., 2010; Iasiello et al., 2019).
In una sua ricerca, Keyes sostiene che le persone che manifesteranno sintomi di depressione maggiore o disturbi d’ansia nell’arco dei dieci anni successivi, sono quelle che, al momento di osservazione iniziale, non lamentano tali sintomi, bensì proprio lo stato di languishing.
Come indicato da un recente studio italiano condotto su personale sanitario in Lombardia, regione tra le più aspramente colpite dal contagio da Covid-19, i soggetti che hanno manifestato segnali di languishing nella primavera del 2020 hanno visto aumentata, rispetto ai loro colleghi, la probabilità di sviluppare un Disturbo da Stress Post-Traumatico.
Se lo scorso anno, in questo periodo, gli stati mentali più diffusi erano quelli relativi all’ansia, alla paura, all’allarme, al senso di incertezza, oggi, accanto ad essi, si affianca un senso di stanchezza mentale, apatia, demotivazione, rassegnazione.
Come se i lunghi mesi di restrizioni, modificazione delle condizioni lavorative, sospensione delle attività ricreative e isolamento sociale ci avesse fatti scivolare in una passiva rassegnazione in cui possiamo sopravvivere ma, di certo, non ci “sentiamo vivi”.
Come contrastare il languishing
Esiste un antidoto a tutto questo? Come possiamo contrastare il languishing coltivando il suo opposto, il flourishing, ovvero uno stato mentale di benessere, coloritura emotiva, fioritura e prosperità psicologica?
Nel corso degli ultimi decenni, vari autori si sono cimentati nello studio dei fattori che promuovono il funzionamento psicologico ottimale, all’interno di quel filone di ricerca e intervento denominato Psicologia Positiva.
Uno dei più noti modelli è quello proposto da Ryff and Keyes (1995) e ripreso successivamente da Ruini (2017), che definisce il concetto di benessere basato sulla presenza di sei dimensioni:
- Accettazione di sé: atteggiamento positivo verso se stessi, accoglienza e integrazione di caratteristiche positive e negative, accettazione del proprio passato
- Autonomia: autodeterminazione, capacità di prefiggersi obiettivi personali e individuazione di strategie per raggiungerli, regolazione del proprio comportamento
- Padronanza ambientale: senso di padronanza e capacità di interagire con l’ambiente utilizzando le opportunità esterne, capacità di creare contesti favorevoli alle proprie esigenze e valori
- Relazioni positive: presenza di relazioni supportive e affidabili, fonti di soddisfazione e benessere personale, capacità di provare empatia e intimità
- Scopo nella vita: presenza di scopi e auto-direzionalità, percezione di significato nella propria vita, valori
- Crescita personale: sentimento di continuo sviluppo di sè, apertura a nuove esperienze vissute come occasione di crescita, arricchimento personale
Le sei dimensioni su cui lavorare
Sulla base di questo modello, un canale attraverso cui coltivare lo stato di flourishing e far fiorire la propria vita potrebbe essere quello di potenziare ciascuno dei sei elementi di cui si compone il benessere psicologico, anche se le condizioni di restrizioni e isolamento sociale rendono questo compito ancora più difficoltoso di quanto non lo sarebbe “in tempi normali”.
Se ci accorgiamo di vivere uno stato di languishing, possiamo provare ad attuare un cambio di rotta attraverso la cura di queste sei dimensioni:
- Accettazione: il primo e più importante passo per riprendere in mano la propria vita è riconoscere e accettare quello che siamo, con i nostri aspetti positivi e negativi, riconoscendo come valide le nostre emozioni e legittimando, quindi, anche un eventuale stato di disagio. La condizione d languishing è molto comune, non c’è motivo per provarne vergogna o senso di colpa. Non riconoscerla, trascurarla o negarla potrebbe portare ad ingigantire il problema. È fondamentale riconoscere di essere in difficoltà e, se necessario, chiedere aiuto ad un professionista.
- Autonomia e padronanza ambientale: diventiamo responsabili del nostro benessere. Anche se non possiamo cambiare la situazione ambientale intorno a noi, possiamo individuare ciò che è in nostro potere fare. Prefissiamoci obiettivi realistici nel breve, medio e lungo termine e individuiamo tempistiche, strumenti e strategie per raggiungerli. Organizziamo il nostro tempo nella maniera più funzionale possibile, cercando di non frammentare le nostre attività, per non alimentare un senso di incompiutezza e dispersione di energie. Ricordiamo di inserire movimento fisico, spazio per il relax e attività piacevoli.
- Relazioni positive: coltiviamo rapporti profondi e continuativi con le persone, in presenza (laddove è possibile) o attraverso i mezzi di comunicazione offerti dalla tecnologia, in modo da condividere ciò che proviamo, sentiamo o pensiamo. Ci accorgeremo di non essere soli e potremmo trarre conforto dall’empatia ricevuta e offerta.
- Scopo nella vita. Recuperiamo i nostri valori, ciò che è importante e significativo per la nostra vita, e manteniamo il focus su di essi. La pandemia potrà averci obbligato a modificare i mezzi e le modalità attraverso cui dispiegare il nostro potenziale, ma non potrà aver oscurato lo scopo ultimo della nostra esistenza.
- Crescita personale: proviamo a considerare un momento di difficoltà come un’occasione di crescita. Nessuno si augura di provare dolore nella propria vita, ma questa purtroppo è una condizione inevitabile dell’esistenza. Il contagio da Covid-19 potrebbe averci coinvolto direttamente o indirettamente, potrebbe aver arrecato grande sofferenza a noi, ai nostri cari, ai nostri amici, alla nostra comunità, potrebbe averci colpito a livello medico, lavorativo, economico, scolastico o relazionale. Potrebbe, tuttavia, non averci danneggiato soltanto. Forse qualcosa ci ha anche insegnato, forse ha permesso un miglioramento di una parte di noi. E non dev’essere per forza qualcosa di straordinario. Forse ci ha reso più consapevoli dell’importanza di ciò di cui siamo stati deprivati, forse ci ha reso più abili a usare la tecnologia per lavorare, forse ci ha reso più creativi nel fai-da-te. È prezioso chiederci se sia così, interrogarci su quali miglioramenti possiamo notare in noi stessi: tutto può essere occasione di crescita.
Per concludere, può essere di stimolo riprendere le parole di Adam Grant, autore dell’articolo del New York Times sopra citato: “Se non hai la depressione non vuol dire che tu non stia soffrendo. Se non hai il burn out, non vuol dire che tu non sia esaurito. Sapendo che molti di noi stanno “languendo”, possiamo finalmente iniziare a dar voce a questa sommessa disperazione”.
Bibliografia
- Bassi, M., Negri, L., Delle Fave, A., & Accardi, R. (2021). The relationship between post-traumatic stress and positive mental health symptoms among health workers during COVID-19 pandemic in Lombardy, Italy. Journal of affective disorders, 280,1-6.
- Iasello, M., van Agteren, J., Keyes, C. L. M., & Cochrane, E. M. (2019). Positive mental health as a predictor of recovery from mental illness. Journal of Affective Disorders, 51, 227-230
- Keyes, C.L.M. (2002). The Mental Health Continuum: From Languishing to Flourishing in a Life. Journal of Health and Social Behavior, 43, 207-222.
- Keyes, C. L. M, Dhingra, S. S., & Simoes, E. D. (2010). Change in Level of Positive Mental Health as a Predictor of Future Risk of Mental Illness. American Journal of Public Health, 100(12), 2366-2371.
- Ruini, C. (2017). Positive Psychology in the Clinical Domains, Research and Practice. Bologna: Springer International Publishing.
- Ryff, C.D, & Keyes, C.L. (1995). The structure of Psychological Well-being revisited. Journal of Personality and social psychology, 69(4), 719-727
- Seligman, M. E P., & Csikszentmihalyi, M. (2000). Positive Psychology: an introduction. American Psychologist, 55, 5-14
- https://www.nytimes.com/2021/04/19/well/mind/covid-mental-health-languishing.html
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