Come ogni anno alla pubblicazione dei due rapporti Ispra sui rifiuti, l’attenzione si concentra su quello che riguarda la produzione, la raccolta e la gestione dei rifiuti urbani. Apprendiamo così in questi giorni che nel 2021 i rifiuti urbani sono tornati a crescere (+2,3% sull’anno precedente) dopo la flessione dovuta alla pandemia e la conseguente contrazione dei consumi delle famiglie: in totale 29,6 milioni di tonnellate (677 mila in più rispetto al 2020). La raccolta differenziata ha raggiunto il 64% sul totale, con ampie variazioni per area geografica (71% al Nord, 60,4% al Centro, 55,7% al Sud).
Dieci anni dopo siamo, dunque, a un passo dal traguardo del 65% fissato per legge (l. 27 dicembre 2006 n. 296) che doveva essere raggiunto entro il 31 dicembre 2012. Ma c’è qui un primo equivoco che va subito chiarito.
Non tutto quello che viene differenziato in fase di raccolta raggiunge la fase di riciclaggio e neppure tutto quello che è avviato al riciclo diventa recupero di materia. Ad esempio, quasi la metà dei rifiuti inviati a riciclaggio è riferibile alla frazione organica, umido più verde, in massima parte finisce negli impianti di compostaggio. Ebbene, per ogni tonnellata di rifiuti organici immessa in un impianto di compostaggio si producono 220 Kg di residui, 27 dei quali di percolato. Va ancora peggio con la plastica perché il tasso di riciclaggio si attesta al 36%.
In contemporanea con la pubblicazione del rapporto sui rifiuti urbani l’Ispra rende disponibile, sfasato di un anno, anche un report sulla produzione e la gestione dei rifiuti speciali. I rifiuti speciali vengono per quasi la metà dalle attività di costruzione, per oltre un quarto dal trattamento dei rifiuti urbani e per la restante parte dalle altre attività economiche manifatturiere e del commercio.
La produzione di rifiuti speciali nel 2020, ci informa l’ultimo report, è stata di 147 milioni di tonnellate, ben 5 volte quella che viene dalla raccolta nei centri urbani. Eppure se ne parla poco o per nulla! Perché questa distrazione? Ci si preoccupa, più che comprensibilmente, che quasi uno ogni cinque Kg di rifiuti urbani finiscano in discarica. Siamo, infatti, lontani dall’obiettivo del 10% fissato dall’Unione europea per il 2035. Per l’esattezza il 19% dei rifiuti urbani prodotti in Italia è trattato nel peggiore dei modi possibile, il più pericoloso e il più inquinante. Anche il meno controllabile.
Le discariche sono, infatti, un ottimo investimento per le mafie. Allora perché trascurare il 5,7% dei rifiuti speciali non pericolosi e il 13,9% di quelli pericolosi (anno di riferimento 2020) che vengono parimenti smaltiti in discarica? In totale si tratta di 9,9 milioni di tonnellate, quasi il doppio dei 5,6 milioni che vi finiscono dopo la raccolta nei centri urbani.
In ogni caso è bene anzitutto sapere che se anche migliorassimo la qualità della raccolta e le tecnologie di trattamento il 100% di recupero di materia è impossibile. Il limite è imposto da una delle più importanti leggi della fisica nota come “Secondo Principio della Termodinamica”. Una delle conseguenze di questo principio, semplificando il linguaggio ma senza alterare il concetto, è che tutte le possibili trasformazioni reali, che sono irreversibili, presentano un rendimento che è sempre inferiore a uno.
L’economia circolare è, dunque, un mito. Bene allora se il paradigma serve a spronare le nostre economie perché recuperi al suo interno una parte delle materie prime necessarie alla produzione di nuovi beni. Male se induce a pensare che le nostre economie possano crescere indefinitamente senza intaccare nuove e sempre più scarse risorse naturali. Un equivoco, quest’ultimo, cui si perviene se, sorvolando sull’elementare distinzione fra beni durevoli e non durevoli, si sottolinea con compiacimento che la crescita nella produzione di rifiuti urbani è stata nel 2021 più contenuta rispetto all’incremento dei consumi delle famiglie nello stesso periodo (+5,3%) ma si tace sulla stretta e positiva correlazione che da anni si osserva fra l’andamento della ben più rilevante produzione di rifiuti speciali e l’andamento del Pil.
Nelle ultime tre decadi la quantità di materie prime estratte dalla Terra è più che raddoppiata e al ritmo attuale raddoppierà nuovamente entro il 2060. Quel che già nel 1972 aveva prefigurato il Club di Roma, il collasso dell’umanità nel corso di questo secolo, non è più un’ipotesi catastrofista. Chiare e inascoltate suonano le parole di Kenneth Boulding che ancor prima, nel 1966, ammoniva: “Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un folle, oppure un economista”.
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