giovedì 13 novembre 2025

FILOSOFIA, TECNICA, ANSIA E UMANESIMO. CAPPUCCIO E., Riscoprire l’umanesimo nell’epoca disumanizzata, DOMANI, 12.11.2025

 Nei nostri giorni, scrive Rob Riemen in L’arte di diventare uomini, quattro lezioni sulla crisi della nostra epoca, Mondadori, 2025, l’intrecciarsi di crisi che sono, al tempo stesso, economiche, politiche, sanitarie, ambientali, presenta i caratteri di quella “Età dell’ansia”, che Wystan Hug Auden aveva descritto nella prima metà del secolo scorso. Tutto ciò alimenta un diffuso senso di paura e favorisce il sorgere di leadership autoritarie, che rappresentano per molti una soluzione rassicurante. Le nuove tecnologie rischiano, inoltre, di relegare la paideia umanistica in uno spazio angusto, considerandola definitivamente tramontata.




L’arte di diventare umani, per Riemen, si radica in un sapere, che, come ci ha insegnato la tradizione socratica, deve tradursi in uno stile di vita. Il suo monito assume particolare rilievo dinnanzi alla disumanizzazione a cui si assiste quando i valori morali vengono subordinati a criteri meramente utilitari. Il venir meno della coscienza critica implica una delega ai poteri che gestiscono e controllano, attraverso gli attuali strumenti tecnologici, ogni aspetto della società.

Riemen riconosce, in questi scenari, i segni di un nuovo totalitarismo e indica l’esempio di chi, nel secolo scorso, si oppose, in modo esemplare, ai regimi che vedevano nella liberaldemocrazia il nemico da combattere. Nella difesa delle libertà contro le nuove versioni del totalitarismo, Riemen ritiene che sia necessario lottare, «come hanno fatto un secolo fa Michail Bulgakov contro il fascismo sovietico e Thomas Mann contro quello tedesco».

Mann costituisce, per Riemen, la figura esemplare dell’intellettuale che ha incarnato lo spirito di una cultura critica in un momento buio della storia del Novecento. La montagna incantata incarna, in una dimensione dialogica, la tragedia di quel momento, e il Nexus Institute, fondato da Riemen, affronta, nello spirito liberale del dialogo, quei temi che richiamano un copione già noto.

I fascismi si propongono di annullare gli individui nell’ideologia e nello stato, diversamente dalle democrazie, che promuovono il pluralismo. Le società democratiche appaiono fragili rispetto all’esibita solidità delle tirannie, in cui il consenso è assicurato dall’oppio ideologico e dalla forza. Se le democrazie richiedono un costante esercizio di civismo, le autocrazie, per sopravvivere, necessitano di sudditi anestetizzati e sottomessi. Quando il valore della cittadinanza si affievolisce, le democrazie cedono però al leaderismo populista, come accade oggi dall’Europa agli Stati Uniti.

Il pericolo 

I metodi delle ideologie totalitarie possono tuttavia essere adottati, più o meno consapevolmente, anche da chi dichiara di combatterle, come dimostrano i teorici del pensiero woke, che riscrivono la storia secondo un angusto punto di vista, seguendo piste già seguite dal nazifascismo, dallo stalinismo e oggi da Putin, per giustificare il suo progetto di imperialismo postsovietico. La cancel culture, che scaturisce dalle teorie woke, elabora infatti una neolingua, che porta in sé i caratteri di ogni fondamentalismo, sia politico che religioso.

Ecco perché Riemen sostiene che la radicalizzazione delle logiche identitarie considera i singoli come elementi di una unità organica, depositaria di ogni verità. L’universalismo, che ha costituito l’essenza stessa dell’umanesimo, cede così il passo al culto di valori legati a determinati gruppi, e la difesa dei confini che separano tali ghetti prevale sull’esigenza di incontrarsi su un terreno condiviso. Si consolidano, in tal modo, posizioni che divengono sempre più incompatibili, corrodendo la trama delle relazioni che sono alla base della convivenza democratica.

Quando, nelle università europee e americane si promuovono progetti incentrati su elementi identitari, si alimenta il conflitto più che il dialogo, soprattutto se l’eredità dell’educazione umanistica viene messa da parte e considerata solo un’espressione della presunta superiorità occidentale. La relazione tra educazione liberale e cittadinanza universale, ha scritto Martha Nussbaum in Coltivare l’umanità. I classici, il multiculturalismo e l’educazione contemporanea, ha una lunga storia, che dal mondo antico giunge alla modernità. Una prospettiva cosmopolitica adeguata alla realtà globale può allora trovare una fonte in Marco Aurelio, che nei suoi Ricordi invitava ad ascoltare gli altri con attenzione, sforzandosi di penetrare nel loro spirito. Nussbaum, come Riemen, ci ricordano che il messaggio universale della classicità non può essere considerato alla stregua di una sublimazione della visione eurocentrica.

L’arte di essere umani poteva essere coltivata da un imperatore, come Marco Aurelio, ma anche da uno schiavo, come Epitteto, che distinguendo le cose che dipendono da noi da quelle che non dipendono da noi, collocava la libertà entro orizzonte in cui la consapevolezza del limite diveniva fondamentale. Il monito di Epitteto e il richiamo all’empatia di Marco Aurelio risultano essenziali anche nel nostro tempo, in particolare quando vogliamo confrontarci sui temi oggi più sentiti, come, ad esempio, le applicazioni della ricerca scientifica, le conseguenze dello sviluppo economico, la questione ambientale, le politiche di genere.

Per descrivere l’atteggiamento, sovente fazioso, che prevale nelle occasioni in cui questi argomenti vengono affrontati, può essere utile, suggerisce Riemen, ricorrere al termine, Skloka, utilizzato da Olga Freidenberg, la cugina di Boris Pasternak, per illustrare il clima intellettuale dello stalinismo, definito da Osip Mandel’stam «fascismo sovietico».

Il termine Skloka, per quanto la sua traduzione non sia agevole, commenta Riemen, indica una condizione in cui la delazione e l’odio tra fazioni divengono prevalenti. Nella trasformazione di tanti intellettuali contemporanei in puritani postmoderni, Riemen coglie il riflesso di quanto Freidenberg riscontrava nella Mosca staliniana. Anche oggi, infatti, è diffuso il fanatismo ideologico che, nella forma del politically correct, condanna gli eretici, nel discorso pubblico, nelle università, nella stampa.

Il riduzionismo scientifico

Riemen individua nello scientismo un altro aspetto riduzionistico della mentalità ideologica, che, aspira a interpretare la realtà a partire da un unico punto di vista. Nella sua posizione emergono delle consonanze con quei fisici che, da Erwin Schrödinger a Ilya Prigogine, si sono accostati alla ricerca con una visione umanistica. Lo scienziato contemporaneo, scriveva José Ortega y Gasset in La ribellione delle masse, non ha precedenti nella storia. Domina infatti il campo della sua disciplina, ma ignora ciò che una persona colta dovrebbe conoscere, dimostrandosi simile, sotto molti aspetti, a un comune “uomo-massa”.

Schrödinger sosteneva in proposito, in Che cos’è la vita? Scienza e umanesimo, che la «barbarie dello specialismo», denunciata da Ortega, costituiva un «inevitabile male», necessario tuttavia per lo sviluppo della ricerca. Non volendo, però, recidere il legame con l’umanesimo, invitava i suoi colleghi a rimanere in contatto con gli «ideali fondamentali della vita», se non volevano rendere vana la loro opera. In anni a noi più vicini, Ilya Prigogine scriveva, in La nuova alleanza, che «le scienze cosiddette esatte hanno il compito di uscire dai laboratori», per confrontarsi con la molteplice ricchezza di fenomeni a lungo trascurati.

Umanesimo lunare 

Nel Preludio del suo libro, Riemen ricorda la missione dell’Apollo 8, del dicembre 1968. In quei giorni gli astronauti si resero conto, commenta, «di essere partiti per esplorare la Luna, ma di aver scoperto la Terra».  Al ritorno della missione dell’Apollo 13, nel 1971, l’astronauta Edgar Mitchell dichiarò che erano andati sulla Luna da tecnici, ma erano tornati da «umanitari».

Lo sguardo dall’alto degli astronauti, ha rilevato Pierre Hadot in Ricordati di vivere, richiama una serie di immagini che troviamo in Lucrezio come in Goethe, in Luciano come in Voltaire. In un passo delle Naturales Quaestiones, Seneca scrive che «L’anima raggiunge il bene pieno e perfetto della condizione umana quando, calpestato ogni male, si volge verso l’alto e penetra nel seno più profondo della natura», parole, queste, che potremmo declinare al presente nell’umanesimo di Rob Riemen.

Rob Riemen sarà ospite, domenica 16 novembre 2025 alle 10:30 a Vicenza, del Festival dell’arte in un incontro dal titolo “Diventare umani è un’arte”.

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