
«Come può l'uomo conoscere, con la forza della sua
intelligenza, i moti interni e segreti degli animali? Da quale confronto fra
essi e noi deduce quella bestialità che attribuisce loro?» Chissà se quando
Montaigne metteva su carta questi pensieri, nella sua torre immersa nella
campagna del Périgord, poteva immaginare la corrispondenza d'amorosi sensi che
lega i ratti, che soffrono nel vedere i loro simili torturati, e che rinunciano
alle leccornie se per averle viene inflitta una scossa ai loro compari. Chissà
se sospettava la smaccata avversione per le ingiustizie dei cebi dai cornetti,
che controllano con attenzione che i propri compagni siano trattati
correttamente. O che i bonobo hanno tutt'altra idea su come condividere un
piatto di cibo rispetto agli scimpanzé, e che questi ultimi puniscono chi
arriva tardi per la cena, quando la regola imposta dai perfidi ricercatori è
che nessuno mangia se non sono tutti presenti. O, ancora, che l'unico modo che
aveva l'etologa russa Nadia Ladygina-Kohts per fare scendere dal tetto il
testardissimo scimpanzé Joni era di mettersi a piangere. E che le elefantesse
sanno delicatamente prendersi cura di chi sta male, come le orche o i delfini,
che sono cetacei assai compassionevoli.
BEKOFF M., PIERCE J., Giustizia selvaggia. La vita morale degli animali, Dalai, Milano, 2011