UN GRANDE SISTEMA CONCENTRAZIONARIO OMOLOGATO E
OMOLOGANTE
La società di massa
è avvolta in un sistema culturale in cui interagiscono cinema, radio, musica e
stampa intese come altrettante industrie e non come produttrici di arte. Essi
si inseriscono, a loro volta, all’interno di un sistema economico in cui il
potere totale è quello del capitale. In questo doppio sistema gli individui
agiscono in quanto produttori (lavorano) e consumatori (si divertono). Inoltre
“l’aria di somiglianza” che questo sistema conferisce a tutto è propria sia di
Paesi liberi che di Paesi totalitari.
RADIO
La radio non ha
alcun bisogno di fingersi produttrice di arte: essa non lo è in quanto è solo
un mezzo per fare business; gli
ascoltatori sono costretti a seguire i
“programmi tutti uguali” delle diverse stazioni. Ogni traccia di spontaneità
viene immediatamente addomesticata all’interno di programmi che tendono a
convogliare ed assorbire ogni pericolosa presenza di diversità. Le società
radiofoniche sono dipendenti dall’industria elettronica; entrambe, dunque,
risultano cointeressate ed economicamente in palese conflitto di interesse.
CONSUMATORI
Sono classificati e organizzati per bene in
modo da impadronirsi facilmente di loro: “Per
tutti è previsto qualcosa affinché nessuno possa sfuggire; ognuno deve sapersi
orientare secondo il suo livello determinato in anticipo da indici statistici e
rivolgersi alla categoria di prodotti di massa che è stata preparata per il suo
tipo. Ridotti a materiale statistico, i consumatori vengono ripartiti, sulla
carta geografica degli uffici studio in gruppi di reddito, in campi rossi,
verdi e azzurri” (133) Al consumatore non resta nulla da fare se non
consumare quanto è già stato classificato come tale dal sistema della
produzione, in lui sono state atrofizzate sia l’immaginazione che la
spontaneità.
OMOLOGAZIONE E STANDARDIZZAZIONE
Già per la radio si
diceva di programmi tutti uguali trasmessi da stazioni diverse. La stessa cosa
accade per altri tipi di prodotti: nessuna differenza fra automobili Chrysler o
General Motors come pure fra un film della Warner o della Metro Goldwin Mayer:
“Ma anche fra i tipi più cari e meno cari
della collezione di modelli di una stessa ditta le differenze si riducono
sempre più: nelle automobili a varianti nel numero dei cilindri, nel volume,
nel numero dei gadgets; nei film, a differenze nel numero dei divi, nello
sfoggio dei mezzi tecnici, manodopera, costumi e decorazioni, nell’impiego di
nuove formule psicologiche” (134). Anche il cinema e la musica non sfuggono
alla regola: “Si può sempre capire
subito, in un film, come andrà a finire, chi sarà ricompensato, punito o
dimenticato; per non parlare della musica leggera dove l’orecchio preparato
può, fin dalle prime battute del motivo, indovinare la continuazione e sentirsi
felice quando arriva” (135). Allo stesso modo: “i cineasti considerano con
sospetto ogni manoscritto dietro cui non si trovi già un rassicurante best-seller (…) aggiunte all’inventario
culturale sperimentato sono troppo rischiose e azzardate” (145)
IL TRIONFO DEL CAPITALE
Il potere totale
del capitale esige che esso diventi il leit
motiv dominante all’interno di ogni settore produttivo: “E’ il trionfo del capitale investito.
Imprimere a lettere di fuoco la sua onnipotenza – quella del loro padrone- nel
cuore di tutti gli espropriati in cerca di impiego, è il significato di tutti i
film, indipendentemente dall’intreccio che la direzione della produzione scegli
di volta in volta” (134). In ciascuno prodotto si manifesta il modello del
“gigantesco meccanismo economico che tiene tutti sotto pressione fin
dall’inizio, nel lavoro e nel riposo che gli assomiglia” (137)
IPERREALISMO
Nel cinema, in
particolare, si fa largo una tendenza divenuta, in breve, il criterio stesso
della produzione cinematografica. Si tratta sempre più di rendere indistinguibili
realtà effettiva e realtà cinematografica: “La
vita non deve più potersi distinguere dal film” e questo accade a partire
dall’avvento del film sonoro. L’iperrealtà prodotta dal cinema è vista da
Adorno come un’imboscata tesa ai danni dell’immaginazione e al pensiero critico
dello spettatore.
TEMPO DEL LAVORO E TEMPO LIBERO SI
PROLUNGANO L’UNO NELL’ALTRO
Nessuna distinzione
fra tempo del lavoro e tempo libero. La stessa logica che presiede al tempo
della produzione governa quella del tempo libero. Infatti il divertimento,
contro ogni aspettativa, è il “prolungamento
del lavoro sotto il tardo capitalismo (…) La meccanizzazione ha acquistato
tanto potere sull’uomo durante il tempo libero e sulla sua felicità, determina
così integralmente la fabbricazione dei prodotti di svago che egli non può più
apprendere altro che le copie e le riproduzioni del processo lavorativo stesso.
Il preteso contenuto è solo una pallida facciata; ciò che si imprime è la
successione automatica di operazioni regolate. Al processo lavorativo nella
fabbrica e nell’ufficio si può sfuggire solo adeguandosi ad esso nell’ozio”
(148). Tutto ciò va a svantaggio del vero divertimento in quanto il prodotto
(spettacolo) consumato, scontato e prevedibile, finisce per annoiare dato che
il “prodotto prescrive ogni reazione” (148). L’unico divertimento consentito diventa schiavo dell’industria che lo
produce come bisogno; in esso si può “avvertire la manipolazione commerciale,
il sales talk, la voce dell’imbonitore da fiera” (156)
CARTONI ANIMATI E IDEOLOGIA DELLA
VIOLENZA
Anche i cartoni
animati non sfuggono alle regole spietate del sistema. Anzi, in essi si
nasconde l’ideologia profonda che lo nutre: sempre più spesso, in questi
prodotti, “fra gli applausi del pubblico
il protagonista viene scaraventato da tutte le parti come uno straccio. Così la
quantità del divertimento organizzato trapassa nella qualità della ferocia
organizzata (…) Se i cartoni animati hanno un altro effetto oltre quello di
assuefare i sensi al nuovo ritmo, esso è quello di martellare in tutti i
cervelli l’antica verità che il maltrattamento continuo, l’infrangersi di ogni
resistenza individuale è la condizione della vita in questa società. Paperino,
nei cartoni animati, come gli infelici nella realtà, ricevono le loro botte
affinché gli spettatori si abituino alle propri. Il piacere della violenza
fatta al personaggio trapassa in violenza contro lo spettatore” (149).
SESSUALITA’ STIMOLATA E REPRESSA
Gran parte dei
consumi culturali di massa ruotano attorno al tema sessuale, lo evocano, lo
stimolano nel consumatore e, al tempo stesso, lo reprimono e soffocano:
“L’industria culturale non sublima, ma reprime e soffoca. Esponendo sempre di
nuovo l’oggetto del desiderio, il seno nello sweater (maglione) e il busto nudo dell’eroe sportivo essa non fa
che eccitare il piacere preliminare non sublimato che, per l’abitudine della
privazione, è divenuto da tempo puramente masochistico (…) L’industria
culturale è pornografica e prude
(ipocrita)” (151); “La frustrazione permanente imposta dalla civiltà viene
nuovamente impartita e dimostrata alle sue vittime senza possibilità di
equivoci in ogni spettacolo dell’industria culturale. Offrire loro qualcosa e
privarneli è un solo e medesimo atto. Tutto si aggira intorno al coito proprio
perché esso non può mai aver luogo” (152)
IMITAZIONE, RELIGIONE DEL SUCCESSO E
DISILLUSIONE
Nel sistema dei
media e dell’industria culturale forte è il fenomeno dell’illusione imitativa
legata all’ideologia del successo. Tutti vorrebbero diventare simili ai
personaggi esibiti dal sistema dello spettacolo, ma, si sa, solo uno o solo una
potranno aspirare ad esserlo davvero: “Solo
una può avere la grande chance, solo uno è famoso ed anche se tutti,
matematicamente, hanno la stessa probabilità, essa è, tuttavia, per ognuno,
così minima che farà bene a cancellarla subito e a rallegrarsi della fortuna
dell’altro che potrebbe essere benissimo anche lui e che, tuttavia, non è mai.
Dove l’industria culturale invita ancora ad una identificazione ingenua, questa
è subito prontamente smentita” (157).
PSEUDO-INDIVIDUALITA’, MORTE DEL TRAGICO, SPIRITO TRIBALE
Altro fenomeno
della società di massa e dell’industria culturale è quello della pseudo-individualità e del conformismo. Ad esso si collega la
liquidazione del senso del tragico.
Il senso del tragico era la capacità da parte dell’individuo di opporsi alla
società. Questo sentimento, come scriveva Nietzsche, esaltava “il valore e la libertà d’animo davanti ad un
nemico potente,ad una avversità superiore,ad un problema raccapricciante”
(165). Nella società di massa, di fatto, gli individui devono, invece,
sottoporsi ad un permanente rito di iniziazione perché la loro meta, designata
in anticipo, è l’identificazione progressiva e inevitabile col potere di ciò
che gli autori chiamano sprezzantemente racket
(in inglese, il termine designa attività criminose finalizzate al controllo
di attività economiche): “Il contegno del singolo verso il racket
–ditta, professione o partito – prima o dopo l’ammissione, come quello del capo
davanti alla massa, dell’amante di fronte alla donna corteggiata, assume tratti
tipicamente masochistici. Il contegno a cui ognuno è costretto per provare
sempre di nuovo la sua appartenenza morale a questa società, fa pensare ai
ragazzi che, nel rito di ammissione alla tribù, si muovono in cerchio, con un sorriso
ebete, sotto i colpi del sacerdote. La vita, nel tardo capitalismo, è un rito
permanente di iniziazione” (164). Un processo, questo, che finisce per far
somigliare il sistema che lo alimenta al peggior sistema totalitario: “Ma il miracolo dell’integrazione, il
permanente atto di grazia dei padroni di accogliere chi cede ed inghiotte la
propria riluttanza, tende al fascismo” (166). Funzionale ai sistemi
totalitari è proprio questa specie di pseudo-individuo capace sempre di
sgusciare, di arrangiarsi, di sopravvivere, di mostrarsi duttili e plasmabili
per ogni situazione: “La
pseudo-individualità è la premessa del controllo e della neutralizzazione del
tragico” (167). Secondo gli autori, questo aspetto fittizio avrebbe da
sempre caratterizzato il soggetto umano all’interno dell’intera epoca borghese.
Un soggetto caratterizzato dal desiderio di “perseguire sempre e soltanto il proprio scopo” (167)
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