lunedì 8 dicembre 2014

NEUROSCIENZE E NEUROESTETICA. P.L. PANZA - L. TICINI, Così le neuroscienze svelano cosa distingue bello e sublime, LA LETTURA, 30 novembre 2014

Quando il Cicerone britannico Edmund Burke, nel 1757, pubblicò la suaInchiesta sul bello e sul sublime, la distinzione tra i due termini estetici cercava di imporsi come chiara. Il bello era dato dalla completezza formale e dall’armonia tra le parti di un fenomeno; il sublime (definito «eco di un alto sentire») era dato, invece, dalla capacità di sconvolgere l’animo dell’osservatore. «Gli oggetti sublimi sono vasti, quelli belli piccoli; la bellezza è liscia e levigata, il sublime ruvido e trascurato; la bellezza non deve essere oscura, la grandiosità deve essere tetra e tenebrosa…» scriveva Burke.


A partire da questa griglia regolativa fu facile ricavare esempi: è bello l’Apollo del Belvedere proporzionato nelle sue parti ed è invece sublime il Torso del Belvedere, mutilo e contorto, che lascia immaginare ciò che manca. Bella è la Rotonda di Palladio a Vicenza, sublimi sono le rovine in un parco, le gole delle montagne (vedi l’articolo di Franco Brevini Quel piacevole «orrore» delle Alpi svelato dalla religione del sublime, «Corriere», 12 novembre 2014), i temporali, le marine di William Turner…
Allora, il tema del sublime fu trattato anche da Kant e venne anche riscoperto il padre nobile di questa categoria estetica: lo pseudo Longino il cui trattato Del Sublime (I secolo a.C.) venne ristampato infinite volte. Emerse persino una città luogo dell’anima del sublime: Palmira (attuale Siria), la mitica capitale della Regina Zenobia, con le sue rovine romane e le sue tombe cantate da Volnay in Les Ruines (1791), trattatello che infiammò il cuore di Napoleone. Per l’Estetica, questa intuizione avviò una stagione feconda, che portò anche allo sviluppo della psicofisica di Gustav Fechner (1801-1887), la disciplina che cercò di mostrare il rapporto meccanico tra uno stimolo fisico (un colore, un suono) e la sensazione generata, allontanando l’Estetica dall’idea che il bello fosse soggettivo.
Tutte fantasia da filosofi? Tutt’altro.
In uno studio appena pubblicato su «Frontiers in Human Neuroscience» (11 novembre), i neuroscienziati Tomohiro Ishizu e Semir Zeki dell’University College of London hanno cercato un riscontro a livello neurobiologico della distinzione tra le due esperienze. Nella loro ricerca gli autori hanno chiesto ad alcuni volontari (di entrambi i sessi e di diversi gruppi etnici) di osservare e classificare l’esperienza del sublime evocata da 175 immagini tratte dal «National Geographic Magazine». Queste immagini ritraevano ciò che nella letteratura è comunemente associato al senso del sublime, ovvero monti, cascate, foreste, vulcani, tornado, onde oceaniche, ghiacciai, nuvole e deserti. Con la risonanza magnetica funzionale, che ha permesso di localizzare con precisione l’attività del cervello durante la percezione di ogni immagine, i due ricercatori hanno determinato l’attività cerebrale associata all’esperienza soggettiva del sublime. Inoltre, un altro obiettivo dello studio era di confrontare l’attività associata all’esperienza del sublime con quella del bello. Ovvero, capire se il sublime e il bello tracciano nel nostro cervello un’impronta unica, non presente durante altre esperienze.
Certamente, comprendere il sublime da un punto di vista scientifico sembra un’impresa assai difficile: è un complesso di esperienze emozionali e conoscitive di difficile definizione che coinvolge eventi anche opposti, come il piacere e l’orrore. Nel loro lavoro, Ishizu e Zeki (tra i fondatori della neuroestetica, www.neuroestetica.org) hanno dimostrato che l’esperienza del sublime attiva aree cerebrali quali i gangli della base, l’ippocampo e il cervelletto, la cui attività è associata a funzioni anche opposte, come il piacere e l’odio, la memoria, l’amore romantico, la percezione di stimoli potenzialmente dannosi e persino l’esperienza della bellezza in matematica. Invece, è interessante notare che il sublime non coinvolge quelle aree tradizionalmente associate alla percezione di stimoli emotivi, come l’amigdala e l’insula. Ciò rivela che il sentimento del sublime è caratterizzato non soltanto da componenti emotive, ma anche da quelle conoscitive, funzionalmente a un livello più alto. Se questo dato è abbastanza sorprendente, l’analisi di Ishizu e Zeki offre invece una conferma delle intuizioni di Burke: le esperienze del bello e del sublime sono costruite su meccanismi neurali radicalmente differenti. Infatti, strutture nervose come la corteccia orbitofrontale, che numerosi studi hanno associato alla bellezza, non sono attivate dal senso del sublime e viceversa.
Quali insegnamenti possiamo trarre da questo studio? Intanto che, grazie alle moderne tecniche di neuroimmagine, oggi possiamo ampliare le conoscenze sul funzionamento del cervello e sulla sua «cartografia» ed estenderle alle esperienze soggettive. Inoltre, la comprensione dei meccanismi neurali alla base del nostro comportamento e delle nostre percezioni può contribuire al dibattito filosofico, supportandone le teorie con dati scientifici.
Conoscere le reazioni del nostro cervello di fronte a particolari stimoli può essere utile anche ad artisti e architetti. In recenti teorizzazioni, lo storico dell’architettura Harry Francis Mallgrave (Architecture and Embodiment) ha cercato di leggere la storia delle costruzioni come l’evolversi di un rapporto tra stimoli e sensazioni: l’ordine ionico sostituisce il più massiccio dorico perché crea una maggiore empatia con l’osservatore e così via. Ma ciò che vale per il passato, vale anche per il presente e dunque un artista può conoscere a priori quali sensazioni susciterà la sua opera in base a colori o tecniche che usa: la simmetria accenderà le sfere del bello, il camouflage quelle del sublime. E quel che si può sperimentare per i fenomeni naturali e artistici vale anche per la letteratura. Marco Guerini e Jacopo Staiano, ricercatori in Natural Language Processing in Sentiment Analysis, hanno messo a punto una demo (in inglese) sul riconoscimento automatico delle emozioni presenti in un testo, costruita a partire dall’analisi di decine di migliaia di articoli annotati dai lettori con un voto «emotivo» (come quelle che compaiono su corriere. it). Anche da questa demo (http://www.depechemood.eu/index.html) emerge l’idea come a particolari tipi di scrittura e argomenti (stimoli) siano associate delle sensazioni ricorrenti e identificabili, anche appartenenti alla sfera del bello o del sublime.
Pierluigi Panza e Luca Ticini

Nessun commento:

Posta un commento