La memoria di cui sono dotati gli esseri umani, in un mondo in cui ci sarebbero sempre più cose da ricordare, tende ad apparire ogni giorno meno adeguata. Sono tanti i ricordi e le informazioni che possono mancare all’appello nel momento in cui servirebbero: il nome di una persona già incontrata, il numero dell’ennesimo PIN, la password di quel sito internet al quale ci si era iscritti alcuni mesi prima, e così via. Quando le dimenticanze iniziano a ripetersi, subentra la preoccupazione, specie quando si avanza con l’età. Sarà normale una memoria tanto lacunosa?
La frustrazione di non poter ricordare tutto
Certo è che la quantità di informazioni da tenere a mente è aumentata a dismisura negli ultimi decenni, specialmente per chi è impegnato in attività professionali molto “esigenti” sotto questo profilo. Così, oltre ai veri disturbi della memoria, più o meno correlati al possibile sviluppo di demenze, gli specialisti stanno iniziando a individuare condizioni in cui la caratteristica fondamentale è l’insoddisfazione personale per le proprie prestazioni mnemoniche. È come se chi vive nel complesso mondo contemporaneo stesse prendendo coscienza della differenza tra una memoria ideale, capace di ricordare tutto quello che servirebbe, e la memoria reale, che non riesce invece a stare al passo. Una di queste condizioni di memoria normale, ma percepita come insufficiente, è il cosiddetto disturbo funzionale della memoria.
Cos’è il disturbo funzionale della memoria
È uno stato nel quale ci si lamenta già da alcuni mesi delle prestazioni della memoria a fronte di un ambiente che richiederebbe di ricordare molte cose diverse. Non c’è nessuna specifica causa, né fisica né mentale. «É un disturbo più comune tra le persone che si collocano su un piano elevato dal punto di vista degli studi effettuati e dell’appartenenza professionale e socio-economica — spiegano gli autori di una ricerca in merito, guidati da Blackburn del Department of Neuroscience dell’University of Sheffield (Gran Bretagna) —. Persone che hanno un atteggiamento perfezionistico nei confronti delle prestazioni mnemoniche sono più a rischio di sviluppare una risposta di disadattamento a mancanze o errori di memoria, ma anche alle variazioni normali a cui questa funzione va incontro in seguito a cambiamenti dell’umore, allo stress, all’avanzare dell’età». Il fenomeno può avere un carattere di automantenimento. Infatti, chi nota anche piccole difficoltà nella propria abilità di ricordare, aumenta il livello di attenzione nei confronti delle prestazioni cognitive, generando la sensazione che ci sia qualcosa che non va. «In poche parole — dicono i ricercatori — si sviluppa un vero sintomo cognitivo in seguito a un cattivo abbinamento tra una domanda di memoria molto esigente, ad esempio per motivi professionali o per la necessità di lavorare in multitasking, e le risorse mnemoniche disponibili». E più la condizione di stress si prolunga, più la memoria, spremuta, tende a funzionare male, così che la condizione diventa disturbante.
Il deterioramento cognitivo lieve
Un’altra condizione di memoria insoddisfacente, ma non necessariamente patologica, è il cosiddetto mild cognitive impairment (“deterioramento cognitivo lieve”). Si tratta di uno stato sulla cui natura, e soprattutto sulla cui evoluzione, ci sono molte perplessità anche tra gli esperti. Chi ne soffre manifesta una reale riduzione delle capacità cognitive, soprattutto quelle mnemoniche, ma il funzionamento della vita quotidiana è preservato. Può essere dovuta all’età, o essere la conseguenza di uno stato depressivo prolungato, di un cronico abuso di alcol. A questa variabilità di cause corrispondono sintomi sfumati e incostanti, e un’incertezza sull’evoluzione. «L’intenzione originaria di questa diagnosi era di consentire l’individuazione di persone ad alto rischio di Alzheimer o di altre condizioni neurodegenerative che possono portare alla demenza — spiegano i ricercatori —. Ma è un obiettivo che non si può considerare raggiunto». Infatti, in molti casi il deterioramento cognitivo lieve è una condizione transitoria, che consente un pieno recupero, come accade quando si supera uno stato depressivo protratto. Quindi, non ha nulla a che vedere con nessuna forma di demenza né presente né futura. «Eppure tra i non specialisti e la gente comune c’è la convinzione che qualunque grado di deterioramento cognitivo lieve indichi persone che procederanno inesorabilmente verso una forma di demenza» aggiungono gli autori dello studio. E una ricerca realizzata tra i neurologi americani ha dimostrato che perfino il 20% di loro aveva tale erronea convinzione. Queste condizioni, un po’ a metà strada fra lo stato normale e quello patologico, indicano che tra di essi non vi è una netta separazione. Si può avere una perdita di alcune funzioni cognitive del tutto transitoria, o stabile ma che non procederà mai oltre, mentre solo pochi casi diventeranno vera demenza. La ricerca è impegnata a individuare il più precocemente possibile proprio quegli specifici casi.
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