Tra noi e le scimmie anche più evolute e capaci c’è un’enorme differenza, in diverse caratteristiche biologiche ma soprattutto nel cervello. Noi possediamo una corteccia cerebrale molto più estesa e probabilmente meglio connessa. Questo secondo punto è ancora molto difficile da esplorare, ma in quanto alle dimensioni le differenze sono indubbie.
Che cosa ha fatto crescere enormemente la nostra corteccia cerebrale? Non si sa, ma si deve trattare di un certo numero di geni dello sviluppo e della loro azione. Uno di questi, denominato ARHGAP11B, è certamente coinvolto in questo processo, come dimostrato in un lavoro che esce oggi sulla rivista Science, condotto da Marta Florio e collaboratori nel laboratorio di Dresda di Wieland Huttner. Questo gene non esiste nel genoma delle scimmie antropomorfe, mentre è presente in noi e nei nostri cugini Neandertal. Ha fatto la sua comparsa cioè nella linea evolutiva che porta all’uomo dopo la sua separazione da quella delle attuali scimmie antropomorfe, come gli oranghi e gli scimpanzé e, fatto agire in un embrione di topo, gli espande notevolmente la corteccia cerebrale, ispessendola e facendola cominciare a ondularsi in circonvoluzioni primordiali. Si presenta quindi come un ottimo candidato per il ruolo di “promotore” della nostra crescita cerebrale. Non sarà stato l’unico, certamente, ma certo un protagonista di tale processo. Che non sarà stato l’unico lo sappiamo anche perché come sottoprodotto del lavoro sperimentale che ha portato a questo appassionante risultato c’è stata l’individuazione di una cinquantina di geni che esistono in noi ma non negli scimpanzé. Non tutti saranno attivi nel cervello e non tutti saranno importanti, ma c’è da aspettarsi per il prossimo futuro una vera e propria “cascata” di geni specificamente umani. Il laboratorio di Dresda ha collaborato con quello di Lipsia diretto da Svante Paabo, che “sa tutto” anche sui Neandertal, conferendo alla notizia un risalto tutto particolare. Una grande corteccia cerebrale da sola non garantisce niente per quanto riguarda le capacità intellettive del possessore, a queste non possono certamente essere eccelse in una corteccia cerebrale molto più piccola della nostra. Personalmente, sono molto curioso di vedere dove porta una storia del genere e sono sicuro che presto ne vedremo delle belle. Penso che anche Darwin vi si sarebbe interessato, visto l’enorme effetto che gli fece l’osservazione di Jenny, un orango femmina, allo Zoo di Londra nel marzo del 1838.
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