C’è stato progresso nella nostra storia? E perché succedono ancora tante cose brutte? Se è esistito un progresso, continua anche oggi oppure si è fermato? Sono domande scottanti e di grande attualità. Vale la pena dedicarci una riflessione.
Un tempo si parlava in verità molto di progresso, e se ne parla ancora, anche se il termine non è più tanto d’attualità. Sono successi due tipi di cose apparentemente antitetiche che hanno messo in ombra il concetto stesso e generato fiumi di polemiche. Da una parte, il progresso materiale è divenuto sempre più imponente, per non dire travolgente, e questo nonostante che la sua avanzata, come è sempre più chiaro, non abbia tenuto lo stesso passo nelle diverse parti del mondo. Dall’altra parte abbiamo la criminalità che non accenna a diminuire, l’aumento della conflittualità internazionale, che assume forme sempre nuove, e il perdurante ricorrente imbarbarimento di gruppi sociali e intere nazioni, capaci di tutto, come se si fosse ritornati al tempo delle caverne. Insomma, c’è o non c’è progresso? Si va sempre avanti oppure ogni tanto si torna un po’ indietro? E se si va sempre avanti, perché la velocità del mutamento è così bassa e oscillante?
Per progresso si possono intendere almeno due diversi tipi di successione di eventi. Da una parte c’è un progresso materiale, fatto di realizzazioni e conoscenze, di natura prevalentemente tecnico-scientifica; dall’altra, un progresso morale e civile, che coinvolge soprattutto i comportamenti e gli atteggiamenti mentali. Il primo corre veloce, soprattutto oggi, e raramente mostra ondeggiamenti. È il nostro vanto e il nostro orgoglio. Il secondo stenta, e a volte sembra retrocedere, seppur temporaneamente. I problemi nascono in gran parte dal confondere tra loro questi due tipi di progresso. Che sono molto diversi. Di natura esterna, collettiva e culturale il primo; di natura interna, individuale e biologica il secondo. E con due velocità molto diverse: veloce il primo, lento o lentissimo il secondo. Perché? Perché acquisire nuove conoscenze e nuove tecniche si può fare insieme ad altri esseri umani, che si trovano intorno a noi, e a volte anche a distanza, nello spazio e magari nel tempo: posso imparare infatti leggendo e studiando cose scritte da persone che non ci sono più come Einstein, Kant, Platone o Talete. I comportamenti, al contrario, sono individuali: posso leggere e ascoltare precetti meravigliosi, ma metterli in pratica è un’altra cosa. L’imitazione e l’emulazione sono spinte potentissime, ma dall’esito non garantito, anche se a volte c’è una costrizione. Se gli insegnamenti sono poi fuorvianti o perversi, buonanotte! Questo è in fondo il motivo per cui le società possono essere civili o civilissime, mentre non tutti i loro membri si comportano come si deve. Da sempre.
«Video meliora proboque, deteriora sequor», diceva il poeta latino Ovidio. E questo per tante ragioni; anzi per quattro miliardi di ragioni, tanti quanti sono gli anni dell’evoluzione biologica dei viventi. La nostra parte animale ha le sue logiche, che a noi non piacciono, ma che hanno spesso un loro perché. Quelle che chiamiamo egoismo, ambizione, desiderio di sopraffare, difesa del territorio — anche se questo non si vede — diffidenza, competitività e via discorrendo sono tutte logiche comportamentali animali che ci spingono — anche se non ci costringono — a comportarci male. Più una, tutta nostra: «Me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale», l’espressione fatidica di Leopardi. E prima che queste cose cambino ci vorranno decine e decine di migliaia di anni. L’evoluzione culturale non ha invece tutte queste remore e questi impacci. E può procedere al ritmo che le condizioni sociali, magari internazionali, ci consentono. Come osserviamo tutti i giorni. I cambiamenti biologici richiedono quindi decine e centinaia di migliaia di anni, praticamente un’eternità.
Ma c’è un però, anzi due. Una prima eccezione a queste valutazioni può venire dalla presenza di consistenti pressioni selettive ambientali. Le stime generiche che abbiamo dato si riferiscono a generici caratteri biologici di media importanza. Ma le cose possono andare anche più veloci, in presenza di rilevanti spinte evolutive. Per esempio la pelle dei primi uomini che invasero l’Europa provenendo dall’Africa divenne più chiara in solo qualche decina di migliaia di anni, mentre la capacità di digerire il latte anche da adulti — capacità presente in noi uomini moderni ed assente in tutti gli altri mammiferi — è comparsa nei nostri antenati in un tempo di qualche migliaio di anni. Per non parlare dei cambiamenti che alcuni animali hanno fatto in pochi anni per adattarsi all’ambiente delle nostre città. Perché in tutti questi casi i premi erano consistenti e i rischi del mancato cambiamento alti.
In linea di principio è quindi possibile accelerare i mutamenti biologici, sottoponendo gli uomini ad adeguate pressioni selettive, ma l’operazione appare decisamente complessa e anche rischiosa; insomma estremamente difficile da mettere in pratica. Ma non è tutto qui, come vado già dicendo da qualche tempo. Esiste la possibilità di modificare in laboratorio parte del nostro genoma, indirizzando così da fuori, per così dire, la nostra evoluzione biologica. Saremmo così la prima specie che modifica il corso della propria evoluzione biologica, utilizzando le conoscenze scientifiche accumulate grazie alla propria evoluzione culturale.
Se ne parla sempre più spesso, anche grazie alla messa a punto di tecniche genetiche sempre più potenti e precise. Si farà, non si farà? Io sono uno di quelli che pensa che si farà presto, ma il futuro riposa sulle ginocchia di Giove. Se si farà, è più che opportuno farlo bene, per migliorarci, non per peggiorarci. Ma che cosa vuol dire migliorarci? E perché? Questa sì che è etica e riflessione etica, altro che divorzio e unioni civili! Se dobbiamo indirizzare la nostra evoluzione, facciamolo consapevolmente e «con la mente tutta spiegata».
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