Dalla "Scala F" di Theodor Adorno alla "Psicologia di massa del fascismo" di Wilhelm Reich: ancora oggi considerati dei classici per le moderne ricerche in campo psicologico e neuroscientifico sulla "personalità autoritaria" e sulle possibili cause del suo riaffiorare nelle società contemporanee.
di Emiliano Brancaccio
E’ possibile misurare il “tasso di fascismo” in ciascuno di noi? Una carovana di opinionisti si è dedicata nei giorni scorsi a decretare l’assoluta irrilevanza della questione. Per alcuni di essi, non solo le analisi sulla diffusione di una rinnovata cultura fascistoide sono ridicole, ma la stessa parola “fascismo” è da ritenersi talmente stantia che bisognerebbe abolirla dal lessico politico odierno. Difficile dire se tali giudizi siano spassionati o piuttosto indotti dall’esigenza di adattarsi a questo mondo nuovo, pervaso da aspiranti leader sempre pronti a spendere buone parole per il Ventennio. In ogni caso vale la pena di ricordare che un tempo, su questioni simili, si rideva poco. Negli anni immediatamente successivi alla carneficina della guerra, l’intento di comprendere le ragioni che avevano decretato il successo del nazifascismo muoveva i più autorevoli centri di ricerca scientifica, in Europa e negli Stati Uniti. Lo scopo era chiaro: dotarsi di efficaci segnali di allarme per non ripetere gli errori che avevano condotto l’umanità in quell’abisso. Theodor Adorno, esponente di punta della Scuola di Francoforte, nel 1950 elaborò la cosiddetta “Scala F”, dove “F” sta appunto per fascismo [...]
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