L’Associazione Italiana di Psicoanalisi (AIPsi) esprime la sua convinta inquietudine per le modifiche di recente apportate alla legge relativa alla legittima difesa.
Non solo siamo in accordo con il presidente Mattarella e con i tanti esponenti della società civile – compresi alcuni autorevoli magistrati – che sottolineano quanto sia impropria una deriva che affidi ai singoli cittadini le funzioni di protezione e sicurezza che competono allo Stato; ma inoltre pensiamo, sulla base delle nostre specifiche competenze, che sia pericoloso ed ambiguo invocare nell’ambito del diritto fattori psicologici quali il “grave turbamento emotivo” che autorizzerebbe la potenziale violenza difensiva.
Così si insinua nelle aule di tribunale l’impalpabile sensazione soggettiva umorale; per cui ciò che conta – come si fa con la temperatura – non è la minaccia reale, ma quella “percepita”.
Analogamente, per citare un altro dibattutissimo esempio recente, riteniamo inaccettabile invocare come attenuanti di un delitto le “tempeste emotive” temporanee di un imputato.
Ogni individuo, in normalità e patologia, è una complessa interazione di fattori affettivi e cognitivi. Non è possibile ipotizzare una ‘parte’ emotiva contrapposta ad un’altra ‘parte’ ideativa. Non è corretto credere che la parte che sbaglia sia sempre la cosiddetta ‘pancia’, poiché anzi spesso a spingere ad azioni criminose è piuttosto la ‘testa’.
Dietro ogni emozione c’è comunque un’idea, o un pregiudizio, o una visione del mondo più o meno distorta.
Deve comunque essere chiaro che non esiste alcun criterio oggettivo psicologico per poter accertare quanto un’emozione sia o sia stata soverchiante in una determinata circostanza, per non correre il pericolo di dare all’arbitrio del singolo – giudice o perito – una pretesa di scientificità.
Rischi e malintesi che discendono da un uso improprio e confusivo degli strumenti psicologici nell’ambito del diritto meritano una assai più approfondita discussione.
A.I.Psi. Associazione Italiana di Psicoanalisi. Via di Priscilla 128
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