Anselm Jappe (Bonn, Germania, 1962) è un pensatore inclemente e vigoroso, allergico ad ogni argomento consolatorio e ai sotterfugi intellettuali. Da anni, insieme ad altri devianti da quella che è l'ortodossia marxista (Robert Kurz in Germania, Moishe Postone negli Stati Uniti, Luis Andrés Bredlow in Spagna) continua a mettere in discussione gli assiomi di una sinistra che negli ultimi decenni, secondo Jappe, è stata incapace di comprendere le trasformazioni del capitalismo . Per Jappe ed i suoi, il filo di Arianna che bisogna seguire, per poter decifrare lo spirito dell'epoca, è la cosiddetta "critica del valore": «Mentre il marxismo tradizionale si è sempre limitato a chiedere una diversa distribuzione dei frutti di questo modo di produzione, la critica del valore ha cominciato a mettere in discussione il modo stesso di produzione». [...] Il suo ultimo libro - "La Société autophage. Capitalisme, démesure et autodestruction", un esaustivo studio del meccanismo impazzito nel quale il sistema economico si è convertito, e su come il suo funzionamento ci stia portando a fare la fine di Erisittone. il re greco che finì per divorare sé stesso quanto arrivò al punto in cui non c'era più niente in grado di soddisfare il suo appetito - funziona come un'allegoria di una civiltà, la nostra, che, accecata dall'eccesso, si autodistrugge. Anselm Jappe, risponde qui alle domande che El Salto gli ha posto via e-mail.
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El Salto: Lei parte dall'idea secondo la quale la "critica del valore" permette di dare un senso a fenomeni sociali, culturali e politici differenti che, a priori, sembrano non avere alcuna relazione fra di loro. Potrebbe spiegare che cos'è la "critica del valore", e perché ritiene che possa essere lo strumento più accurato per poter comprendere la società capitalista?
Anselm Jappe: «La critica del valore è una tendenza internazionale, nata in Germania alla fine degli anni '80 intorno alla rivista Krisis e a Robert Kurz, che propone una critica radicale della società capitalista basata sulle teorie di Marx, ma che prende le distanze dal marxismo tradizionale. La critica del valore pone al centro le categorie della merce, del valore, del denaro e, soprattutto, quella del lavoro astratto, vale a dire, il lavoro considerato solo per la quantità di tempo speso, senza tener conto del suo contenuto.
Per la critica del valore, lo sfruttamento e la lotta di classe sono solo una parte del problema: il capitalismo è anche una subordinazione del concreto all'astratto, cosa che rende una società incapace di autoregolarsi, e questo lo vediamo nella crisi ecologica. La critica del valore si oppone alla frammentazione postmoderna del pensiero: la logica della merce e del lavoro astratto crea una teoria capace di pensare la totalità.»
El Salto: Nel libro, oltre la critica del valore, ricorre costantemente la psicoanalisi. Cosa può dirci oggi la psicoanalisi? In che modo integra la critica del valore?
Anselm Jappe: «Il feticismo della merce, una categoria critica essenziale di Marx che è stata ripresa dalla critica del valore, si riferisce ad un livello profondo ed inconscio della società. Al di là di quelle che sono i loro intenti coscienti, gli individui si trovano ad eseguire gli imperativi di un sistema sociale anonimo ed impersonale. Marx chiama il valore il «soggetto automatico». Da parte sua, la psicoanalisi è un altro modo di comprendere quel lato inconscio della vita sociale. Entrambi gli approcci sono complementari, ma devono però essere integrati: in generale, la psicoanalisi ha posto l'accento in maniera unilaterale sull'individuo, trascurando la dimensione sociale e la sua evoluzione storica, mentre il marxismo ha trascurato la dimensione psicologica a favore solo del livello economico e politico. Sotto la superficie razionale della ricerca dei propri interessi, il capitalismo rimane una società estremamente irrazionale e controproducente che non può essere spiegato solo mediante le motivazioni consapevoli degli attori sociali.»
El Salto: Perché dice che il '68 è l'anno inaugurale di un nuovo capitalismo, di un capitalismo che può essere chiamato "narcisista" in confronto al suo predecessore, il "capitalismo edipico"?
Anselm Jappe: «Il carattere sociale basato sul duro lavoro, sul risparmio, sulla repressione delle pulsioni, sull'obbedienza all'autorità, ecc., a partire dalla seconda guerra mondiale stava cominciando a non essere più funzionale. I profondi cambiamenti sociali avvenuti a partire dal 1968 non hanno portato, sotto alcun aspetto, al superamento del capitalismo, ma piuttosto alla sua modernizzazione. Molte esigenze di liberazione individuale hanno incontrato la loro pseudo-realizzazione nella società dei consumi. La sottomissione "edipica" ad un'autorità personale - per esempio, un maestro che predica "patria, lavoro e famiglia" - è stata sostituita dall'adesione ad un sistema che apparentemente permette che gli individui possano realizzare le loro proprie aspirazioni... Ma tutto questo a condizione, ovviamente, che ciò avvenga in termini di mercato! Ora, per esempio, gli insegnanti sono diventati degli allenatori che vogliono aiutare i giovani ad essere assunti nel mercato del lavoro e a realizzare i loro "progetti di vita".»
El Salto: Lei scrive che "le vecchie istanze di liberazione oggi sono integrate nell'ideologia del sistema". Anche la sinistra continua a rimanere legata ad una visione del mondo che non ha ancora assimilato tale rottura che lei afferma si sia prodotta nel 1968?
Anselm Jappe: «Di solito è così. C'è una tendenza assai diffusa ad identificare il capitalismo contemporaneo come le sue fasi passate e a disinteressarsi dell'evoluzione che c'è stata. Perché? Essenzialmente, perché è molto più facile concepire una visione dicotomica nella quale "noialtri" - il popolo, il proletariato, i lavoratori, il 99% - siamo i "buoni", contro una piccola minoranza che ci opprime. È assai più difficile ammettere fino a che punto tutti noi ci troviamo implicati nel sistema, e rimettere in discussione la nostra adesione personale a molti valori e stili di vita dominanti.»
El Salto: Come fare allora ad affrontare un sistema che, come lei dice, è un meccanismo cieco ed autonomo, del quale nessuno può assumersi la responsabilità e che non è possibile controllare?
Anselm jappe: «È essenziale il fatto che non si tratti di responsabilità personali - le quali, ciò nonostante, esistono; basta pensare alla Monsanto - Bayer e alle sue campagne di disinformazione circa la pericolosità dei loro prodotti come il Roundup - naturalmente, questo non impedisce che possiamo e dobbiamo opporci a qualsiasi deterioramento delle condizioni di vita che venga provocato da una logica economica scatenata, che si tratti di una miniera o di un aeroporto, di un centro commerciale o di pesticidi, di un'ondata di licenziamenti o dalla chiusura di un ospedale. Tuttavia, allo stesso tempo è necessario cambiare la propria vita e rompere con i valori ufficiali assimilati, come quello di lavorare tanto per poter consumare tanto, e farla finita con gli imperativi della concorrenza, dell'efficienza, della velocità, senza domandarsi al servizio di chi si debba essere efficienti.»
El salto: Al netto dei pericoli che implica la digitalizzazione della vita, l'Intelligenza Artificiale e l'ingegneria genetica, che tipo di mondo ci stanno consegnando queste tecnologie che noi abbracciamo con entusiasmo, come esse fossero la soluzione ai nostri problemi?
Anselm Jappe: «L'opinione pubblica è perplessa e divisa nei confronti di queste tecnologie. I pericoli sono noti. Ma assai spesso vengono evidenziati anche quelli che sono i suoi presunti vantaggi: le piante geneticamente modificate aumentano i rendimenti agricoli, la ricerca genetica combatte le malattie rare, l'intelligenza artificiale gestisce intere città in maniera ecologica, l'utilizzo precoce dei computer serve ad aumentare l'intelligenza dei bambini... Si suppone che in ogni occasione si debbano soppesare vantaggi e svantaggi. Ma il vero problema, la vera questione è un'altra: non esiste alcun problema attuale che richieda una soluzione tecnica. Si tratta sempre di problemi sociali. Perché aumentare la produzione e i rendimenti agricoli per mezzo di colture transgeniche quando buona parte dei raccolti viene gettata in mare per poter mantenere alti i prezzi? Perché mescolare i geni per combattere malattie rare quando ci sono milioni di persone che muoiono per le malattie più comuni, provocate, ad esempio, dall'acqua contaminata? Perché gestire la città per mezzo degli algoritmi di Google, invece di, piuttosto, rinunciare alla plastica, al petrolio, alle automobili, al cemento armato o all'aria condizionata, per poter avere un ambiente più sostenibile?»
El Salto: Lei dice che uno dei grandi problemi della nostra società è quello per cui essa ci condanna a vivere in un'infanzia perpetua, perché il capitalismo, per poter funzionare, ha bisogno che noi restiamo come se fossimo bambini ?
Anselm Jappe: «Da una parte, ogni potere separato richiede sudditi infantili. Per molto tempo, a svolgere questa funzione è stata la religione. Sotto alcuni aspetti, il 19° secolo ha segnato l'inizio di un'emancipazione mentale a livello di massa, rispetto alla quale il 20° secolo rappresenta piuttosto una regressione. Più il consumatore obbedisce ai suoi impulsi immediati, più il mercato e lo Stato approfittano di lui. La tendenza ad un narcisismo generalizzato significa anche una regressione ad uno stadio primitivo dell'infanzia, dove non esiste una vera e propria separazione tra l'Io ed il mondo. Come spiego nel mio libro, questo narcisismo solipsista è legato alla logica del valore e del lavoro astratto, che nega l'autonomia del mondo allo stesso tempo in cui lo riduce ad un'emanazione del soggetto.»
El Salto: Cinquanta pagine del suo libro sono dedicate ad una riflessione sulle nuove forme di crimine e di terrorismo. Quali sono le caratteristiche di questa nuova violenza e di cosa ritiene che siano sintomi?
Anselm Jappe: «Il crimine è diventato altrettanto irrazionale ed autoreferenziale di quanto lo è la logica economica - l'accumulazione tautologica del lavoro, del valore e del denaro - e di quanto lo è la psiche narcisista degli individui. L'"Amok", nelle sue varie forme, è il supremo esempio di un crimine che ormai non obbedisce più alla realizzazione di un interesse, accettandone i rischi, ma è piuttosto, in questo caso, la distruzione e l'autodistruzione che si convertono in fine in sé stesso. L'odio del soggetto della merce per il mondo e per sé stesso, di solito normalmente latente, diventa qui manifesto, ed è per questo che colpisce con tanta forza l'opinione pubblica. E che poi a questo si aggiunga una qualche pseudo-razionalizzazione politica o religiosa, spesso è qualcosa di secondario: nel crimine gratuito, appare evidente quello che è il vuoto fondamentale che abita l'individuo contemporaneo, in quanto dominato da un'economia che è impazzita.»
El Salto: Lei scrive che «un ritorno allo stato sociale non è né possibile né desiderabile»: perché non è possibile, e perché non è neppure desiderabile? In che cosa consistono allora questi «compromessi sopportabili» dei quali si parla alla fine del libro?
Anselm Jappe: «Durante quella che è stata l'ultima grande epoca dell'accumulazione economica, il cosiddetto "miracolo economico del dopoguerra, lo "Stato sociale" è stato finanziabile. Oggi, spesso quest'epoca viene spesso ricordata con nostalgia, soprattutto in Francia, come un'età dell'oro. C'è una parte della sinistra che vorrebbe semplicemente ritornare a quella situazione. Tuttavia, la sua fine non è stata dovuta solamente ad una controffensiva del capitale in epoca neoliberista, ma piuttosto a quella che è stata la diminuzione oggettiva dei benefici come conseguenza della sostituzione del lavoro vivente - unica fonte di valore e di conseguenza del plusvalore e del profitto - con le tecnologie.
La rivoluzione microelettronica degli anni '70 ha intensamente accelerato la sparizione del lavoro vivente, e di conseguenza dei benefici, e infine della possibilità di finanziare lo Stato sociale. Va anche detto, inoltre, che la società degli anni '60 era rigida e noiosa, con un futuro del tutto già definito per i giovani. E fu contro quel modo di vivere che nel 1968 si sollevò la gioventù mondiale. La perenne precarietà, stabilita successivamente dal neoliberismo, è una sinistra parodia della vita avventurosa. Anziché sognare un capitalismo moderato, oggi bisogna spingersi al di là di una società in cui dobbiamo accontentarci delle briciole sotto forma di "protezione sociale".»
El Salto: Quali sono i punti di forza, e quali le debolezze, che vede nel movimento femminista cresciuto negli ultimi anni?
Anselm Jappe: « Per certi aspetti, il movimento femminista ha avuto un'evoluzione paragonabile a quella del movimento operaio storico: dopo il rifiuto iniziale da parte di tutta la società che produce l'oppressione del gruppo stesso, si è cominciato a sforzarsi di cercare una integrazione migliore - in un caso, quella degli operai; nell'altro caso, quella delle donne - in un sistema che ormai non veniva messo veramente in discussione, e con qualche posizione privilegiata per alcuni portavoce. Gli operai ottennero il diritto al voto e, successivamente, un'automobile ed una piccola casa di proprietà; qualcuno è arrivato a diventare perfino ministro. Le donne, oltre a poter votare, hanno potuto diventare poliziotti, ed alcune di loro anche ministre. Ma la cosa non piace a tutti. Nel campus dell'Universidad Complutense [Madrid, Spagna] c'è un graffito che dice: "Contro il femminismo liberale".
La critica del valore, d'altra parte, si è trasformata in "Critica della scissione-valore", un termine un po' complicato che serve ad affermare che la "scissione" della sfera del non-valore in senso economico, tradizionalmente assegnata alle donne (essenzialmente, quelle che sono le faccende domestiche ed i comportamenti a tali faccende correlati), costituisce un presupposto essenziale della produzione di valore economico. Pertanto, la critica del patriarcato rappresenta una parte fondamentale della critica del valore: il capitalismo è patriarcale per sua natura, e senza l'abolizione del patriarcato non verrà superato.»
El Salto: Come interpreta, a partire dalla critica del valore, l'ascesa del populismo e dell'estrema destra? Ritiene che il populismo sia trasversale e che abbia poca importanza il fatto che si riferisca a "quelli che stanno in basso" o alla "nazione".
Anselm Jappe: «Le diverse forme di populismo reagiscono ai mali sociali - soprattutto, all'iniqua distribuzione della ricchezza - identificando in questo un gruppo di responsabili personali: i ricchi, i banchieri, i corrotti, gli speculatori. Vengono ignorate le logiche sistemiche r tutto viene ridotto al moralismo ("all'avidità"). Quasi sempre, il populismo santifica il "lavoro onesto" opponendolo ai "parassiti". Pertanto, la differenza tra populismo "di destra" e populismo "di sinistra" non è poi così grande come si crede. Entrambi si basano su un falso anticapitalismo. Non si tratta di una novità assoluta; negli anni '20 e '30 del secolo scorso c'erano già simili fenomeni. Ecco perché l'antisemitismo ne costituiva un aspetto essenziale. Ma questo esiste anche al giorno d'oggi, in forma sotterranea ed a volte apertamente, nella denuncia dello "speculatore".»
El Salto: Nel suo libro sostiene che non viviamo in una società così laica come ci piace pensare che sia, e che Dio è stato sostituito dal Mercato. Possiamo vivere a prescindere dagli idoli e dagli dei?
Anselm Jappe: «Finora, nella storia un tipo di religione ne ha sempre sostituito un altro. La cosiddetta secolarizzazione non ha avuto luogo; sotto certi aspetti, la merce costituisce una religione più subdola di quella antica, perché ciascuna merce particolare rappresenta un essere fantasmagorico: la quantità di lavoro astratto che l'ha prodotta.»
El Salto: Anche lei crede che, com'è avvenuto per Erisittone, finiremo per autodistruggerci? Oppure saremo capaci di tirare il freno prima della catastrofe definitiva? Il capitalismo finirà andando a sbattere contro i limiti del pianeta, oppure inciamperà prima nelle sue stesse dinamiche?
Anselm Jappe: «Chi può saperlo! Il mio libro vuole essere semplicemente un piccolo contributo per poter evitare questa catastrofe. Può sembrare una fesseria, ma dipende da ciascuno di noi. L'atteggiamento, il comportamento di ciascuno rispetto a quelle che sono le sfide del presente non dipende più tanto dall'appartenenza ad una classe sociale, ad un paese, ad una razza, ad un sesso. Ciascuno di noi è chiamato ad assumere delle posizioni riguardo quelle che sono le molteplici questioni aperte. Le frontiere tradizionali (dominatori/dominati, ricchi/poveri, sud/nord del mondo) oggi appaiono essere un po' confuse, ma questo costituisce anche un'opportunità. Soprattutto è la questione ecologica e climatica quella che può essere alla base di un ampio movimento di contestazione... E che, ciononostante, incontrerà senza dubbio anche dei nemici.»
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