Un'indagine completa che salvi le scuole dal pregiudizio di essere un luogo di contagio non esiste. Così come non esistono dati che "assolvano" gli istituti dal ruolo di "super diffusori". A sostenerlo è il microbiologo Andrea Crisanti secondo il quale, in questo momento particolare dell'epidemia, prima di decidere se riaprire o no le strutture, occorrerebbe prima avere dati scientifici sui quale basare le scelte.
"Ancora oggi – spiega Crisanti - non sappiamo quanto le scuole contribuiscano alla trasmissione del virus e questo penso sia inaccettabile. Abbiamo assunto come un dogma che dentro la scuola non ci sia trasmissione, ma in realtà non c'è nessuna prova a riguardo. I dati non sono stati resi pubblici, non sono stati analizzati dalla comunità scientifica". La cosa paradossale, continua Crisanti, è che in Italia "abbiamo fior di matematici e fisici che sarebbero in grado di dare rispost a queste domande”. Risposte certe e scientifiche. E invece non li si coinvolge in questa valutazione.
Secono il microbiogo, già protagonista del contenimento della prima ondata nella Regione Veneto, di cui era consulente, “la cosa giusta da fare sarebbe prendere una zona gialla, una zona arancione e una zona rossa, aprire in un distretto scolastico le scuole per due, tre settimane e vedere cosa succede". E solamente dopo, prendere decisioni. "Anche perché - conclude Crisanti -Penso che andremo avanti con le zone gialele rosse a arancioni ancora per parecchio”.
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