Ricordate gli animali selvatici in città, volpi, cinghiali, cervi? Il canto degli uccelli tra i palazzi? I cieli improvvisamente tersi, i canali di Venezia limpidi e ricchi di pesci? Il primo duro confinamento, un anno fa, aveva aperto uno squarcio nell’Antropocene. Animali e presenze non umane come le acque cristalline e l’aria pura avevano fatto irruzione nelle nostre vite. Da qualche tempo, la parola Antropocene è diventata di uso comune. Indica l’epoca in cui l’essere umano è diventato così potente e arrogante da incidere persino il destino geologico della Terra. Le nostre economie insostenibili stanno cambiando il clima, forse in modo irreversibile.
Non è detto che la tragedia della pandemia ci faccia riaprire gli occhi. Forse siamo semplicemente in attesa di riprendere la nostra insostenibile normalità. Eppure, già prima del virus, movimenti come Fridays for Future lasciavano intravvedere il sorgere di un nuovo pensiero ambientalista. Si tratta di un’utopia che ha radici antiche e forse apre scenari di futuro. Potremmo chiamarla Koinocene, una nuova era in cui l’essere umano saprà riconoscere la «somiglianza», la «comunanza», la «partecipazione», le «relazioni» (tutti termini racchiusi nel sostantivo greco koinotes e nell’aggettivo koinos) tra tutti gli esseri viventi e non viventi che abitano il pianeta.
Il «nuovo» ambientalismo non è più la difesa di una Natura intesa come «altro» dall’uomo, quanto piuttosto la richiesta di riconoscimento dell’interdipendenza tra gli abitanti di Gaia, la Terra, umani e non umani. Come ha scritto l’antropologo francese Philippe Descola, è tempo di andare Oltre natura e cultura (Raffaello Cortina, 2021), recuperando e rivitalizzando le ecologie di quei popoli che hanno pensato l’essere umano in relazione al pianeta e non come un’eccezione.
Il nuovo numero de «la Lettura» - domani in anteprima nell’App e nello sfogliatore web, domenica in edicola con il «Corriere» - dedica tutta la sezione di apertura al rapporto tra l’uomo e gli altri esseri sulla Terra. In particolare, uno studio pubblicato su «Nature» sostiene che la somma di tutto ciò che l’umanità ha costruito e prodotto (case, strade, mezzi di trasporto, suppellettili, plastiche, computer, vetri, armi...) ha eguagliato la massa degli esseri viventi sulla Terra, cioè la biomassa. In altre parole, la somma degli oggetti umani ha pareggiato tutta la vita messa insieme.
Nell’immagine sopra: illustrazione di Massimo Caccia.
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