La storia dell’industria culturale è caratterizzata dalla sussunzione delle forme estetiche da parte del mercato che raggiunge il suo stadio apicale con l’avvento del cosiddetto capitalismo artistico o meglio estetico (Lipovetsky e Serroy 2017). Il passaggio dagli anni sessanta ai settanta è un momento decisivo nell’analisi di tale transizione. Se Guy Debord ha insistito sullo spettacolo come massima esaltazione del feticismo della merce, negli stessi anni Jean Baudrillard ha celebrato il tramonto dell’oggetto funzionale e la trasformazione della merce da valore d’uso e di scambio in valore-segno. Secondo V. Codeluppi, con la transizione dalla vecchia industria culturale alla nuova società delle piattaforme, si consolida il dominio del capitalismo estetico che recentemente è riuscito a “installarsi potentemente nella cultura del mondo occidentale soprattutto perché le società ipermoderne hanno avuto la capacità d’intensificare i loro flussi interni”.
A cinquant’anni dall’uscita di Forme estetiche e società di massa, scritto da Alberto Abruzzese e pubblicato da Marsilio nel 1973, si celebra il valore storico di quel testo, con un volume collettaneo curato da Vanni Codeluppi, che s’intitola Forme estetiche e società ipermoderna (Meltemi 2023, collana CCUBE). Il progetto raccoglie i contributi di un gruppo di studiosi italiani che ripensano il valore della riflessione abruzzesiana alla luce delle innovazioni contemporanee. Questo perché Forme estetiche e società di massa (Marsilio 1973) ha proposto una svolta epistemologica nello studio dell’industria culturale, capace di superare l’armamentario delle teorie critiche dei media, individuando relazioni più o meno sotterranee tra filosofia negativa, avanguardie artistiche, innovazioni tecnologiche e formazione del pubblico di massa. L'asse Baudelaire-Benjamin rappresenta un passaggio chiave che consente di comprendere le trasformazioni della metropoli moderna, intesa sia come "piattaforma espressiva” capace di accogliere e coltivare una pletora di allora nuove forme espressive (stampa, cromolitografia, cartoline, fotografie, radio e poi tv ecc.), sia come il fulcro di un’archeologia dell’immaginario che valorizza metodologicamente le rovine del processo di civilizzazione. Se l’archeologia dei media in contesti internazionali riflette più sulle caratteristiche tecniche dei dispositivi che competono con altre tecnologie (da F. Kittler passando per E. Huhtamo fino a J. Parikka), l’approccio abruzzesiano privilegia la dimensione culturale e simbolica a cui le stesse tecnologie, i formati e i mercati, si sottomettono. L’archeologia dell’immaginario scava tra le rovine della modernità per esaminare le stratificazioni dei contenuti culturali, stemperando le rigide separazioni disciplinari tra la sociologia dei media, quella dei consumi, l’antropologia culturale e la semiotica delle merci. Questa duplice valenza innovativa e retrospettiva, produce quello che G. Ragone definisce come “un corto circuito teorico con i processi di fondo della cultura e della vita in Occidente”, definendo quello di Abruzzese come “un libro originale e aperto, come ogni “classico” che si rispetti, parente di altre opere degli anni Sessanta e Settanta che verranno probabilmente apprezzate anche dalle prossime generazioni (Morin, Eco, Barthes, Foucault, McLuhan ...)” (p. 9).
Nel mio contributo intitolato “Da Parigi 1900 al metaverso”, l’analisi viene sviluppata specialmente sulle componenti esperienziali delle innovazioni che, dalle riflessioni abruzzesiane ci conducono oggi verso la diffusione di nuovi ambienti mediali: dai “media empatici” basati sullo “storyliving” (McStay 2018), all’integrazione dinamica tra fisico e digitale che oggi viene definita come “phygital”. Il capitolo Parigi 1900 svolge un ruolo chiave all’interno della struttura argomentativa del testo di Abruzzese. Apparentemente si tratta di un’analisi delle Grandi Esposizioni Universali che l’autore svilupperà, in modo anche più esaustivo, nei suoi testi successivi. Con la differenza che agli albori degli anni Settanta è ancora presente una certa tradizione marxista e operaista, capace di indirizzare l’analisi verso la questione chiave della trasformazione delle classi sociali in base al progetto uniformante della società di massa. Nonostante il testo rappresenti uno dei primi contributi in Italia a spingersi oltre la prospettiva marxiana, per abbracciare un’analisi culturologica del ruolo delle merci, è ancora presente il sapore di una critica ideologica “da sinistra” che si andrà assottigliando nelle opere successive.
Le Grandi Esposizioni Universali rappresentano una “piattaforma” di sperimentazione di innovazioni tecnologiche, che trasformano la società dell’epoca e il rapporto tra le classi sociali, polarizzate ma unite dal grande spettacolo della merce. Grazie alla tecnica del “colpo d’occhio”, difatti, si annulla “progressivamente la volontà dello spettatore [...] per atrofizzare le sue capacità individuali di riflessione” (Abruzzese, 1973, p. 73). La fantasmagoria delle immagini “cancella la coscienza sociale dell’individuo” che in tal modo “si dimentica dei caratteri fondamentali della propria classe” (ibidem). Le Esposizioni universali sono l’antesignano delle nuove cattedrali in cui si professa il culto del consumo moderno, come nella ben nota analisi di W. Benjamin che le definisce come luoghi di “pellegrinaggio” al feticcio della merce. Nelle diverse tappe della loro storia, le Grandi Esposizioni Universali sono al contempo contenitore e promotore di una serie imponente di “nuove” tecnologie che, grazie a un elevato grado di diffusione, trasformeranno la vita nelle società moderna, come ad esempio: fotografia, telegrafia e telefonia, film, radio e televisione.
La dinamica socio-economica conduce da una netta contrapposizione verso una sostanziale convergenza tra le classi sociali nella forma “educata” e trasversale del pubblico. Questo rappresenta una fase di passaggio che anticipa e dà forma al processo di “cetomedizzazione” che, a partire dal boom economico degli anni Cinquanta e Sessanta, espanderà i ceti medi trasformandoli nel pilastro su cui si fondano le democrazie europee, fino all’inversione di tale processo che passa per la cosiddetta guerra delle classi agiate contro quelle meno agiate, per lo sgretolamento delle classi medie e per la crescente contrapposizione tra la super-élite e la cosiddetta società low-cost.
Oltre alla trasformazione della struttura sociale, in Forme estetiche e società di massa si esamina la dinamica di fruizione del pubblico e la sua dimensione esperienziale. Seguendo ancora V. Codeluppi, le esposizioni sono una sorta di avamposto della società dell’immagine che coltiva il pubblico a una determinata fruizione, ma anche a una dimensione performativa che sfocia nell’odierna logica dello spettacolo integrato e dei social media. Si tratta. di luoghi fisici che immergono il visitatore in uno spettacolo totalizzante. Esse anticipano le scenografie cinematografiche, tanto che, suggerisce Abruzzese, è impossibile comprendere queste ultime senza cogliere il valore pedagogico delle prime. Il modo in cui le vecchie “piattaforme” integrano le tecnologie che un tempo erano nuove, dimostra il potere dirompente di questi dispositivi che trasformano gli spazi fisici in media. L’esempio discusso da Abruzzese delle scenografie delle esposizioni che anticipano l’estetica delle scenografie cinematografiche, è un chiaro indicatore di questa retroazione continua tra la dimensione fisico-esperienziale e quella dell’immaginario. L’imponente immagine descritta dell’Arco di trionfo alto cento metri, ottenuto con “due proboscidi di elefanti che s’incontrano” (Abruzzese 1973, p. 74), richiama in modo archetipico le attuali architetture zoomorfe che popolano la dimensione phygital del metaverso, come il progetto Atlantis (2023) realizzato dall’architetto e designer Marketa Gebrian quale esempio di VR metaverse, oppure come la comunicazione di Balenciaga che a settembre del 2021 colloca Shady Doggo, personaggio nato dalla collaborazione con Fortnite, all’interno di un poster 3D immersivo che giganteggia su Times Square. Sulla stessa linea si colloca la pletora di gatti, leoni, panda ecc. che performano nei macro cartelloni 3D delle metropoli asiatiche, da Tokyo a Seoul. Allo stesso modo, negli studi recenti sulla Intelligenza Artificiale e sui media empatici (McStay 2018), torna la figura romantica del flâneur che da osservatore disinteressato della vita metropolitana diventa il principale oggetto “osservato” e monitorato dai sistemi di AI emozionale (McStay, 2018, p. 128),
L’anello di congiunzione tra la vecchia industria culturale e il nuovo ecosistema digitale, è la categoria di “finish” del consumatore, già esaminata dai Grundrisse di Karl Marx, come terza possibile modalità di relazione tra produzione e consumo, ripresa da A. Abruzzese soprattutto nella sua relazione con la produzione artistica. Una seconda linea di evoluzione di tale concetto va dalla concezione del “prosumer” toffleriano, alla più recente applicazione all’ambito delle culture convergenti e DIY, fino all’attuale implementazione di un infallibile regime customer-centrico. Il modo in cui questo nuovo sistema metta al centro della rappresentazione il quotidiano delle persone è un chiaro indicatore del passaggio a una società postpspettacolare. Si pensi a Bandersnatch e a John is ugly di Black Mirror, alle numerose varianti di videogiochi online a partire da The Sims, alle storie degli influencer reali e virtuali che oggi popolano le campagne pubblicitarie, come l’ultima di Lil Miquela per BMW.
Proprio le culture convergenti e/o partecipative sono il punto di raccordo tra le riflessioni sulla vecchia industria culturale e il mondo “nuovo” del prosumer digitale, dato che esse implicano “un coinvolgimento attivo da parte del pubblico, che può contribuire alla creazione di contenuti, modificarli, remixarli o condividerli in modi nuovi e creativi” (p. 46-47). Secondo Boccia Artieri, il testo di Abruzzese resta utile alla comprensione della grande trasformazione dell’Industria culturale nell’epoca di espansione del digitale, ovvero la dimensione postspettacolare e di esaltazione delle forme di comunicazione basate sulla logica del “frammento” cosicché “l’insegnamento che proviene dal lavoro seminale di Alberto Abruzzese Forme estetiche e società di massa” ci ricorda ome le “forme e gli stili dello spettacolo abbiano perso progressivamente valore a favore di un terreno esperienziale in cui la cultura popolare estende le sue radici in modi più chiaramente espressivi e identitari (...) (p. 55).
Nonostante i tanto decantati processi di democratizzazione, disinteremdiazione e di autoproduzione (DIY) che animano le forme estetiche del nostro tempo, il dominio del capitalismo estetico resta centrale nella società delle piattaforme. Ne è un esempio l’espansione del concetto di “cura” che dall’ambito strettamente artistico – quello delle mostre e delle biennali – si estende ai profili social, ai reality show, alle iniziative della sharing economy (Airbnb), a cui potremmo aggiungere i live di Instagram e Tik Tok. Come sostenuto da P. Kompatsiaris (2024) nel volume Curation in the Age of Platform Capitalism: The Value of Selection, Narration, and Expertise in New Media Cultures (Rutledge 20024) di prossima traduzione uscita per Meltemi, nella collana CCUBE (da me curata):
“L’ascesa della cura – intesa come selezione, disposizione ed esposizione di oggetti, concetti e cose nel mondo dell’arte globale è un intreccio di concetti innovativi, narrazioni elaborate ed esperti affidabili (...). Più che un’economia, “curare ed essere curati” è un imperativo diffuso in mezzo alla proliferazione disorientante delle informazioni prodotte dalle piattaforme digitali.”
Riferimenti
Abruzzese, A., 1973, Forme estetiche e società di massa, Venezia, Marsilio.
Codeluppi, C. 2023, Forme estetiche e società ipermoderna, Milano, Meltemi.
Lipovetsky G., Serroy J., 2017, L’estetizzazione del mondo. Vivere nell’era del capitalismo artistico, Sellerio, Palermo.
Kompatsiaris, P., 2023. Curating in Platform Capitalism: The Rise of Homo Curatorius in Media and Culture. London and New York: Routledge.
McStay, A., 2018, Emotional AI: The Rise of Empathic Media. London: Sage.
Nessun commento:
Posta un commento