Se lo spirito di verità è soffocato da metodi e pratiche di Stati vicini e lontani che contrastano i valori di Atena e di Dike e con i diritti umani in misura intollerabile, nessuno può imporre agli Atenei la collaborazione e agli studenti di spegnere le loro giovani speranze
Ci sono menzogne che non si possono ascoltare. E allora può manifestarsi un gesto violento, come quello di Gesù con i mercanti nel tempio. I vecchi professori, politici, giornalisti non sembrano capaci di una posizione rivoluzionaria, per quanto non violenta.
Preferiscono la violenza legale delle armi, e si accontentano di criminalizzare chi magari vi si oppone con qualche intolleranza. Si scomodano i Ministri, e le Ministre, a ricordare che l’Università è il tempio del dialogo culturale e scientifico senza confini, senza barriere, senza pregiudizi.
È vero. Ma quando nel mondo regna l’orrore organizzato, lasciando per ora tra parentesi l’Africa e l’Asia, quando la vita di un giudeo vale almeno quella di trenta o quaranta palestinesi innocenti, quando per salvare l’Ucraina dall’aggressione criminale russa si sono cancellati quasi settant’anni di cultura della pace in Europa, al punto da farci accettare l’idea di una guerra nucleare tattica a sostegno della nostra geopolitica, quando la logica amico-nemico ha sostituito ogni dialogo costruttivo, perché l’Università dovrebbe continuare a fingere di essere una voce efficace e visibile nel perseverare a pensarsi come era prima, mentre nulla è come prima?
Per testimoniare la neutralità scientifica in un mondo di sterminio? Perché non esiste la neutralità scientifica di fronte alla barbarie, e deve cominciare la rivolta culturale ripugnata, di fronte a discorsi che non si possono ascoltare, a giornali che non si possono leggere, a riti di guerra che hanno insanguinato anche la nostra ultima Pasqua, dove le parole pace e vita eterna evocano ormai il suono tragico della menzogna che uccide.
Abbiamo la necessità di parole e di gesti profetici. Ma allora, professore, lei ammette la violenza? Una domanda davvero cieca e stolida di fronte a tanta violenza legale e illegale degli Stati. No, non ammettiamo nessuna violenza, ma soprattutto non possiamo più tollerare quella degli stermini organizzati.
Piegati e inermi, ci vogliono: come l’ebreo errante, capro espiatorio, vittima sacrificale e silenziosa. E mentre siamo impegnati a sostenere la resistenza e il risorgimento ucraini, ritornano nei cuori i canti di guerra per le membra amputate, le vite spezzate, i sacrifici collettivi per tutte le patrie nazionaliste. Ebbene, l’Università non è nazionalista. Per questo non dovrebbe mai mostrarsi disposta a difendere un nazionalismo dopo l’altro, in una spirale infinita di azione e reazione.
È dunque possibile, legittima, profetica, una rivolta internazionale contro le finte alleanze culturali, imposte magari da accordi governativi alla loro base, che potrebbero soltanto mascherare una colpevole e inane neutralità.
È soprattutto l’informazione unilaterale del tempo di guerra ad avere occupato ogni spazio di discussione davvero libera. Siamo tutti meno liberi oggi. E se i governi o le politiche ci chiedono di difendere o di rappresentare le identità nazionali, è esattamente il momento in cui dobbiamo ricordare la nostra vocazione universale, sovranazionale, umanistica.
La ricerca scientifica vive di finanziamenti, ma anche di libertà da chi finanzia, e ha un rapporto con la verità diverso dalla politica. Se deve discutere di dati ed esperienze, di valori e saperi, di azioni collettive da compiere, rimane sul terreno del metodo scientifico e della politica della ricerca, che ha alleanze e condivisioni trasversali a quelle governative.
Non deve presentarsi agli elettori. La sua discussione non ricorda agli altri le loro incongruenze con argomenti ad personam, che sono fallacie logiche, e non possono sconfiggere o tacitare gli avversari. In realtà, non ha avversari e dialoga con chi abbia spirito di verità.
Ma quando tale spirito non è più presente e anzi soffocato da metodi e pratiche di Stati vicini e lontani che contrastano i valori di Atena e di Dike, e soprattutto con i diritti umani in misura intollerabile, allora nessuno può imporre alle Università la collaborazione e agli studenti di spegnere già adesso le loro giovani speranze, di nascere vecchi come i loro professori silenti.
Per questo, di fronte all’estremo, diventa possibile anche un gesto di rifiuto, mentre i richiami all’ordine risuonano come campane a morto per la libertà scientifica.
*Ordinario di Diritto penale, Università di Roma “La Sapienza”
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