martedì 4 giugno 2024

GUERRE CULTURALI E SISTEMA EDUCATIVO. IL CASO AMERICANO. RAMPINI F., La rivincita dell'istruzione classica in America: chi la vuole, cosa c'è dietro questa rivoluzione scolastica, CORRIERE.IT, 4.06.2024

 Chi lo avrebbe mai detto, ora Aristotele e Dante conquistano il Bronx. È la rivincita dell’istruzione classica nel cuore dell’America «woke», o politicamente corretta. E non importa se la scuola torna a insegnare autori che sono «maschi bianchi». Quel che conta è dare ai ragazzini dei quartieri meno abbienti un’istruzione di serie A, qualificata, approfondita, esigente, anziché condannarli a una moda che per molti anni aveva imposto una corsa al ribasso negli standard culturali.




La storia di Brilla, una charter-school nel quartiere newyorchese del Bronx, la estraggo da una bella inchiesta di Emma Green apparsa sul settimanale The New Yorker il 18 marzo 2024. A dare autorevolezza a questa storia, oltre alla qualità dell’indagine stessa, c’è il fatto che il New Yorker non è certo una testata conservatrice. Al contrario: questo magazine prestigioso è una Bibbia della élite progressista. Stavolta però racconta una storia in controtendenza: in America esiste un movimento dal basso, animato da genitori e insegnanti, che riporta in auge i grandi classici nelle scuole. Cioè rivaluta l’Occidente, i suoi maestri del pensiero, dopo decenni in cui sono stati letteralmente oscurati per fare posto agli autori di minoranze etniche e sessuali. La rivolta dal basso parte dalla convinzione che a perderci sono i giovani, se in nome della «diversità» li privi di Omero e Shakespeare, Galileo e Newton, Dickens e Tolstoj. Sì, è vero, sono tutti maschi bianchi.

Ma se un ragazzino afroamericano cresce senza avere accesso a questi grandi classici, mentre sa tutto di Beyoncé o di qualche rapper transgender, non gli hai fatto un favore. Lo hai rovinato, negandogli il meglio della cultura occidentale. È quel che hanno fatto, del resto, i folli «progressisti» di San Francisco quando constatarono che gli adolescenti black erano i meno bravi in matematica… e quindi in nome dell’eguaglianza abolirono gli esami di matematica (invece di insegnarla meglio). Quella storia accaduta pochi anni fa a San Francisco forse segnò il punto più basso nel decadimento dell’istruzione americana, e l’inizio di una riscossa. Perché all’aberrazione seguì una rivolta delle «mamme-tigri» nella Chinatown di San Francisco, un referendum che decapitò il provveditorato agli studi dei suoi capi ultra-radicali, e il ripristino degli esami obbligatori di algebra e trigonometria al liceo. La storia delle madri cinesi, confuciane e iper-competitive, legate a un’etica del sacrificio e della disciplina, decise a difendere il diritto dei propri figli a un’istruzione eccellente, è solo la punta dell’iceberg.

Brilla, il caso da cui parte l’inchiesta del New Yorker, è una charter-school. Questo nome in America designa una scuola privata parificata, riconosciuta dalle autorità e quindi abilitata a ricevere anche dei finanziamenti pubblici. La crescita delle charter-school è un fenomeno ormai ampio, da tempo cerca di contrastare il decadimento della scuola pubblica: quest’ultima in molte città Usa è iper-sindacalizzata e ha un corpo insegnante dottrinario, politicizzato. All’interno del vasto fenomeno delle charter-school, un trend più recente è il «classical-education movement» il cui scopo è evidente nella definizione: vuole riportare sui banchi di scuola i grandi classici del pensiero occidentale. Per l’Italia questa non sarebbe forse una gran novità. Anche se io sono cresciuto all’estero credo che nel mio paese d’origine esista ancora il liceo classico, e spesso di ottima qualità. Ma in America non è così. Per darvi un’idea, nei testi di letture di un liceo pubblico a New York spiccano l’autobiografia di Michelle Obama e delle graphic novel. Rispetto a questo andazzo, far leggere Aristotele e Dante è una vera rivoluzione. O contro-rivoluzione, scegliete voi.

La crescita del movimento per l’istruzione classica naturalmente sta scatenando le scomuniche dell’establishment conformista, e sedicente progressista. Emma Green racconta che dai bastioni del potere accademico sono partite denunce allarmistiche: per esempio, il movimento per l’istruzione classica viene descritto come un progetto portato avanti dalla destra cristiana, che mortifica l’identità degli studenti non-bianchi o figli d’immigrati imponendogli una cultura che non corrisponde alle loro radici. Un esempio di queste accuse viene da una pedagoga-attivista di sinistra, Diane Ravitch: secondo lei i promotori del ritorno ai classici «vogliono distruggere l’istruzione democratica delle scuole pubbliche e far retrocedere di un secolo il nostro progresso sociale».

La giornalista del New Yorker non esita a dimostrare che questa demonizzazione è infondata. Il liceo Brilla del Bronx, scrive, «non è per ricchi né per bianchi, e non è una scuola di destra, molti suoi studenti sono figli d’immigrati venuti dal Centramerica e dall’Africa occidentale, si trova in uno dei quartieri più poveri». Inoltre è una scuola laica, l’insegnamento della religione avviene solo su richiesta. L’attrazione che esercita su molte famiglie è semplice: «Tanti genitori pensano che le scuole pubbliche non siano buone, vedono delle lacune nell’insegnamento della matematica e della scrittura». Forse sono troppo impegnate a diffondere un’identità etnica, o a tenere corsi di educazione sessuale per spiegare ai ragazzi che hanno il diritto a cambiare genere, per occuparsi di cose tanto prosaiche quanto le equazioni di secondo grado?

Per quanto il movimento delle scuole classiche non abbia un’agenda politica precisa, né un’identità di destra, tuttavia appare sovversivo rispetto all’andazzo corrente. Basta pensare a questa affermazione di principio, sintetizzata dalla reporter: «L’istruzione classica si basa sull’idea che esiste una verità obiettiva, e che la missione della scuola sia di avviare i ragazzi su un cammino verso la sua comprensione». C’è anche spazio per un’etica, e corsi di educazione civica. Sovversivo davvero, perché questo movimento è in controtendenza rispetto a due fenomeni ormai secolari. Da una parte l’utilitarismo: le scuole americane si sono sbarazzate di Platone perché convinte che non era necessario sul mercato del lavoro. Il secondo fenomeno, più recente e più politico, è la censura sistematica dei grandi classici in quanto identificati con un pensiero «dominante, elitario, oppressivo». Poiché una corrente dogmatica, molto forte nel corpo insegnante, ha identificato l’Occidente con una civiltà malvagia, ingiusta, gerarchica, sessistabisogna liberare le menti dei fanciulli da ogni influenza dei grandi pensatori occidentali. Si vanno a cercare dei sostituti nelle culture dei popoli oppressi (Africa, Asia, Sudamerica), delle donne, delle minoranze sessuali a lungo discriminate (gay, transgender, bisessuali). Buona parte di questa epurazione dei programmi d’insegnamento è stata giustificata con la necessità di «includere» gli immigrati. Più l’imperativo di estirpare il razzismo congenito nella razza bianca, con corsi appositi di Critical Race Theory.

Ma ecco il paradosso: tanti immigrati non ne vogliono sapere di questi programmi disegnati da élite radicali «nel loro interesse». Ridateci Shakespeare! «In Texas – rivela l’inchiesta del New Yorker – le iscrizioni alle scuole classiche sono in forte aumento soprattutto tra gli alunni asiatici e latinos. In Arizona la rete di charter-school Espiritu, che si rivolge soprattutto agli immigrati ispanici, rende i propri curriculum sempre più classici».

La riscossa dell’insegnamento classico non si limita agli Stati Uniti: dilaga perfino in Africa. La reporter Emma Green per la sua indagine ha viaggiato fino a Nairobi in Kenya per assistere alla conferenza di un’organizzazione che diffonde programmi educativi in «dieci nazioni africane anglofone», attratte dai classici del pensiero occidentale. La giornalista del New Yorker cita una nota pedagoga, Susan Wise Bauer, autrice del saggio The Well-Trained Mind, secondo lei «è miope e anti-storico sostenere che l’istruzione classica sia conservatrice».    

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