sabato 27 settembre 2025

LETTERATURA E SOCIETA'. LA REALIDAD DI N. SINNO. CALDIRON G., Neige Sinno, una metamorfosi incerta e feconda, IL MANIFESTO, 26 SETTEMBRE 2025

 Un’amicizia, forse un amore, lega Netcha e Maga nel loro progetto di raggiungere una cittadina della Selva Lacandona, in Messico, per incontrare il Subcomandante Marcos e donargli due volumi delle più recenti riflessioni di teoria marxista. Siamo intorno alla metà degli anni Novanta del secolo scorso e le due giovani donne, entrambe europee, si incontrano in un’università statunitense dove lavorano e da lì muoveranno alla volta del Chiapas. Se il racconto da cui muove La Realidad (traduzione di Luciana Cisbani, Neri Pozza, pp. 220, euro 18), della scrittrice francese Neige Sinno, evoca per certi versi il memoir o il romanzo d’avventura, lo sviluppo della vicenda finirà per intrecciare avventura, indagine sociale, sguardo sulla storia coloniale e sulle traiettorie di autori come Antonin Artaud e J.M.G. Le Clézio che delle loro esperienze messicane fecero uno strumento di critica e riflessione sull’arte come sulla vita. Per Sinno, già autrice di Triste tigre (Neri Pozza, 2024), dolente cronaca delle violenze subite per anni da parte del patrigno, tra i libri più premiati in Francia nel 2023 e vincitore del Premio Strega Europeo lo scorso anno, si tratta anche di riflettere altrimenti, in una dimensione per certi versi globale, sulla violenza di genere e il peso che esercita sui corpi, le vite e le culture.


Particolare da un murale a San Cristobal de las Casas, Chiapas. Getty Images


A partire da un viaggio in Messico, nel libro c’è una riflessione sulla distanza che separa le idee dalla realtà, i libri dalla vita, che riprendo come quesito politico e progetto estetico

Sembrano esserci diverse chiavi di lettura per avvicinarsi a «La Realidad»: quella del memoir, di una forma narrativa intima e delicata, del saggio letterario che analizza alcuni autori, della riflessione culturale, dell’indagine sociale e politica. Come ha pensato e costruito il libro?
In realtà ho pensato a La Realidad come a un testo ibrido che cerca di navigare tra diversi generi letterari e diversi modi di raccontare. È una storia d’avventura, un romanzo di formazione, e ho cercato di iscrivere il libro in queste tradizioni che permettono al testo di avere un ritmo interessante, condotto dall’energia di una ricerca iniziatica. Ma, allo stesso tempo, è una storia vera, con tutto il peso delle banalità che accadono nella vita e che interferiscono sempre con la narrazione. Purtroppo (o forse per fortuna) nella realtà non ho avuto nessuna rivelazione politica/esistenziale/filosofica durante i miei viaggi in terre straniere, come potrebbe accadere in un testo di fantasia, il che non significa che non mi sia successo nulla. Ho vissuto una metamorfosi lenta e complessa che cerco di spiegare sovrapponendo diverse modalità di narrazione.

Neige Sinno, foto di H. Bamberger

Riecheggiano, nel libro, i versi del poeta Antonio Machado per cui è camminando che prende forma il «viaggio». In «La Realidad» tale riflessione sembra accompagnarsi alla sua poetica letteraria ma anche al «camminare domandando» dell’esperienza zapatista che descrive. Condivide questa analisi?
Sì, assolutamente. Quest’idea che ciò che conta non sia la meta ma il cammino che intraprendiamo è diventata un cliché, ma spesso è bene ricordarlo perché lo perdiamo facilmente di vista. Tendiamo a voler andare troppo veloci, a credere di sapere cosa vogliamo, e la vita si preoccupa di mostrarci che è più sorprendente di così. Questo è vero a livello individuale, nei nostri percorsi di vita, ma è vero anche come collettivi, come comunità, e gli zapatisti, come altre lotte collettive, hanno sperimentato cosa significhi veramente costruire un movimento emancipatorio che si adatti alle condizioni della realtà e che non cerchi necessariamente di dominarla, di addomesticarla affinché corrisponda all’ideale iniziale. Nel libro c’è una riflessione che si snoda dall’inizio alla fine sulla distanza che separa le idee dalla realtà, i libri dalla vita, l’astratto dal concreto, la teoria dall’esperienza, e via dicendo. È una vecchia riflessione che riprendo sia come interrogativo politico (come possiamo avvicinarci alla realtà senza i preconcetti che ereditiamo dalle nostre culture, dal nostro posto nella società, dal nostro Paese di nascita? Come possiamo agire sul mondo?) che come progetto estetico. Anche nel leggere il mio libro, il viaggio si compie camminando; non sempre sappiamo dove stiamo andando, dobbiamo lasciarci guidare da un testo che sembra perderci prima di capire dove voleva portarci.

La sua prima esperienza del Messico – dove in seguito ha vissuto a lungo -, si è compiuta soprattutto attraverso la letteratura e gli autori che ha amato. Tra questi, Antonin Artaud che durante il suo travagliato soggiorno nel Paese negli anni ’30 parlò della necessità di «una rivoluzione della coscienza che ci permetterà di guarire la vita». Un tema di grande attualità, ma allora a cosa pensava Artaud?
Il soggiorno di Artaud in Messico non è molto noto al di fuori della cerchia dei suoi ferventi lettori, e mi è sembrato interessante intrecciarlo con il mio viaggio perché già nel 1936, poco dopo la Rivoluzione messicana, un occidentale che non era un colono, che non si considerava tale, si recò nei remoti villaggi di montagna alla ricerca di una saggezza ancestrale che mancava nella sua cultura. Avrei potuto citare anche Castaneda, che arrivò in Messico più tardi, negli anni ’60 e ’70, alla ricerca di conoscenze sciamaniche. Queste letture hanno plasmato un immaginario occidentale che dice più di noi, della nostra visione degli altri popoli, che di ciò che sono realmente. Si tratta di testi che idealizzano il mondo indigeno, le culture vicine alla terra, eccetera, continuando a costruire l’immagine di un avventuriero che riprende l’immaginario coloniale sotto altre forme (un’avventura dello spirito questa volta, che sarebbe rispettosa delle tradizioni dei popoli originari, che sarebbe alla ricerca di un vero incontro spirituale – ma comunque su questo modello di ricerca iniziatica che permette di diventare «un iniziato»). Artaud fugge dal mondo occidentale, che, secondo lui, si avvia verso la rovina. La Seconda guerra mondiale è imminente, ma lui non ne sa nulla, e credo che ciò che ha in mente quando dice che l’Occidente è malato sia soprattutto il rapporto con il mondo che ha instaurato il capitalismo: un rapporto che pone l’uomo al centro dell’universo e asserve a lui tutto il resto. In questo senso, «curare la vita» rappresenterebbe una metamorfosi totale, l’unica missione veramente valida per l’arte secondo Artaud: arte che significa magia, cioè medicina, cioè cultura intesa come l’azione di coltivare non solo la terra ma anche l’anima. È un programma che può essere descritto come delirante o utopico, ma d’altra parte, se non cerchiamo di essere migliori nel mondo, se ci conformiamo allo stato delle cose così come sono, questo equivale ad arrendersi, a lasciare che l’oscurità vinca.

Attraverso Artaud, e quindi Le Clézio, che in Messico ha vissuto per circa un decennio traendo ispirazione dalle culture autoctone, lei riflette sul nostro approccio al mondo «indigeno» a partire dai termini con cui questo incontro è stato descritto. Il «suo» incontro come è stato?
Cerco di rendere omaggio a Le Clézio, che ha spesso espresso nei suoi libri le contraddizioni che portiamo dentro di noi in questo mondo postcoloniale costruito sullo sfruttamento dei popoli indigeni, uno sfruttamento che ha comportato prima la violenza della guerra ma anche un’inversione di valori, facendo apparire la ricerca del dominio come una missione di civiltà. La consapevolezza di questa colpa ha accompagnato i miei viaggi in Messico, così come la domanda su cosa fare di tutto questo ora. Non possiamo più ignorare la storia coloniale, e se vogliamo decolonizzare noi stessi, cioè decolonizzare le nostre relazioni con il mondo, con gli altri, con il pianeta, dobbiamo allo stesso tempo decolonizzare le nostre menti e decostruire queste logiche mortifere. Questo significa prima di tutto agire sui nostri atti, ma anche mettere in discussione il linguaggio e ciò che trasmette fa parte di tale processo.

Il libro muove dal progetto, condiviso con la sua amica Maga, di recarsi nella Selva Lacandona per incontrare il Subcomandante Marcos. Ciò non avverrà, ma dieci anni più tardi lei parteciperà a due incontri internazionali organizzati dalle donne zapatiste per dare voce alle violenze subite dalle donne in ogni parte del mondo. Cosa ha rappresentato per lei quell’esperienza?
Questi incontri sono stati decisivi: rappresentano una certa metamorfosi avvenuta dentro di me nel corso degli ultimi vent’anni. Credo che questa trasformazione sarebbe avvenuta anche senza la mia partecipazione a questi eventi, ma gli incontri mi hanno permesso di affrontare ciò che stava accadendo e di raccontarlo con maggiore chiarezza: siamo in molte e in molti a volerci liberare dall’oppressione patriarcale che giustifica una violenza intollerabile.

A fare da contrappunto ai suoi viaggi in Messico ci sono le parole che Barbara, incontrata a San Cristobal, ripete a lei e a Maga: «Usted non entienden nada». Alla fine del percorso di «La Realidad» cosa ritiene di aver capito?
Ovviamente, man mano che andiamo avanti nella vita, ci sono cose che sentiamo di comprendere meglio. Andiamo avanti e diamo un senso alle cose man mano che procediamo, come una lumaca che lascia la sua scia di bava sul terreno. Ma allo stesso tempo, il terreno si sgretola sotto i nostri piedi, il mondo si riconfigura e, ancora una volta, non comprendiamo nulla, anche se in modo diverso. Questo fa parte della condizione umana, almeno della condizione di chi osserva il mondo con onestà: andiamo avanti nell’incertezza, misurandoci anche con l’incomprensione. Ciò che sento di aver compreso meglio confrontandomi con l’esperienza di vivere insieme a persone di altre culture è che siamo contemporanei, stiamo vivendo momenti nel mondo che ci uniscono in una fragilità condivisa. Nessuno di noi sa come reagire alle catastrofi che ci minacciano, in primis la crisi climatica, la perdita di biodiversità, il collasso della vita. Eppure sappiamo che possiamo agire solo collettivamente.

Le «Passioni» per la seconda edizione

Neige Sinno inauguerà oggi alle 17’30, con la presentazione di «La Realidad» insieme a Alessandra Carati, la seconda edizione di Wunderkammer, il festival letterario di Neri Pozza dedicato quest’anno al tema delle «Passioni» che si svolgerà fino a domenica al Teatro Nuovo di Verona. Tra gli altri ospiti del festival, la giornalista del «Financial Times» Madhumita Murgia e la vincitrice del premio Pulitzer Elizabeth Kolbert, oltre a Liliana Rampello, Carla Maria Russo, Marco Valle, Anna Folli, Paolo Flores d’Arcais, Marta Ottaviani e Giacinta Cavagna di Gualdana, Wanda Marasco. www.festivalwunderkammer.it

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