Lo studio dell'omosessualità fra i popoli nativi offre, a nostro avviso, l'opportunità di riflettere su tale fenomeno anteriormente ai condizionamenti della "civiltà" e a quelle che Freud chiamava le repressioni del Super-io. Questo, forse, ci consentirà di gettare un fascio di luce su una problematica che appare bloccata fra le opposte interpretazioni "naturalistiche" e "culturali" del fenomeno e di avvicinarci almeno un poco ad una miglior comprensione di esso.
La prima osservazione che dobbiamo fare è che non si può in alcun modo generalizzare le risposte delle società native al fenomeno dell'omosessualità, ma è necessario rimboccarsi le maniche e prendersi la briga di andare "sul campo", come si suol dire, a verificare caso per caso quale sia l'atteggiamento dei singoli popoli nei confronti di esso. A tal fine dobbiamo rimetterci alle testimonianze degli etnologi occidentali, pur consapevoli del fato che, anche i più accorti fra essi e i meno imbevuti di pregiudizi culturali, difficilmente possono comprendere sino in fondo il significato di forme di vita sociale totalmente diverse dalle proprie.
Questo è un punto importante. Non si tratta semplicemente di tradurre in concetti e parole occidentali concetti e parole dei popoli nativi: il fatto è che si tratta, spesso, di concetti realmente diversi, che lo studioso occidentale crede di aver compreso soltanto perché, con l'aiuto di un interprete, è in grado di tradurli a parole nella propria lingua. Ma ciò che va irrimediabilmente perduto, in questa traduzione linguistica che è anche traduzione concettuale, è proprio il significato profondo delle singole forme della vita sociale, nonché la struttura globale nelle quali esse vanno collocate.
Infatti nelle società native, molto più che in quelle tecnologiche, ogni singola forma della vita sociale è intimamente interconnessa a tutte le altre; per cui non si può, ad es., capire nulla dei riti di iniziazione, se si prescinde dalla concezione generale dell'esistenza di quel popolo, dalle sue idee religiose, dal suo legame con le forze della natura, dal rapporto esistente tra vivi e morti, tra spiriti antenati e generazioni presenti, e così via.
Nella società occidentale, ad es., possiamo anche osservare un gruppo di pensionati che giocano a bocce in un circolo ricreativo di quartiere, e dedurne semplicemente che essi hanno elaborato un modi di trascorrere il proprio tempo libero stando in compagnia e facendo un minimo di esercizio fisico: , come "spiegazione" di primo livello, essa può anche essere adeguata e sufficiente. Al contrario, in una società come quella dei Marind-anim (che abbiamo preso in esame nel precedente saggio Sesso, omicidio e antropofagia nei culti della fertilità presso i Marind-anim, consultabile sempre sul sito di Arianna Editrice) è impossibile comprendere il senso di una istituzione come la grande festa Mayo - che culmina nell'orgia sessuale, nell'omicidio rituale e nel relativo pasto antropofago - senza collocarla, sin dal primo livello di osservazione, nel contesto complessivo delle credenze spirituali e materiali di quel popolo.
Ora, per accedere a questo livello di comprensione olistica è necessario non solo aver soggiornato lungamente fra le società native, ma essersi sforzati di adottarne il punto di vista: il che dovrebbe aver inizio con il ripudio di tutte le strutture materiali occidentali, prime fra tutte il vestiario e l'alimentazione; cosa, evidentemente, non facile e quindi assai rara. Contemporaneamente, bisognerebbe che lo studioso occidentale fosse riuscito ad instaurare un rapporto di empatia e di assoluta fiducia con i membri della comunità indigena, in modo che essi lo considerino uno dei loro - almeno fino ad un certo punto, dato che, a rigore, sarebbe necessario che egli si sottoponga a un vero e proprio rito di iniziazione.
Ora, le nostre conoscenze sui popoli nativi sono basate in piccolissima parte sugli studi di etnologi che hanno almeno tentato di osservare dall'interno le loro strutture sociali; in parte più ampia da etnologi che hanno compiuto delle rapide incursioni, quando addirittura non si sono limitati a prendere per buone informazioni di seconda mano; e per un'altra parte ancora su quanto riferito da persone che non avevano neppure minimamente l'abito mentale e la metodologia dello studioso, ad es. commercianti, funzionari governativi e simili.
Il caso dei missionari, ai quali pure molto dobbiamo delle nostre conoscenze in proposito, è ancor più particolare: essi, infatti - e sia pure con le migliori intenzioni di questo mondo - partivano dal presupposto che il mondo religioso di quei popoli andasse radicalmente distrutto e riedificato; si pensi solo al caso del vescovo Diego de Landa che, nello Yucatan, fece distruggere col fuoco la quasi totalità delle scritture maya, da lui considerate opera diabolica. In ogni caso, anche se nei tempi moderni non si sono più verificati simili eccessi, il missionario - per quanto possa svolgere un'opera altamente meritoria in altri campi - non si trova, di solito, nella giusta disposizione di spirito per comprendere a fondo usanze che contrastano radicalmente con le verità che egli intende trasmettere, poiché in lui prevale l'esigenza di giudicarle.
Ma torniamo al nostro problema, ossia lo studio dell'omosessualità presso i popoli nativi.
Abbiamo scelto, come guida qualificata, un etnologo tedesco di cui ci siamo già occupati nell'articolo sopra citato, relativo ai culti della fertilità della Nuova Guinea: Adolf Tüllmann, specializzato nello studio delle abitudini sessuali. Le Edizioni Mediterranee di Roma hanno pubblicato, negli anni Sessanta del Novecento, due suoi importanti volumi, Costumi sessuali dei popoli primitivi e Costumi sessuali dell'Estremo Oriente, entrambi condotti con rigore scientifico e con estrema serietà documentaria.
Benché egli svolgesse le sue ricerche circa mezzo secolo fa, quando la nuova sensibilità etnologica di cui sopra dicemmo era appena agli esordi, il suo atteggiamento nei confronti dell'oggetto studiato ci sembra essere quello giusto: sforzarsi di capire, piuttosto che aver fretta di emettere giudizi. Perciò potremo facilmente "perdonargli" l'uso di espressioni come "popoli primitivi" o "uomini civili" (quest'ultimo riferito agli occidentali), perché, all'epoca, facevano parte del linguaggio abituale non solo delle persone comuni, ma anche degli specialisti; in Tüllmann, esse non sono la spia di un atteggiamento basata sul pregiudizio, ma semplicemente il portato della cultura etnocentrica e neopositivistica che si poteva intravedere anche nel vocabolario di quegli intellettuali che non ne condividevano le premesse teoriche.
Egli, innanzitutto, raggruppa i vari atteggiamenti possibili dei popoli nativi nei confronti dell'omosessualità in una serie di categorie generali, ordinate secondo alcune caratteristiche fondamentali.
Ai due estremi della classificazione troviamo: a), i popoli che rifiutano in ogni caso l'omosessualità, che la considerano inaccettabile e che la puniscono severamente, anche con la morte; e b), quelli che, viceversa - come i Siwa del Nord Africa - la praticano abitualmente, a tutte le età e in tutti i contesti, prima e dopo il matrimonio.
Fra questi due atteggiamenti limite, si collocano una serie di posizioni intermedie, nelle qualki subentrano delle delimitazioni e dei distinguo, sia in un senso che nell'altro.
Grosso modo, ci sembra che tali posizioni si possano così riassumere:
c) popoli che ammettono l'omosessualità femminile, ma non quella maschile;
d) popoli presso i quali la pederastia è tollerata, ma guardata con disgusto, senza che vengano presi provvedimenti contro coloro che la praticano;
e) popoli che ammettono l'omosessualità solo, o principalmente, all'interno delle cerimonie di iniziazione, quando i ragazzi diventano uomini anche mediante la sottomissione al rapporto sessuale con gli anziani;
f) popoli in cui è ammessa l'omosessualità come sostitutiva o temporaneo dei rapporti matrimoniali (come gli aborigeni australiani, presso i quali un adulto convive sessualmente con un ragazzino fino a quando non riesce a trovar moglie, cosa relativamente difficile);
g) popoli che istituzionalizzano l'omosessualità maschile mediante la figura del berdache, uomo-donna che gode di uno statuto sociale riconosciuto, veste abiti femminili, svolge lavori muliebri e può anche sposarsi, e che non è affatto disprezzato dalla comunità (es. diverse tribù del Nord America);
h) popoli presso i quali la figura dell'invertito è non solo istituzionalizzata, ma gode di grande prestigio in quanto coincide, solitamente, con quella dello sciamano, ossia di colui che è capace di porsi direttamente in rapporto con il mondo ultransensibile e, di conseguenza, di interpretare il futuro, guarire le malattie sottraendo l'anima del malato agli spiriti cattivi, e così via(es. varie popolazioni siberiane).
Bisogna poi considerare a parte il caso di quei popoli preso i quali la presenza dell'uomo bianco è vista come un'occasione da sfruttare economicamente, in modo da offrire agli stranieri quella disponibilità omosessuale che si presume sia loro gradita. Si può allora parlare di una sorta di omosessualità turistica, come nel caso di molti popoli del Medio Oriente, dell'India e per gli abitanti dell'isola di bali, in Indonesia. La cosa interessante è che, in quelle situazioni, l'uomo occidentale è percepito - a torto o a ragione - come naturalmente omosessuale; e i ragazzetti che gli si offrono per la strada non fanno altro che sfruttare una debolezza che essi attribuiscono all'ospite europeo o americano, ma che non è necessariamente parte della cultura indigena.
Un altro elemento da tener presente è che l'occidentale, per tutta una serie di ragioni, può non solo fraintendere, ma non accorgersi addirittura di quali siano le vere pratiche sessuali del popolo nativo presso il quale soggiorna, magari anche da molti anni. Tipico il caso di quel missionario cattolico della Nuova Guinea che solo dopo moltissimo tempo venne a sapere che proprio nella veranda di casa sua, che egli aveva "imprestata" ai giovani scapoli di una tribù papua per quelle che egli credeva innocenti attività ricreative, essi avevano praticato indisturbati e in maniera sistematica la loro attività omosessuale, senza che egli ne avesse il minimo sentore.
Viceversa, può accadere che un bianco omosessuale porti le sue pratiche presso una tribù nativa che, forse, ne era ignara o che vi si dedicava solo saltuariamente, facendole diventare abituali e modificando, così, i costumi sessuali degli indigeni. Un caso del genere è riportato dallo scrittore americano Tobias Schneebaum nel suo impressionante libro autobiografico Sono stato un cannibale, nel quale racconta la disperazione di un missionario cattolico stabilitosi nella foresta amazzonica, il quale dovette assistere alla "corruzione" degli indigeni operata da un altro bianco che era venuto a stabilirsi, in un secondo momento, presso la sua missione.
Fatte queste doverose premesse metodologiche, possiamo cedere la parola allo studioso tedesco per farci guidare in una rapida ma puntuale ed efficace panoramica generale sul fenomeno che abbiamo preso in esame.
Un'ultima osservazione vogliamo fare, ma che ci sembra importante. Il tipo di approccio da noi prescelto, basato sulle risultanze oggettive (per quanto possibile) degli studi etnologici, ci esimerà dal muovere a partire da un pregiudizio di qualunque tipo sul fenomeno dell'omosessualità in quanto tale, dal discutere se esso sia un fatto "naturale" o "innaturale"; e, a maggior ragione, se debba considerarsi positivo, negativo o indifferente per la vita di una società. Solo al termine della rassegna potremo permetterci di avanzare alcune conclusioni, non sulla base di idee preconcette, ma sulla base delle risultanze dell'etnologia comparata.
Scrive, dunque, Adolf Tüllmann nel suo libro Costumi sessuali dei popoli primitivi (titolo originale: Das Liebensleben der Naturvölker, traduzione italiana di Luigi Coppè; Roma, Edizioni Mediterranee, 1961, 1963, pp. 192-199):
Evidentemente l'omosessualità è antica quanto l'uomo, ma non è nostra intenzione trattare la parte storica di questo tema. Nel suo libro Sexualverhalten von Mensch und Tier (Comportamento sessuale degli uomini e degli animali), Ford e Beach hanno esposto una vasta documentazione, precisando che su 77 popolazioni primitive prse in esame, 28 condannano l'omosessualità e 48 la considerano normale e l'ammettono; soltanto presso i cwana del Sud Africa l'omosessualità è vietata agli uomini, mentre le donne lesbiche non vengono punite. Inoltre bisogna aggiungere che tra le 28 popolazioni contrarie all'omosessualità, esistono ugualmente degli invertiti, e che i 77 popoli presi in esame costituiscono soltanto una piccola parte dei primitivi di tutto il mondo.
Il comportamento omosessuale degli indigeni si differenzia da quello dei popoli civili, perché presso i primi il coito anale è quasi l'unica forma di attività omosessuale e la masturbazione reciproca o l'eccitamento dei genitali con la bocca sono pressoché sconosciuti. Secondo il rapporto di Kinsey e dei suoi collaboratori, negli Stati Uniti la situazione è capovolta, e non v'è ragione per dubitare che ciò non avvenga anche negli altri paesi civili.
È stato osservato che diverse popolazioni africane considerano normale o tollerano, per lo meno, l'omosessualità. Tra queste possiamo citare gli asande dell'Africa centrale, i dahomey della costa occidentale della Guinea, gli ila della Rhodesia settentrionale, i lango dell'Africa orientale, i siwa dell'Africa settentrionale, i thonga dell'Africa sud-orientale e i wolof dell'Africa occidentale. Tutti questi gruppi etnici sono dediti all'agricoltura, mentre gli ottentotti nama, noti per la loro attività omosessuale e per gl'intimi legami di amicizia dei loro uomini, chiamati soregus, si dedicavano sino a qualche anno fa alla pastorizia; oggi il contatto con i bianchi ha trasformato anche questi ultimi in agricoltori. Infine dobbiamo ricordare ancora i tanala del Madagascar.
Presso i lango e i tanala, certi uomini cercano di assumere anche l'aspetto muliebre vestendosi con abiti femminili, simulando persino le mestruazioni e compiendo il lavoro delle donne. Essi possono prendere marito e vengono considerati uguali alle altre mogli, che sono molto contente di poter disporre di un simile uomo-donna, capace di eseguire i lavori più pesanti; tra di essi si trovano spesso uomini impotenti o individui che hanno dimostrato sin dall'infanzia di possedere inclinazioni femminili. L'atteggiamento degli altri indigeni è improntato a indifferenza; gli uomini-donne non godono di un'alta considerazione, ma non vengono neppure disprezzati.
L'etnologia ha coniato per questi tipi il termine berdache, originario del Nord America, da ora in poi anche noi useremo tale espressione. Il berdache è un travestito, che indossa abiti femminili, può prendere un altro uomo per marito, esegue lavori donneschi, durante il coito assume ilruolo della femmina e rappresenta una vera e propria istituzione presso il suo popolo.
L'omosessualità ha raggiunto una notevole diffusione presso i siwa dell'Africa del nord, dove tutti gli uomini e i ragazzi praticano il coito anale, ma assumono atteggiamenti femminili unicamente durante l'atto sessuale. Gli uomini che rifuggono da queste pratiche vengono considerati anormali. Ci si presta reciprocamente i figli e si parla apertamente delle proprie esperienze omosessuali. Sia gli uomini sposati che quelli scapoli hanno relazioni intime con persone del proprio sesso e di quello opposto (Das Sexualverhalten von Mensch und Tier, pag. 148 e segg.).
I cwana del Sud Africa e i mbundu dell'Angola disprezzano le tendenze omosessuali e beffeggiano coloro che si dedicano, di nascosto, a queste pratiche.
Anche in Asia esistono i berdache Verso la fine del secolo scorso [cioè del XIX secolo, nota nostra] Ehlers li ha osservati nel Los; essi venivano chiamati pu-meas, si vestivano come donne ed erano esentati dai doveri degli uomini, come - ad esempio - il pagamento delle tasse (Im Sattel durch Indo-China).
Hugo A. Bernatzik descrive così quanto ha potuto notare durante il suo soggiorno nell'isola di Bali: «La capitale del sud, Pasar, è una strana città. Sin dalla prima sera mi resi conto che i costumi della terraferma indiana si erano trasferiti anche a Bali. Innumerevoli adilescenti mi si offrivano lungo la strada ed erano estremamente stupiti che per lungo tempo non fossi riuscito a capire di che si trattasse. Molti balinesi sembrano avere tendenze bisessuali». Indubbiamente si tratta di una "omosessualità turistica", perché i giovinetti si offrono principalmente ai bianchi, considerati omosessuali dagli indigeni, come lo stesso Bernatzik afferma nel testo che segue: «'Oggi ho fatto uno strano incontro', mi disse un vecchio balinese, 'ho visto un bambino bianco. Come fanno le vostre donne ad avere figli? Gli europei giacciono soltanto con dei ragazzi', soggiunse con incredibile candore». (Südsee, pag. 192).
Ford e Beach classificano i balinesi tra i popoli che condannano l'omosessualità: «Nell'isola di bali l'omosessualità è legata unicamente ad una forma di prostituzione».
Gli aloresi «biasimano i giochi omosessuali dei bambini, ma non li puniscono, mentre agli adulti queste pratiche sono severamente proibite». Presso la tribù beduina dei ruala «la ripugnanza per l'omosessualità è così forte, che i colpevoli vengono condannati a morte».
Altri popoli che Ford e Beach considerano contrari all'omosessualità sono gli ifugao delle Filippine, i lakher e i lepcha dell'India. (Das Sexualverhalten von Mensch und Tier, pag. 146 e segg.).
Le seguenti tribù asiatiche hanno opinioni diverse in proposito. Presso i cukci della Siberia orientale, i berdache vestono abiti muliebri, assumono atteggiamenti femminili, e sesso si sposano con altri uomini. Di solito vengono considerati sciamani. «La coppia pratica il coito anale e lo sciamano impersona la donna. Oltre alla moglie-sciamano, l'uomo ha, di solito, anche altre mogli con le quali ha rapporti eterosessuali. Talvolta lo sciamano ha persono una donna per amante e genera dei figli. Gli sciamani sono molto rispettati ed esercitano una notevole influenza, dovuta alle loro presunte capacità soprannaturali di stregoni e non alle loro tendenze omosessuali
Anche gli jakuti della Siberia nord-orientale, i korjaki, i reddi dell'India meridionale e i tinggian dell'isola di Luzon (Filippine) non avversano l'omosessualità». (Das Sexualverhalten von Mesch und Tier, pag. 148 e segg.).
Numerosi sono i resoconti sull'omosessualità degli isolani dei Mari del Sud; Hans Nevermann, ad esempio, riferisce il seguente episodio accaduto nella Nuova Guinea sud-orientale: uno zelante missionario convinse gli uomini di un villaggio ad abbattere la loro stupenda "casa-club", perché le pratiche omosessuali che venivano esercitate dentro di essa erano per lui una spina nel cuore. Poco tempo dopo gli uomini andarono a lamentarsi dal missionario di non possedere più un luogo di riunione, tanto più che i loro costumi proibivano ai mariti di stare sempre con le mogli. Il pastore permise loro di chiacchierare e fumare nella sua veranda e soltanto molti anni più tardi venne a sapere che per tutto quel tempo gli indigeni avevano continuato a dedicarsi al loro passatempo preferito proprio in casa sua, senza dirgli niente, naturalmente, tanto non li avrebbe compresi.
Erhard Schleiser parla diffusamente delle pratiche omosessuali dei marind-anim della Nuova Guinea sud-orientale; tale attività si svolgeva soprattutto durante i riti segreti e le iniziazioni. Prima di essere iniziati e aver superato le prove di virilità, i fanciulli servivano alla pederastia degli adulti. Presso questa popolazione tutti gli uomini avevano esperienze omosessuali prima di poter avere normali rapporti con le donne, ma anche dopo il matrimonio avevano contatti intimi con gli appartenenti al proprio sesso nelle "case-club" riservate ai maschi.
Presso gli jatmul (Nuova Guinea) l'omosessualità è proibita, tuttavia Margaret Mead scrive: «Un ragazzo proveniente da un altro villaggio o appartenente ad un'altra tribù rimane sempre vittima delle pratiche omosessuali; e ai giovani jatmul viene detto che essi diventeranno degli invertiti se si recano a lavorare con uomini forestieri». (Male and Female, pag. 78).
Secondo Ford e Beach le seguenti popolazioni della Nuova Guinea e dei territori limitrofi permettono l'omosessualità: i keraki, i kiwai e i wogeo delle isole Schouten. I kwoma, invece, «giudicano la sodomia (cioè il coito anale) come un atto contro natura e repellente». A proposito dei keraki, gli stessi autori scrivono: «I giovani praticano la sodomia, e durante i riti di iniziazione tutti i ragazzi vengono posseduti da uomini più anziani. Dopo aver ricoperto per un anno la parte passiva, i giovani trascorrono il restante periodo del loro celibato avendo rapporti intimi con altri giovanetti che devono ancora essere iniziati. Gli indigeni credono che queste pratiche giovino agli adolescenti; essi sono convinti che la sodomia possa provocare la gravidanza e durante particolari cerimonie fanno magiare un po' di calce ai ragazzi per impedire questi presunti concepimenti. Anche presso i kiwai si pratica la sodomia durante l'iniziazione, per irrobustire i giovani.
Presso i wogeo, i rapporti omosessuali tra adulti, sembrano limitarsi unicamente ad un reciproco toccarsi dei genitali con le mani».
Come abbiamo visto, nella Nuova Guinea i costumi in questo campo sono assai vari., lo stesso si può dire anche per la vicina Australia: «In molte tribù australiane gli scapoli hanno rapporti sessuali con fanciulli non ancora iniziati». (Sexualverhalten von Mensch und Tier, pag. 148). Strehlow scrive quanto segue sugli aranda dell'Australia centrale: «La pederastia è un costume pienamente riconosciuto. Di solito, un uomo che abbia superato tutte le prove d'iniziazione prende con sé un ragazzo di dieci-dodici anni e ha rapporti sessuali con lui sino a quando non decide di sposarsi. Il fanciullo non viene circonciso, sebbene non sia considerato più un bambino, ma un giovane uomo. L'efebo deve appartenere alla stessa classe matrimoniale in cui l'uomo può scegliersi una moglie». (Das soziale Leben der Aranda und Loritja, pag. 98). Dal citato resoconto si può arguire che la pederastia presso gli aranda serve a sostituire provvisoriamente i rapporti coniugali; in altra parte della presente opera abbiamo avuto occasione di apprendere quanto sia difficile per gli indigeni australiani trovae una moglie.
Anche la restante parte dei popoli dell'Oceania sono, in gran parte, tolleranti nei confronti dell'omosessualità; a detta di Ford e Beach ciò vale per le popolazioni micronesiane dei chamorro e dei palau, dei polinesiani di Puka-puka, dele Samoa e della lontana isola di Pasqua. L'omosessualità è severamente bandita, invece, dai manus delle isole dell'Ammiragliato, dai kurtatchi delle Salomone, dai trobriand della Melanesia, dagli abitatori delle isole Marshall e Truk della Micronesia e dai polinesiani di Tikopia e di Tonga. (Sexsualverhalten von Mensch und Tier, pagg. 146 e 148).
Dobbiamo ora esaminare l'atteggiamento dei popoli primitivi delle due Americhe. Presso gli Indiani dell'America del Nord i berdache hanno sempre ricoperto un ruolo importante; essi godevano di molta stima e ricoprivano incarichi di fiducia in qualità di mediatori e consiglieri. Margart Mead ritiene che questo atteggiamento servisse a bilanciare l'eccessiva considerazione tributata al coraggio e all'audacia degli uomini. I berdache si sposavano con uomini e facevano la vita delle donne.
Gli omosessuali degli indiani crow non conoscono il coito anale, ma «usano eccitare i genitali con la bocca. Alcuni uomini crow si vestono da donna e assumono atteggiamenti femminili, vivendo appartati. Essi sono chiamati bate e vengono spesso visitati da giovanetti e da uomini anziani. Il bate stimola i genitali dei ragazzi con la bocca. Un indiano, interpellato in proposito, ha dichiarato che nella sua tribù esistevano molti uomini del genere».
Le seguenti popolazioni nord-americane non ostacolo l'omosessualità: i creek, gli hidatsa, gli hopi, i koniagi, i crow, i mandan, i maricopa, i menomini, i naskapee, i natchez, i navaho, gli omaha, gli oto, i papago, i ponca, i quinault, i seminole, i tubabulabalgli yuma, gli yurok e gli zuni, mentre - secondo Ford e Beach - i chirichaua, i klamath, i kwakiute, gli ojibwa, i pima, i sanpoil e i simkaietk la condannano.
Nell'America del Sud gli invertiti sono tollerati dagli aruak. dai pehuelche, dagli aymara, dai tupinamba e dagli uitoto; d'opinione contraria sono i cuna, i goajiro, i ramcocamecra, i sirionò e gli yaruro. L'esploratore Holmberg, che visse con un gruppo di circa cento sirionò, riferì di non aver osservato neppure un caso di omosessualità, sebbene queste pratiche non fossero proibite da quella tribù. Questo è l'unico gruppo etnico conosciuto, in cui manchi del tutto l'omosessualità pur non esistendo alcuna misura repressiva contro gli invertiti. (Das Sexualverhalten von Mensch und Tier, pagg. 146-150).
Purtroppo ci è impossibile trattare con la medesima ampiezza l'omosessualità delle donne, il lesbismo, perché la documentazione relativa è assai scarsa. Questa anomalia attira un interesse molto minore di quella degli uomini e - in genere - viene tollerata dai primitivi. Essa trova un incentivo nei matrimoni poligamici e in alcune usanze, come quella che proibisce alle donne di avere rapporti sessuali durante l'allattamento.
Soltanto per 17 dei 77 gruppi etnici esaminati, Ford e Beach forniscono dati riguardanti le tendenze omosessuali delle donne. Nel continente africano: gli asande, i cwana (che, come abbiamo riferito in precedenza, proibiscono l'omosessualità maschile), i dahomey, i mbundu, gli ottentotti nama e gli abitanti di Haiti, da noi classificati tra gli africani perché appartengono alla razza negra pur abitando nell'America centrale. In Asia: i cukci. In Oceania: gli aranda, i manus e i samoani. In America: gli aymarà del Perù, i chirichaua del Nord America, gli indiani crow del Canadà, gli ojibwa della zona dei Grandi Laghi, i quinault della costa occidentale degli Stati Uniti, i sanpoil che vivono nel medesimo territorio e gli yuma della California meridionale. (Das Sexualverhalten von Mensch und Tier, pag. 151).
I mezzi di soddisfacimenti dell'amore lesbico sono diversi. A pag. 28 del volume Women and thier Life in Central Australia si legge il seguente brano: «Morica descrive la masturbazione reciproca di due donne, ella la chiama carezzare la clitoride con un dito. Dopo essersi eccitate per un certo tempo nella maniera indicata, una delle donne si corica sull'altra, come un uomo, e continuando la manipolazione le sussurra all'orecchio: 'Un uomo con un grande pene verrà da te e ti possederà'.
Spesso si fa uso di un pene artificiale, le donne dei cukci (Siberia) lo costruiscono con muscoli di renna. Presso gli asande, in Africa, le mogli di personaggi importanti (matrimoni poligamici!!) si masturbano con un pene di legno, o anche con una banana, una radice di manioca o una patata dolce. Una delle due donne ferma questo oggetto per mezzo di uno spago intorno ai fianchi e imita la copula con la compagna. I dahomey credono che le donne dedite a pratiche omosessuali divengano frigide nel matrimonio». (Das Sexualverhalten von Mensch und Tier, pag. 151).
Dalla maggior parte degli esempi citati si può dedurre che i popoli primitivi anche praticando l'omosessualità cerchino il soddisfacimento imitando la forma esteriore dei rapporti eterosessuali, gli uomini usando il coiti anale e le donne servendosi di peni artificiali. Si è portati perciò a concludere che non potendo seguire gli istinti naturali in maniera normale gli indigeni ricorrono ad una persona del proprio sesso mantenendo inalterate le condizioni della copula. Un'indagine che confrontasse il comportamento degli omosessuali dei popoli civili e di quelli primitivi metterebbe sicuramente in evidenza i diversi fattori che provocano questa anomalia.
Giunti al termine di questa panoramica, è tempo di avanzare qualche conclusione - o qualche tentativo di conclusione - da quanto abbiamo appreso.
La prima cosa che ci sembra evidente è che l'omosessualità, considerata come fatto sociale e non come fatto psicologico, non è affatto caratteristica - come molti sono portati a credere - delle società altamente civilizzate e, magari, decadenti. I Greci non la ammettevano ai tempi di Platone più di quanto non l'avessero accettata molti secoli prima; e ve ne sono numerose tracce nella letteratura, da Omero a Saffo; nella pittura, specialmente vascolare; e altrove.
Per quanto riguarda i popoli nativi, possiamo vedere che essa è presente in molti di essi - forse la maggioranza. Almeno stando allo studio di Ford e Beach - e sia pure in forme e contesti estremamente diversificati. Del resto, è illusorio pensare che i popoli nativi rappresentino una umanità ferma allo stadio della pietra; nessuna società umana è ferma: sono tutte il prodotto di una evoluzione, per quanto essa sia più veloce in alcune rispetto ad altre. Pertanto è ingannevole immaginare che i popoli nativi corrispondano a una situazione di "natura" la quale si possa contrapporre ad una di "cultura", propria dei popoli cosiddetti civilizzati.
Tra i popoli nativi, inoltre, quelli che appaiono più decisamente avviati verso una evoluzione materiale e spirituale, come è il caso di quelli siberiani, sono proprio quelli ove la figura dell'invertito - ossia dell'omosessuale passivo, con caratteristiche psicologiche femminili - è più rispettata e onorata, grazie alla sua appartenenza alla classe degli sciamani.
Viceversa, non abbiamo elementi sufficienti per decidere la questione se l'omosessualità diffusa e sistematica, come quella praticata presso i Siwa nordafricani, provocasse (purtroppo dovremmo usare il passato remoto per quasi tutti i popoli qui considerati, visto che i loro modi di vita stanno velocemente scomparendo), se provocasse, dicevamo, danni evidenti all'armonia e al benessere della comunità.
Tutto quel che sappiamo è che un pellegrinaggio all'oasi di Biskra, o in altre località "compiacenti" del Nord Africa, era, nella seconda metà dell'Ottocento, il sogno proibito di moltissimi omosessuali europei, in genere di estrazione borghese e intellettuale, dato che già allora quei popoli avevano fama di essere straordinariamente disponibili a un tal genere di pratiche, con chiunque lo avesse desiderato.
Pare che anche Nietzsche abbia accarezzato un tale progetto, all'epoca del suo soggiorno a Messina; così almeno sostiene il suo biografo Joachim Köhler nel libro Nietzsche. Il segreto di Zarathustra. E la stessa cosa avrebbe poi progettato, mettendola però in pratica, lo scrittore francese André Gide. Ma, come si è detto sopra, a quel punto diventa difficile separare l'omosessualità dei popoli nativi come fatto originario, da quella per così dire turistica, indotta dall'afflusso di visitatori stranieri il cui scopo preciso è quello di potersi dedicare a delle pratiche sessuale che, nei loro rispettivi Paesi, sono oggetto di biasimo sociale o, magari, di repressione giuridica.
Una seconda conclusione che ci sembra di poter trarre è che presso molti popoli nativi (non tutti) i costumi sessuali sono visti in una prospettiva autonoma rispetto al codice etico condiviso dalla comunità, e ciò vale anche per le pratiche omosessuali. Questa affermazione può sembrare in contrasto con quanto dicemmo a suo tempo circa l'interconnessione di tutte le forme della vita sociale presso i popoli nativi; però bisogna distinguere fra le attività sessuali ritualizzate all'interno di specifici cerimoniali religiosi, e attività sessuali, diciamo così, private.
Per quello che riguarda l'ambito delle pratiche omosessuali, un buon esempio di attività ritualizzate è dato dalle cerimonie di iniziazione alla maturità di molti popoli nativi, nel corso delle quali, come si è detto, tutti gli adolescenti devono soggiacere ad atti di pederastia da parte degli adulti. Invece le pratiche omosessuali esercitate al di fuori dei riti sono generalmente viste come riguardanti la sfera della vita privata dell'individuo; ammesso e non concesso che, presso i popoli nativi, esista (o sia esistita) una cosa come "la sfera della vita privata".
Si rifletta, a questo proposito, che anche nella civiltà contadina, ossia nelle società europee pre-moderne, i margini del "privato" erano non solo assai esigui in confronto alla sfera della vita comunitaria, ma che essi erano in genere distinguibili solo a fatica, per cui era ben difficile stabilire dove iniziasse la sovranità dell'uno rispetto all'altra. Ebbene, una analoga considerazione può essere fatta per quel che riguarda le società dei popoli nativi. La conseguenza di tale assunto è che, parlando della vita sessuale dei popoli nativi, fatalmente si incorre nell'equivoco di cui dicevamo all'inizio: quello di imporre, magari inavvertitamente, categorie concettuali esclusive della civiltà occidentale ad ambiti culturali completamente diversi, ove - ad es. - la distinzione fra "pubblico" e "privato" è a stento riconoscibile, per il semplice fato che i concetti ad essa sottesa non esistono, almeno così come li intendiamo noi.
La terza e ultima conclusione che ci sembra di poter trarre da quanto sopra è che, forse, non esiste un fenomeno unitario chiamato "omosessualità", se non in senso puramente tecnico ed esteriore; bensì ne esistono tante forme, anche assai diverse tra loro, quante sono le culture umane. Perciò non è possibile confrontare tali forme l'una con l'altra, come se fossero varianti di un'unica realtà; bensì bisogna valutare ciascuna di esse nel proprio contesto specifico.
A questo punto sorge un grosso problema. La civiltà occidentale moderna sta dilagando in ogni parte del mondo e non solo ha provocato la scomparsa delle forme di vita particolari dei popoli nativi, ma, in molti casi, ha portato all'estinzione di essi; sicché stiamo andando verso un modello culturale unico - il che non vuol dire unitario. All'interno di tale modello, infatti, entrano dalla finestra - deformate e irriconoscibili - forme di vita che sono state brutalmente cacciate dalla porta; un po' come le forme del paganesimo greco-romano si sono reinserite nella corrente vittoriosa del cristianesimo; o, ancora, come i culti africani degli schiavi portati in America si sono mescolati, nel Voodoo, con la religione e la cultura dei loro padroni bianchi.
Che cosa possa diventare il fenomeno dell'omosessualità presso i popoli nativi, una volta che sia stato sradicato dal proprio contesto socio-culturale, lo possiamo vedere nelle periferie degradate delle megalopoli del Terzo Mondo, ove il modello economico e culturale occidentale si mescola e si confonde con i cascami delle culture distrutte dei popoli nativi, costretti a inurbarsi in maniera caotica e disperata, nella promiscuità e nella miseria infinita di favelas e bidonvilles. Se a ciò si aggiunge che, in tali periferie degradate, la prostituzione - sia eterosessuale che omosessuale - è quasi l'unica forma di sopravvivenza per milioni e milioni di persone (oltre, s'intende, alla piccola criminalità quotidiana ), si potrà intuire facilmente che cosa significhi tutto questo ai fini del nostro discorso.
E a tutto ciò si aggiunga la pratica, ormai largamente diffusa, del turismo sessuale, mediante il quale i viaggiatori occidentali sfruttano le popolazioni più misere, e in special modo i bambini e gli adolescenti, per soddisfare quei vizi che in patria non osano mostrare apertamente; e, cosa oggi più grave di tutte - almeno in Africa - il dilagare della sindrome da immunodeficenza acquisita, che molti elementi inducono a pensare esser nata da uno scellerato progetto del governo occulto mondiale per far diminuire drasticamente la popolazione mondiale.
Eravamo partiti con degli interrogativi e con la speranza che lo studio dell'omosessualità presso i popoli nativi ci avrebbe aiutato a comprendere meglio il fenomeno dell'omosessualità in se stessa. Ma, giunti al termine della nostra indagine, ci accorgiamo che gli interrogativi rimangono, e che le ipotesi che siamo venuti avanzando sono fragili e provvisorie.
Noi non possiamo comprendere sino in fondo la funzione sociale svolta dalle pratiche omosessuali in società totalmente diverse dalla nostra. Possiamo, ovviamente, darne una valutazione a proposito del mondo contemporaneo, nel quale ci troviamo a vivere; e ne diamo una valutazione negativa, se non altro perché ci sembra introdurre un elemento di disordine e di disorientamento in una società, come quella occidentale moderna, che è già fin troppo disorientata e confusa.
Non possiamo, però, escludere che, in società diverse dalla nostra, tale pratica non abbia nuociuto all'equilibrio del corpo sociale o che, in ogni caso, non abbia causato danni particolarmente gravi. Del resto, anche nel caso dell'antica Grecia - che conosciamo abbastanza bene - sarebbe arduo tentare di istituire un rapporto diretto fra la diffusione della cultura e della pratica omosessuali e la decadenza politica, sociale ed economica di quella civiltà.
Gli etologi, poi, dal canto loro hanno fatto osservare quanto siano diffuse le pratiche omosessuali tra i mammiferi più vicini all'uomo per sviluppo cerebrale - ad es., tra i delfini. Ma questo, ovviamente, non è un argomento pertinente, dato che le società umane sono - con buona pace dell'evoluzionismo oggi imperante - qualcosa di profondamente diverso da quelle animali, essendo caratterizzate dalla libertà di scelta di cui dispone un nuovo soggetto: la persona.
A noi sembra che, nella nostra cultura, l'armonia della vita sociale e individuale sia strettamente legata alla istituzione di un rapporto armonioso fra l'io e il tu, al fine di uscire dallo sterile narcisismo di un io autoreferenziale e chiuso in se stesso: come siamo venuti sostenendo con tutta una serie di saggi ed articoli. Ora, nella nostra cultura, basata sulla distinzione netta fra il principio maschile e quello femminile (distinzione che presuppone una complementarità), a noi sembra che l'incontro più fecondo, sia in senso affettivo che in senso morale, sia quello fra un io maschile e un tu femminile, e viceversa. Perciò abbiamo affermato che il fenomeno dell'omosessualità introduce un elemento negativo, di disorientamento e di disordine.
Forse, in altre società - come quelle degli antichi popoli siberiani - non era così; forse, sulla base di premesse diverse - ad es., l'eccellenza ideale della figura dell'androgino, come nel Simposio platonico, ma anche come nel caso degli sciamani jakuti - si può anche immaginare che l'omosessualità non sia un fattore così negativo.
Noi non lo sappiamo: ignoramus et ignorabimus.
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