domenica 21 settembre 2025

LETTURA PROFONDA E LETTURA FRAMMENTATA. REDAZIONE, Cosa succede se smettiamo di leggere?, OUTPUMP, 7.09. 2025

 C’è un gesto impercettibile, quasi riflesso, che ogni lettore oggi conosce. Sta leggendo un libro, un lungo articolo, magari anche solo una newsletter. Eppure, a un certo punto, il pollice comincia a muoversi. Non ha ancora premuto nulla, ma scalpita. La tentazione del clic – una notifica, un messaggio, una scheda del browser aperta – è lì, a pochi millisecondi.


Il pollice si muove, la lettura si interrompe.

Non è un’eccezione, ma la regola. La condizione ordinaria della lettura nel 2025 è quella dell’interruzione costante, della frammentazione, della moltiplicazione degli stimoli, dei formati, delle modalità.

Eppure, se ci fermiamo a guardare i dati, sembrerebbe che il lettore, tutto sommato, sia ancora lì. Secondo le ultime rilevazioni dell’Associazione Italiana Editori, il 73% degli italiani tra i 15 e i 74 anni ha letto almeno un libro, un ebook o ascoltato un audiolibro nell’ultimo anno. Ma se si guarda al tempo effettivo dedicato alla lettura, il quadro cambia: 2 ore e 47 minuti a settimana in media, in calo rispetto alle 3 ore e mezza del 2022.

Negli Stati Uniti, la fotografia non è tanto diversa. La National Endowment for the Arts registra un costante declino: nel 2022, meno della metà degli adulti ha letto almeno un libro nell’anno. E tra i tredicenni americani solo il 14% dichiara di leggere per piacere quasi ogni giorno: dieci anni fa erano il doppio.

E questa abitudine sempre meno frequentata sta già cambiando il mondo. Un momento simbolico, recente, è la morte di Pocket, uno dei più noti archivi digitali per salvare articoli da leggere più tardi. Come ha scritto Anne Helen Petersen in un sentito necrologio per Culture Study, Pocket rappresentava un’epoca in cui “Internet voleva essere letto, non scrollato”. Un momento in cui il tempo online era scandito dalla ricerca di testi lunghi, complessi, soddisfacenti. In cui leggere significava rallentare, trattenere, tornare.

La crisi della lettura profonda

Quello che sta venendo meno, in effetti, non è solo l’abitudine a leggere, ma un certo tipo di lettura: continua, immersiva, prolungata. Quella che una neuropsichiatra americana, Maryanne Wolf, definisce lettura profonda, ovvero un processo che coinvolge molteplici aree del cervello e permette al lettore di stabilire connessioni, riflettere, integrare nuove informazioni con conoscenze pregresse.

A differenza dello skimming – la lettura per grandi linee – o della lettura frammentata tipica dello scroll, la lettura profonda richiede tempo e attenzione: è ciò che succede, ad esempio, quando leggiamo un romanzo denso o un saggio ben costruito e ci troviamo a ricollegare ciò che leggiamo a esperienze personali, a porci domande, a rallentare per pensare. È una forma di attenzione concentrata che non si limita a comprendere le parole, ma le mette in relazione con un contesto più ampio. E proprio questa capacità di tenere insieme più livelli di senso sembra oggi sempre più fragile.

Per secoli leggere è stato un gesto silenzioso, privato, lineare. Muovere gli occhi lungo le righe di una pagina, lasciarsi attraversare da un testo seguendo un ritmo proprio, in un luogo mentale separato dal mondo. Oggi, quella forma si è incrinata. Siamo entrati in una nuova era, un momento storico di ridefinizione del nostro rapporto con la lettura.

“La sensazione – mi spiega Ilenia Zodiaco, che con il nickname @conamoreesquallore parla di letteratura sui social media – è che la lettura lenta, approfondita sia incompatibile con l’ottimizzazione e la parcellizzazione delle nostre giornate lavorative. È chiaro che istantaneità, brevità e immediatezza siano caratteristiche che mal si adattano alla costruzione di literary fiction, a meno che non si decida di sperimentare con le forme ma, per quanto riguarda il concetto di narrativa letteraria più generico, possiamo considerarla ormai a tutti gli effetti marginale”.

La fine della parentesi Gutenberg

Negli ultimi anni, gli studiosi hanno proposto una lettura storica di questo passaggio: l’idea che la cultura della stampa – inaugurata con Gutenberg e consolidata in secoli di libri, giornali, enciclopedie – abbia rappresentato una parentesi; la parentesi Gutenberg, appunto. Un’eccezione nella storia più ampia dell’umanità, dominata da oralità, trasmissione verbale, comunicazione fluida. 

Quella parentesi, oggi, si starebbe chiudendo. Lo si vede ovunque: nei testi che si leggono a pezzi, tra un contenuto e l’altro; nella fluidità tra formati (testo, audio, video, sintesi automatica); nella crescente abitudine a iniziare un libro in ebook, proseguirlo in audio, magari finirlo leggendo una sintesi su Wikipedia o Substack.

«Oggi non esiste più una sola lettura. Esistono molte forme di lettura, ciascuna legata a un uso, un contesto e un supporto specifico. C’è la lettura per informarsi, quella per piacere, quella scolastica, quella di approfondimento… Tutte queste letture stanno cambiando profondamente con l’avvento del digitale, perché si sta trasformando l’ecosistema in cui leggiamo: questo paradigma (perché non è solo un ambiente) ha mutato la forma dei testi, ma anche le abitudini cognitive e culturali con cui ci avviciniamo all’esperienza della lettura e dell’apprendimento».
Beatrice Cristalli, consulente in editoria scolastica per Mondadori Education e Rizzoli Education.

È quella che qualcuno ha definito la parentesi Zuckerberg, l’epoca in cui i social hanno costruito nuovi modelli di discorso, hanno ridefinito le modalità con cui una parte consistente degli esseri umani hanno accesso a informazioni, relazioni e intrattenimento.

“Pensiamo alla scuola – continua Cristalli -, i testi integrali sono sempre più rari nei manuali. Per la didattica dell’italiano rappresentano oggi un “problema”. Vengono proposti brani antologici più brevi, spesso accompagnati da glosse o apparati di lettura che in qualche modo “pre-interpretano” il testo per lo studente o la studentessa. Le letture integrali in classe sono diventate eccezioni, spesso sacrificate in nome della mancanza di tempo. Ma leggere per intero un testo letterario è un’esperienza cognitiva e culturale che costruisce il pensiero: impone un ritmo, un’immersione, una coerenza mentale che nessuna lettura frammentaria può sostituire. Il rischio è che anche a scuola si riproduca un modello simile a quello dell’infotainment, dove la forma conta più del contenuto”.

È un processo tutto sommato lineare: una nuova modalità di fruizione di informazioni e intrattenimento emerge; le persone – soprattutto i più giovani – si abituano a quel tipo di lettura; anche le precedenti modalità di accesso al mondo cambiano, si modellano intorno alla nuova. Eppure, anche quella parentesi pare superata o, quantomeno, in evoluzione. Sempre più spesso, chi incontriamo online non è nemmeno una persona: è un modello linguistico, addestrato su milioni di testi. I modelli linguistici come ChatGPT o Claude non sono solo strumenti di risposta: sono lettori. Leggono (in senso lato) enormi quantità di testi, li analizzano, li riassumono, li trasformano. Operano come lettori seriali, capaci di attraversare milioni di libri, di ricordarne il contenuto, di sintetizzarlo in forma accessibile. Come se i libri avessero preso vita, ma non per tornare: per trasformare radicalmente il modo in cui scrittura, pensiero e conversazione si mescolano e si ridefiniscono.

E la nuova parentesi è una parentesi fatta di una lettura che smette di essere fine per diventare mezzo, strumento per raggiungere un obiettivo preciso. I grandi modelli linguistici come ChatGPT o Claude processano quantità di testo inimmaginabili per un essere umano, e sono in grado di riassumere, semplificare, collegare, spiegare, parafrase. 

In questo nuovo scenario, la lettura diventa una fase intermedia verso qualcos’altro: la comprensione rapida, la produzione di contenuti derivati, l’interazione con un sapere già digerito e organizzato.

“Dopo la morte dell’autore di Barthes – mi spiega Edoardo Vitale, scrittore e autore di uno dei romanzi italiani più belli del 2024, Gli straordinari – , oggi possiamo parlare di morte del lettore intesa come la fine di una pratica individuale unilaterale. L’atto di leggere significa connettersi a un flusso più ampio nel quale partecipano diverse interfacce. Frammenti, riscritture, salti, tagli, simulazioni: il lettore sembra più che altro un nodo connettivo che riceve e trasmette concetti a velocità supersonica, con una soglia dell’attenzione che continua ad abbassarsi”. 

Ma cosa perdiamo, quando smettiamo di leggere perché qualcuno o qualcosa è in grado di farlo per noi?

“Osservato da una certa prospettiva – continua Vitale – , sembra un’opera meravigliosa. Entrando più nello specifico, mi preoccupa l’idea che la lettura profonda diventerà un processo sempre più esclusivo e inaccessibile alle grandi masse, il nostro cervello si modificherà in tal senso, mentre i mezzi di produzione e diffusione dei codici sono saldamente in mano a dei multimiliardari con interessi di dominio sull’umanità. Quando parliamo di lettura mi occuperei di questo più che dei “consigli sui libri da leggere sotto l’ombrellone perché leggere fa bene alla nostra anima”.

Cosa perdiamo se smettiamo di leggere?

Secondo autori come Andrey Mir e Adam Garfinkle, l’era digitale sta in effetti riportando alla luce molte caratteristiche dell’oralità: la centralità della ripetizione, la struttura epigrammatica dei contenuti virali, l’associazione immediata tra pensiero e identità. Si diffonde una forma di comunicazione che è al tempo stesso orale e scritta, ma sempre meno sequenziale, sempre più performativa. L’argomentazione perde spazio, mentre guadagna peso la posizione: chi dice cosa, con quale tono, in quale contesto sociale.

È un processo che uno studioso di media, Neal Postman, ha descritto in modo molto efficace in un libro uscito nel 1985, Divertirsi da morire. I media, dice l’allievo di Marshall McLuhan, svolgono un ruolo cruciale nell’evoluzione delle persone e delle società, perché plasmano le modalità con cui accediamo, elaboriamo e interpretiamo le informazioni. La televisione, in particolare, ha contribuito alla trasformazione del cervello umano, in particolare al passaggio da un cervello tipografico a un cervello spettacolare. 

Il primo, nutrito dalla cultura della parola scritta e della stampa, si distingue per la sua propensione all’analisi, alla razionalità e alla profondità di pensiero. Richiede un coinvolgimento cognitivo attivo, la capacità di astrazione e un’attenzione sostenuta. La forma scritta, in particolare la prosa, incoraggia un’esposizione lineare e coerente dei concetti: stimola, scrive Postman, la riflessione critica e il dibattito razionale.

È l’avvento dei media elettronici, in particolare la televisione, a cambiare le cose e a favorire l’emergere di un cervello spettacolare, caratterizzato dalla frammentarietà, dalla superficialità e dall’immediatezza. Il flusso incessante di immagini, tipico del mezzo televisivo, riduce la complessità del mondo a una sequenza di eventi scollegati e privi di contesto. Favorisce un discorso pubblico dominato dall’intrattenimento, dove l’emotività prevale sulla razionalità e l’approfondimento cede il passo alla semplificazione.

Postman evidenzia come questa transizione abbia un impatto significativo sulla nostra percezione della verità e sulla qualità del discorso pubblico. L’informazione si trasforma in una merce da consumare e dimenticare rapidamente. La storia viene relegata a un ruolo marginale, sacrificata sull’altare dell’immediatezza e dell’attualità. La televisione – e questa nuova parentesi orale mediata dai social media – promuove un’epistemologia basata sull’immagine e sull’intrattenimento, che si diffonde a macchia d’olio in ogni ambito della vita sociale, dalla politica alla religione, dall’educazione al commercio.

Insomma, se cambia il modo di leggere, cambiano anche le persone, le idee che frequentiamo, le relazioni che abbiamo. Il modo stesso, in altre parole, con cui ci rapportiamo al mondo e agli altri. 

Secondo alcuni, sarebbe proprio la fine della parentesi Gutenberg una delle cause della crisi, in Occidente, delle democrazie liberali. Stando a questa idea, il cittadino post-alfabetico faticherebbe a comprendere concetti astratti come lo stato di diritto, la libertà di espressione, l’universalismo. Vedrebbe quindi il mondo come una battaglia tra “noi” e “loro”, tra emozioni e minacce, tra esperienze personali e mitologie collettive. Così i cittadini si preoccuperebbero più del prezzo delle uova che dell’autoritarismo, perché l’uno è concreto, l’altro astratto.

Ma questa visione, per quanto suggestiva, rischia di diventare deterministica. Come ha scritto recentemente Eric Levitz su Vox, non è detto che la crisi del pensiero liberale derivi dalla perdita di abitudine alla lettura astratta. Non tutto l’analfabetismo digitale è illiberalismo. Né tutta la cultura del libro ha garantito apertura, empatia o razionalità.

Piuttosto, è possibile che ci troviamo in un passaggio intermedio, in cui le vecchie coordinate cognitive non bastano più, ma le nuove non sono ancora pienamente emerse.

“Come ha scritto la neuroscienziata Maryanne Wolf – continua ancora Cristalli – , il cervello è plastico, e potremmo forse abituarci a un bilinguismo cognitivo: un “cervello bialfabetizzato”, come lei sostiene, in grado di passare dalla lettura profonda a quella veloce. Ma questo equilibrio non è scontato, e richiede un’educazione condivisa”.

Perché serve una lettura inutile

“Quando ogni immagine – mi spiega Andrea Colamedici di Tlon, che con l’intelligenza artificiale ha creato un autore fittizio, Jianwei Xun – può essere costruita in tempo reale e ogni conversazione può essere simulata perfettamente, il presente stesso perde consistenza ontologica. Dovrà emergere una pragmatica sociale della verità dove ciò che conta non è la corrispondenza ai fatti ma la capacità di generare un accordo interpretativo. Bisognerà sviluppare criteri più sofisticati di plausibilità che tengano conto della complessità del nuovo ambiente mediale”. 

Serve, probabilmente, un nuovo patto. Un riconoscimento del valore della lettura per sé stessa, della capacità di un testo di portarti da un’altra parte, in un altro contesto. Di farti mettere in dubbio te stesso, di connetterti a un’altra situazione, di farti vivere, anche solo per qualche ora, nei panni di qualcun’altro o di qualcun’altra. 

“Il futuro della letteratura – le fa eco Zodiaco – è duplice: da un lato la saggistica e la non fiction diventeranno terreno di rimaneggiamento continuo da parte dell’AI o di altri intermediari che faranno sintesi per un pubblico di lettori “secondario”, laddove l’accesso (completo e non-mediato) alle fonti primarie sarà invece ridotto e riservato; dall’altro, la letteratura di consumo tenderà invece a diventare sempre più d’intrattenimento, di compagnia, di “sottofondo”, rispondendo a bisogni primari di rispecchiamento e conforto, più che a scopi artistici”.

Serve, infine, una riscoperta del valore dell’inutilità. Perché se c’è una caratteristica fondante di questa parentesi Zuckerberg aumentata dall’intelligenza artificiale è l’introduzione di un coefficiente continuo di misurabilità. Ogni cosa, ogni azione, ogni post ha un valore, in termini di like o di tempo risparmiato. La nuova oralità è identitaria proprio perché è prodotto inserito in un mercato senza limiti: vince e funziona quello che serve, che è in grado di generare risposte, di inserirsi in un flusso. 

Leggere è, da sempre, un’attività che non prevede feedback immediati, destinata a sedimentarsi, a restare senza risposte. Lo diceva, meglio di me, Mario Vargas Llosa, nel discorso del 2010 dopo l’assegnazione del Premio Nobel per la Letteratura, parlando di lettura e fiction:

“Perciò, bisogna ripetere questo concetto fino alla nausea per convincere le nuove generazioni: la finzione è piú di un passatempo, piú di un esercizio intellettuale che stimola la sensibilità e desta lo spirito critico. È una necessità imprescindibile affinché la civiltà prosegua il suo cammino, rinnovandosi e conservando in noi il meglio dell’essere umano. Per non regredire verso la barbarie dell’incomunicabilità e affinché la vita non si riduca al pragmatismo degli specialisti che vedono sí le cose in profondità ma che allo stesso tempo ignorano ciò che sta loro intorno, ciò che sta prima e ciò che sta dopo. Per non diventare servi e schiavi delle macchine che noi stessi abbiamo inventato. E perché un mondo senza letteratura si trasformerebbe in un mondo senza desideri né ideali né disobbedienza, un mondo di automi privati di ciò che rende umano un essere umano: la capacità di uscire da se stessi e trasformarsi in un altro, in altri, modellati dall’argilla dei nostri sogni”.

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