sabato 21 settembre 2013

CRIMINOLOGIA. LA RISCOPERTA DI LOMBROSO. RENATO FOSCHI, La fisiognomica della normalità, IL MANIFESTO, 19 settembre 2013

Negli ultimi anni abbiamo assistito a un revival dell'antropologo criminale italiano. Una riscoperta che lo innalza a studioso politicamente corretto, rimuovendo o ridimensionando l'apologia delle basi biologiche dei comportamenti presente nella sua opera



Da qualche tempo si assiste alla pubblicazione di libri dedicati a Cesare Lombroso, stampati da importanti case editrici nazionali ed internazionali. Solo per citare alcuni titoli significativi, vanno ricordati Cesare Lombroso cento anni dopo (Utet, a cura di S. Montaldo e P. Tappero) e The Cesare Lombroso Handbook (Routledge, a cura di Paul Knepper e Per Jørgen Ystehede). Sulla stessa linea, Mary Gibson e Nicole Hahn Rafter, storiche americane di impostazione liberal, sono tra le più esperte conoscitrici dell'opera criminologica lombrosiana, avendo pubblicato delle ottime edizioni americane di L'uomo delinquente e La donna delinquente. Per giunta nel 2011 è stata ripubblicata dal Mulino la prima, quasi introvabile, edizione italiana dell'Uomo delinquente del 1876, mentre da qualche giorno è in libreria per Bompiani la quinta edizione (1897), quella più completa ma meno rara, della stessa opera.
A cosa si deve questa nuova fortuna? Sicuramente ad un insieme di fattori tra cui la riapertura, nel 2009, del «Museo Lombroso» a Torino, l'esplosione delle neuroscienze responsabili del rinnovato interesse per il corpo come specchio dell'anima - a questo tema è stato dedicato il recente volume di Musumeci Cesare Lombroso e le neuroscienze: un parricidio mancato (Franco Angeli) -, l'impressionante sviluppo della genetica del comportamento e della genopolitics che indaga le predisposizioni genetiche di fenomeni complessi come i comportamenti politici.

Una storiografia revisionista
Non stupisce, quindi, che anche alcuni storici si dedichino alla riscoperta dell'opera lombrosiana con l'idea che quanto prodotto dalla storiografia del secolo scorso fosse sostanzialmente superato. Questa storiografia è definita «revisionista» dagli stessi curatori del Cesare Lombroso Handbook che raccoglie contributi dei maggiori rappresentanti di questo triste revival lombrosiano. Si tende a celebrare Lombroso come precursore nobile della ricerca contemporanea in particolare di quella criminologica, esaltandone gli aspetti tollerabili e politicamente corretti. Nel far questo sicuramente esistono differenti sensibilità e accortezze per cui l'opera lombrosiana viene comunque definita superata ma tuttavia da rivalutare e ripensare alla luce del presente. A questa storiografia si legano poi una serie di contributi recenti di storia della eugenetica e del razzismo italiano. In tal senso il presunto legame di Lombroso con il razzismo novecentesco e l'eugenetica negativa viene rigettato sulla base delle incongruenze teoriche e delle discontinuità. Infine è anche presente un retrogusto patriottico nella difesa di Lombroso come gloria nazionale.
Può essere certamente molto utile discutere Lombroso e farlo conoscere nelle scuole o nelle università ma non nel senso celebrativo e progressista a cui tende il panorama appena descritto. Due esempi di questa «rilettura» vengono da due cataloghi del Museo Lombroso. Il primo uscito alla metà degli anni Settanta dal titolo La scienza infelice ed il secondo del 2009 - pubblicato in occasione della riapertura - che invece è anodinamente intitolato Il Museo di Antropologia criminale Cesare Lombroso. Il primo è più completo, illustra gli aspetti controversi dell'opera lombrosiana, presenta nelle prime pagine la foto del volto di Lombroso che fu conservato sotto spirito con il resto dello scheletro per esplicita volontà testamentaria dello studioso. Il catalogo del 2009 è invece una piana descrizione di ciò che conserva il museo; una descrizione decontestualizzata rispetto alle implicazioni politiche o anche solo epistemologiche dell'opera lombrosiana.
Suscita disaccordo anche la tesi, sostenuta da Corrado Ocone nella sua recensione della nuova edizione di Bompiani dell'Uomo delinquente, che Lombroso sia stato «ridotto dalla vulgata a collezionista di ossa». Lombroso era un collezionista e non lo nascondeva. Collezionava non solamente ossa e crani come molti dei positivisti dell'epoca. Ma anche capi di abbigliamento dei presunti criminali, oggetti usati nei presunti crimini, vestiti, tatuaggi, corpi sottospirito di neonati uccisi, maschere mortuarie, carte da gioco, vasellame, trucchi. Tutto veniva catalogato e interpretato da lui stesso.

Punti di vista Rispetto a questa «nuova onda» lombrosiana, vanno ricordate le interpretazioni di Lombroso certamente datate ma già esaustive come, tra le altre, quella contenuta in Cesare Lombroso di L. Bulferetti della metà degli anni settanta o nei successivi lavori di D. Pick (The Faces of Anarchy: Lombroso and the Politics of Criminal Science in Post-Unification Italy e Volti della degenerazione). Non interessarsi tanto a Lombroso come grande uomo di scienza ma piuttosto ai suoi «soggetti». Non occuparsi della storia del grande personaggio, ma alla storia dei «partecipanti» alle sue ricerche o alla storia dei suoi allievi. Questo ribaltamento del punto di vista mostra Lombroso per quello che è stato con tutte le sue ingenuità, contraddizioni e ideologia.
Importante è anche sottolineare l'influenza che ha esercitato nella scuola positiva del diritto penale, scuola che ha avuto un ruolo importante, ad esempio, nella messa in soffitta dei principi liberali di Zanardelli e nella diffusione delle pratiche che oggi si definiscono securitarie per cui la società si deve difendere dalla pericolosità del criminale iscritta nella sua fedina penale, nella sua storia, forse nella sua biologia. Tale scuola era illiberale e il socialismo conservatore che caratterizzava Lombroso e i suoi allievi trova un suo habitat nel codice Rocco, nella cultura che ha mantenuto lungamente in vita gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari o nella filosofia dell' «accoglienza segregante» dell'immigrazione. Su questi effetti collaterali delle sue tesi qualcuno potrebbe obiettare che in fondo Lombroso aveva anche opinioni diverse da quelle deterministe ed innatiste, ricordando che quando aveva trattato la figura del criminale d'occasione aveva smorsato i toni innatisti in favore dell'ambientalismo. Si può certo affermare che in fondo mostrava una paternalistica comprensione per i diseredati ed i poveri. Scambiando i concetti periferici dell'opera lombrosiana con quelli centrali non si riesce però a cogliere gli aspetti caratterizzanti della sua eredità e dell'opera dei suoi allievi.

La fossetta dell'involuzioneTorniamo ai suoi «soggetti». Il suo più noto caso quello del «presunto» brigante - rigorosamente calabrese - Giuseppe Villella (o Vilella), su cui costruì il proprio mito scientifico. Lombroso credette di poter individuare sul cranio di un condannato per reati minori e solo per un sospetto di brigantaggio il carattere fisico par excellence del «delinquente nato». Lombroso prima visitò Villella da vivo in carcere e poi, dopo morto, cercò un segno di atavismo sul suo cranio. Credette di averlo trovato in una fossetta occipitale, che pensò racchiudesse un lobo medio del cervelletto e fosse presente sia in alcune specie animali inferiori nella scala evolutiva, sia in una fase iniziale dello sviluppo dell'embrione umano. Interpretò allora tale fossetta come «il» segno dell'«involuzione», della «tara», non evidente in altri uomini che non fossero criminali. Il delinquente Villella fu uno dei tanti casi di meridionali investigati da Lombroso e forse il più significativo perché venne utilizzato come caso esemplare. Lombroso ricordava che, con la scoperta della fossetta occipitale sul cranio di Villella, il problema della natura del criminale gli apparve «subitamente illuminato come una vasta pianura sotto un cielo infinito». Ma che senso aveva questa mitica scoperta della «fossetta occipitale» e il minuzioso lavoro di scoperta di Lombroso, quale era il senso della illuminazione se Villella in fondo era solo un ladruncolo, per giunta presunto e condannato per reati minori?
Un altro esempio di questa predisposizione alla devianza viene dal leggendario volume Gli anarchici del 1894. Lombroso non percepisce la società in cui opera ed impressiona per la superficiale conoscenza della crisi italiana negli anni Novanta dell'Ottocento. Quella società che nel 1898 si ribellerà e sarà repressa dai cannoni di Bava Beccaris. Nella introduzione agli Anarchici informa che egli considera dei pazzi squilibrati molti dei liberi pensatori o dei ribelli che invece erano veri e propri miti, anche borghesi, dell'emancipazione come Cola di Rienzo o Giordano Bruno. Non stupisce quindi che la discussione dell'omicidio politico del presidente francese Sadi Carnot da parte del ventenne Sante Caserio venne ridotta a cause biologiche mal definite come tendenza ereditaria epilettica e pellagrosa. Via via che Lombroso analizza le storie politiche dei suoi soggetti è sempre costantemente superficiale, riducendo i comportamenti a ipotetiche e, già allora, dibattute cause biologiche o predisposizioni ereditarie. A lui non interessava il significato politico di un gesto perché era convinto che la normalità fosse conservatrice e tutto ciò che minava la conservazione era anomalo. Per questo suo concetto biologico di moderazione aveva coniato un termine: la normalità era misoneista. Chi era progressista o radicale aveva qualche tara e il suo comportamento apparteneva alla descrizione psichiatrica più che alla scienza politica o alla storia. Per giunta il socialismo doveva difendersi dagli estremisti e dai regicidi che erano i suoi più temibili avversari.

Il brigante e il criminologoLe pagine delle opere di Lombroso sono piene di storie di persone che varrebbe la pena riscoprire per mettere in luce come la sua tecnica era quella del mitico brigante Procuste che acchiappava i passanti e li seviziava, stiracchiandoli e deformandoli a suo piacimento in un framework medicalizzante e biologistico. Vero è che nella storia delle scienze non è certamente accaduto solo a Lombroso di trasformarsi in Procuste; ma egli fu veramente eccellente e pervicace nei suoi errori ed ebbe molti oppositori in vita nella comunità scientifica internazionale - ad esempio alla scuola criminologica francese di Alexandre Lacassagne - ma anche in quella italiana. I positivisti, infatti, non erano tutti lombrosiani, anzi molti eminenti antropologi e psicologi italiani, più o meno positivisti, producevano lavori che avrebbero condotto a risultati per certi versi opposti a quelli della scuola positiva del diritto penale.
Il revival lombrosiano non è solo frutto di una «innata» attrazione e paura della follia o della criminalità, non è il volto nobile e accademico del piacere che provoca leggere i libri gialli o guardare i film dell'orrore. Non è solo il ritorno del Grand Guignol. La cornice lombrosiana è adatta a giustificare e a tranquillizzare, ora come allora, per mezzo della riduzione biologica i fenomeni più complessi della crisi sociale. La storia lombrosiana svela nel modo più chiaro la nascita delle pratiche biopolitiche ma questo legame non è evidente nella letteratura a lui dedicata che si ferma sulla soglia.

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