Charles Darwin era darwinista? Ovvero un dogmatico sostenitore della teoria sull'evoluzione degli esseri viventi? Insomma, era della stessa pasta di molti suoi odierni sostenitori che non permettono, pena scomunica di oscurantismo, che le sue conclusioni possano essere ridiscusse? La risposta è semplice: non era niente di tutto ciò.
Proprio in quanto scienziato, non accettava l'idea di una verità assoluta. Tutto il suo lavoro si basava sull'osservazione empirica e oggettiva, sui mezzi concessi all'uomo per studiare la natura. Dunque, non c'era spazio per dogmi scientifici, meno che mai per quelli religiosi. E allora veniamo al punto fondamentale: poiché le teorie dello studioso inglese sono spesso sbandierate da chi fa dell'ateismo una bandiera e un partito preso, Darwin era ateo? Scrisse per attaccare alle fondamenta la fede cristiana? Anche in questo caso la risposta è negativa. Fino al termine dei suoi giorni fu agnostico, consapevole del fatto che mancavano elementi certi per affermare l'esistenza di Dio ma anche per negarla. Chi avesse ancora dubbi sulla questione può leggere la raccolta di Lettere sulla religione (Einaudi, pagg. 123, euro 9, traduzione di Isabella C. Blum, a cura di Telmo Pievani).
Il titolo dell'epistolario a tema è forse un poco fuorviante, poiché le 32 lettere, quasi tutte inedite in italiano, non affrontano solamente questioni metafisiche, però Darwin è costretto molto spesso a porsele, scrivendo alla moglie, a colleghi scienziati, ecclesiastici e lettori entusiasti o perplessi.
È infatti indubbio che se il padre della teoria evoluzionistica rifiutò di prendere una posizione definitiva in merito all'esistenza di una divinità creatrice e a un ordine nell'universo, il problema lo coinvolse parecchio e per tutta la sua carriera. Anche se ottenne e offrì più domande che risposte. Certamente il suo scetticismo fu anche motivato dalla religione del suo tempo, dall'era vittoriana così intrisa di moralismo e saldezza dogmatica. Ma la profondità della sua riflessione era ben più radicale, e ha toni quasi leopardiani. Infatti, il giovane Darwin che parte per il famoso viaggio di cinque anni a bordo del Beagle per studiare la flora e la fauna è ancora credente. Al suo ritorno ha maturato un primo distacco dalla fede e dalla rivelazione biblica.
Ciò avvenne non perché decise che l'uomo deriva dalla scimmia, come pretende la vulgata darwinista da salotto, ma perché fece esperienza dell'insensatezza, della «grossolana bassezza e l'orrenda crudeltà della natura». Esperienza poi rinnovata e aggravata da lutti famigliari, come quello dolorosissimo della figlia. Aveva visto con i propri occhi le larve degli icneumonidi che si nutrono dall'interno del corpo di un bruco ancora vivo, aveva sepolto una bambina carne della sua carne. Come poteva Dio permettere tutto questo? O non esisteva oppure non era onnipotente. O, peggio, era un sadico. Nella seconda edizione de L'origine della specie vi sono chiari riferimenti al Creatore, come autore dell'iniziale soffio vitale, delle leggi impresse nella natura.
Il botanico americano Asa Gray, divulgatore del darwinismo negli Usa e fervente presbiteriano in cerca di un compromesso fra la teoria dell'evoluzione e la finalità divina, gli prospettava l'ipotesi di un Dio autore delle leggi generali ma disinteressato dei particolari, soprattutto di quelli orrendi e apparentemente grotteschi. Ma il collega inglese non riusciva ad accettare una simile prospettiva, o quantomeno gli rispondeva che la scienza non deve occuparsi della causa prima, ma concentrarsi sulle secondarie. A differenza di molti suoi sostenitori del tempo e di quelli ancora più numerosi di oggi, Darwin non credeva che tutto possa nascere dal caso. Parole sue: «non posso persuadermi del fatto che l'elettricità agisca, che l'albero cresca, che l'uomo aspiri alle più elevate concezioni - e che tutto ciò derivi dalla forza bruta».
Il problema era aperto, forse «al di fuori della portata dell'intelletto umano», addirittura la questione «non sarà risolta nel corso della nostra vita». Si poteva solo sperare nella «graduale illuminazione delle menti» aiutata dalle scoperte scientifiche. Il «punto di incontro» fra teologia e scienza era ancora molto lontano, però non inconcepibile. Negli ultimi anni Darwin affermava risoluto di non credere nella rivelazione biblica e «in Gesù Cristo come figlio di Dio». In compenso era anche parecchio infastidito dai militanti dell'ateismo, spesso anche marxisti, che volevano arruolarlo come loro campione, ed ancor più da «stupidi di tutta Europa» che lo interrogavano per lettera sui massimi sistemi, come se fosse un guru in possesso di ogni verità.
Rimase un convinto agnostico, allergico alla «convinzioni assolute», votato al dubbio sistematico. Anche se le sue spoglie riposano nell'abbazia di Westminster.
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