lunedì 6 ottobre 2014

PSICOLOGIA E BIOLOGIA DELL'AMORE. S. ZEKI, I fondamenti neurali dell’amore romantico, tratto da SPLENDORI E MISERIE DEL CERVELLO, CODICE EDIZIONI

I fondamenti neurali dell’amore romantico

14 febbraio 2014

Tratto da Splendori e miserie del cervello, di Semir Zeki.


«Solo in tempi relativamente recenti i neurobiologi si sono messi a indagare i fondamenti neurali dell’amore romantico. Pertanto, ciò che oggi possiamo dire su questi correlati neurali è per forza limitato e incompleto. In particolare, le evidenze scientifiche non ci permettono di trarre conclusioni definitive su una questione fondamentale, ossia se noi in effetti formiamo un concetto di amore. A tal riguardo, i riscontri che ci derivano dalla letteratura amorosa –anch’essa un prodotto del cervello– sono migliori e più solidi. Prima di considerarli, tuttavia, meriterà dare uno sguardo a quelli che ci offre la neurobiologia attuale.
Il più delle volte l’amore romantico è scatenato da un segnale visivo, ma ciò non significa che siano esclusi altri fattori, come la voce, l’intelletto, il fascino oppure la condizione economica e quella sociale. Non desta perciò sorpresa che i primi studi che hanno indagato i correlati neurali dell’amore romantico nell’uomo siano ricorsi a un segnale visivo. Essi hanno dimostrato che, quando guardiamo il volto di una persona della quale siamo profondamente, appassionatamente e perdutamente innamorati, è coinvolto un numero limitato di aree del cervello. Ed è vero a prescindere dal sesso di appartenenza. Quattro di queste aree cerebrali risiedono proprio nella corteccia cerebrale, e diverse altre sono localizzate nelle stazioni sottocorticali. Fanno parte di quello che oggi chiamiamo cervello emozionale, ma non significa che operino isolatamente. L’amore romantico è chiaramente un’emozione complessa che comprende, e non può facilmente essere separata da, altri impulsi, come il desiderio fisico e la libido, per quanto quest’ultima possa manifestarsi senza amore e sia dunque separabile dal sentimento dell’amore romantico. Esiste un assioma neurologico di massima –che mi vanto di avere ideato, anche se verosimilmente molti altri colleghi hanno partorito idee simili– ossia che se cogli la differenza è perché sono coinvolte aree, o cellule, differenti. Non dovremmo perciò stupirci di scoprire che le strutture neurali correlate all’amore romantico in tutta la sua complessità siano molto peculiari, pur condividendo aree cerebrali con altri stati emotivi strettamente affini.
Le aree coinvolte risiedono nella corteccia (l’insula mediana, il giro del cingolo anteriore e l’ippocampo) e nelle aree sottocorticali (parte dello striato e probabilmente anche il nucleus accumbens), che, insieme, costituiscono il blocco centrale delle regioni del sistema della ricompensa. La passione amorosa crea sentimenti di esaltazione e di euforia, di una felicità spesso insopportabile e certamente indescrivibile. Inoltre, le aree attivate come risposta ai sentimenti romantici sono in buona parte coestensive con le regioni cerebrali che contengono concentrazioni elevate di dopamina, un neuromodulatore associato alla ricompensa, al desiderio, alla dipendenza e agli stati di euforia. Al pari dell’ossitocina e della vasopressina, la dopamina è rilasciata dall’ipotalamo, una struttura con sede nel cervello profondo che collega il sistema nervoso con quello endocrino. Proprio queste regioni corticali si attivano quando sono ingerite sostanze oppioidi esogene –la cocaina, ad esempio–, che inducono a loro volta stati di euforia. Il rilascio di dopamina crea in noi uno stato di “benessere”, e tale molecola sembra correlata non solo alla formazione dei rapporti di coppia ma anche all’attività sessuale, che di conseguenza è considerata una pratica gratificante. L’aumento di dopamina si accompagna alla diminuzione di serotonina (5-ht o 5-idrossitriptamina), correlata all’appetito e all’umore. Alcune ricerche hanno dimostrato una sua diminuzione nei primi stadi dell’amore romantico, riscontrabili anche in pazienti affetti da un disturbo ossessivo-compulsivo. In fondo, l’amore è una forma di ossessione, e nei suoi primi stadi tende a immobilizzare il pensiero e a canalizzarlo verso un’unica persona. Inoltre, i primi stadi dell’amore romantico sembrano correlati con un’altra sostanza, il fattore di crescita nervosa, la cui concentrazione è più elevata nelle persone reduci da un innamoramento recente rispetto a chi non è innamorato o vive relazioni stabili da tempo. In più, la concentrazione del fattore di crescita nervosa sembra avere una correlazione significativa con l’intensità dei sentimenti romantici.
L’ossitocina e un altro neuromodulatore chimicamente affine, la vasopressina, avrebbero uno stretto legame con il fenomeno dell’attaccamento. Negli esseri umani, si è osservato che l’ossitocina induce la fiducia verso i propri simili, anche se finora la sua implicazione nell’amore è stata solo ipotizzata, e non dimostrata. Entrambe le sostanze sono prodotte dall’ipotalamo e rilasciate e immagazzinate nell’ipofisi, che poi le riversa nel torrente circolatorio, in particolare durante l’orgasmo – ciò vale per entrambi i sessi – e durante la nascita e l’allattamento al seno, nelle femmine. Nei maschi la vasopressina è stata altresì collegata al comportamento sociale, in particolare all’aggressività verso altri maschi e al comportamento parentale. La concentrazione di questi due neuromodulatori aumenta durante un’intensa fase di attaccamento e un legame romantico altrettanto intenso. I recettori di questi due neuromodulatori sono distribuiti in molte parti del tronco cerebrale e sono attivati durante l’amore romantico e l’amore materno.
É significativo che l’eccitazione sessuale attivi regioni adiacenti –che nell’ipotalamo si sovrappongono– alle aree attivate dall’amore romantico, ossia nel giro del cingolo e nelle regioni sottocorticali menzionati in precedenza. A tal riguardo, è molto interessante l’attivazione dell’ipotalamo con i sentimenti romantici e con l’eccitazione sessuale, ma non con l’amore materno. Perciò la sua attivazione potrebbe costituire la componente erotica presente nell’attaccamento romantico ma non in quello materno. Inoltre, l’eccitazione sessuale (e gli orgasmi), quantomeno quelli femminili, disattivano parti considerevoli della corteccia, e alcune di queste sono sovrapposte alle regioni disattivate nell’amore romantico. Forse non ci dovrebbe sorprendere, considerando che spesso gli esseri umani “perdono la testa” durante l’eccitazione sessuale, al punto da compiere atti di cui a mente fredda potrebbero pentirsi. In effetti, quest’intimità geografica tra le aree cerebrali coinvolte nell’amore romantico, da un lato, e nell’eccitazione sessuale, dall’altro, è più di una curiosità passeggera. Se alla base dell’amore romantico c’è un concetto –quello di unità– e se l’unione sessuale è quanto di più prossimo gli esseri umani possono ottenere per realizzare quell’unità, allora non sorprende la giustapposizione delle aree impegnate in questi due stati separati, e pure profondamente collegati. Anzi, il desiderio di unità attraverso l’unione sessuale potrebbe essere una conseguenza di tutto questo.
Sembrerà forse sorprendente che il volto di una donna abbia indotto a salpare un migliaio di navi tramite un numero limitato di aree cerebrali. Eppure la storia di Paride e di Elena di Troia dovrebbe bastare per dirci che questi risultati neurobiologici, considerati in sé, possono indurre interpretazioni ingannevoli. Infatti, l’amore romantico coinvolge totalmente e trasforma la nostra vita, inducendoci a imprese eroiche e malvagie al tempo stesso. Non stupisce pertanto scoprire che questo nucleo di aree coinvolte durante l’amore romantico abbia un profluvio di connessioni con altre zone del cervello, sia corticali sia sottocorticali. Le connessioni si stabiliscono fra l’altro con la corteccia frontale, quella parietale e quella temporale mediale, ma anche con un ampio nucleo situato all’apice del lobo temporale, ossia l’amigdala. Un aumento di attività nelle aree coinvolte nell’amore romantico si accompagna a una diminuzione di attività, o a una disattivazione, di queste zone corticali. Sappiamo che l’amigdala si attiva durante situazioni di paura, e quindi la sua disattivazione, quando i soggetti vedono immagini del partner e anche durante l’eiaculazione maschile, implica una diminuzione della paura. Inoltre, la passione totalizzante dell’amore romantico è accompagnata da una sospensione del giudizio o da un rilassamento dei criteri di giudizio con cui valutiamo il prossimo, una funzione della corteccia frontale. Questa zona corticale, insieme con la corteccia parietale e con parti del lobo temporale, è implicata nelle emozioni negative. Perciò, la sua inattivazione negli stati romantici e in quelli materni –quando siamo con la persona amata– non dovrebbe stupire, perché, quando siamo profondamente innamorati, sospendiamo il giudizio critico che applichiamo in altri contesti per valutare le persone. La corteccia prefrontale, la giunzione parieto-temporale e i poli temporali costituiscono una rete di aree sempre attive durante la “mentalizzazione” o “teoria della mente”, ossia la capacità di determinare le emozioni e le intenzioni nei nostri simili. Dal punto di vista del concetto cerebrale ereditario dell’“unità nell’amore” è significativo che l’aspetto centrale del mentalizzare sia distinguere il sé dal prossimo, con la potenzialità di attribuire insiemi differenti di convinzioni e desideri a se stessi e al prossimo. Per ottenere un’immagine dell’unità nell’amore, così che il sé e l’altro si fondano, questo processo di mentalizzazione, e dunque di distinzione tra il sé e l’altro, deve essere inattivato o comunque meno potente. Ma sovente tale giudizio è sospeso con la fiducia che si sviluppa tra individui e certamente con il legame profondo tra una madre e il figlio. Ecco dunque un fondamento per dire non solo che l’amore è cieco, ma anche dell’esistenza del concetto di “unità nell’amore”. Spesso siamo sorpresi per la scelta del partner di alcune persone, chiedendoci inutilmente se non hanno per caso perso il lume della ragione. A onor del vero, l’hanno perduto davvero. L’amore è spesso irrazionale, perché i giudizi razionali sono sospesi o non più applicati con lo stesso rigore. Commenta Socrate nel Fedro di Platone: «Il desiderio irrazionale che ci guida verso il godimento della bellezza e soggioga il giudizio che ci guida verso ciò che è giusto, e che è vittorioso nel guidarci verso la bellezza fisica quando è potentemente rinforzato dai desideri a esso correlati, prende il nome proprio da questa forza ed è chiamato amore». Né esistono censure morali, perché pure il giudizio in materia morale è sospeso. Del resto, le considerazioni morali svolgono un ruolo secondario, sempre che ne abbiano uno, nel caso di Anna Karenina, di Fedro, di Emma Bovary o di Don Giovanni. Inoltre anche la moralità è stata associata all’attività della corteccia frontale.
L’euforia e la sospensione del giudizio possono generare stati che altre persone potrebbero interpretare come pazzia. É questa la follia celebrata da poeti e artisti, e che nel Fedro Platone considera uno stato produttivo e desiderabile, perché proviene da Dio, a differenza della sobrietà, che è puramente umana. Ma, chiaramente, se proviene da Dio, trascende il mondo della razionalità e travalica la portata dell’intelletto, o logos. Forse le spiegazioni neurologiche di una disattivazione delle parti cerebrali coinvolte nella creazione dei giudizi aiuta meglio a capire la palese irrazionalità dell’amore. Scriveva Nietzsche in Così parlò Zarathustra: «C’è sempre un po’ di follia nell’amore. Ma c’è sempre un po’ di ragione nella follia», e questa ragione è da cercare negli schemi di attivazione neurobiologica e di disattivazione prevista nell’amore romantico, al servizio della finalità superiore, che è unire per ragioni biologiche coppie altrimenti improbabili per accrescere la variabilità. La frase «il cuore ha ragioni che la ragione non conosce» è letteralmente vera, perché la ragione risulta sospesa. Quando nei Pensieri Pascal scrisse queste parole non poteva sapere che la ragione è sospesa perché i lobi frontali sono a loro volta sospesi (almeno temporaneamente). In effetti, possiamo trarre una lezione da questa sospensione selettiva del giudizio. Infatti, se le persone innamorate sospendono il giudizio sulle persone amate, non necessariamente sospendono il giudizio su altre cose. Potrebbero, ad esempio, essere perfettamente capaci di giudicare la qualità di un libro o di un lavoro scientifico. E potrebbero essere perfettamente in grado di avere una teoria della mente che riguarda persone diverse da quella amata. La sospensione del giudizio è selettiva e, quando si tratta dell’amore, argomenta a favore di un insieme molto specifico di connessioni e di operazioni cerebrali».

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