Il 10 gennaio scorso Ernesto Galli Della Loggia ha espresso su questo giornale alcune idee sull’integrazione. Ha sostenuto, fra l’altro, che la nostra società deve essere guidata da un sistema di valori e dalle regole dettate dai comportamenti socialmente ammessi che devono essere imposti a chi arriva dall’estero; che quando si possiede una cultura, e si ha intenzione di mantenerla, è molto difficile, pressoché impossibile, adottarne insieme un’altra; e che società multiculturali non esistono. Vorrei esprimere un punto di vista diverso su queste questioni.
Ritengo che la nostra società debba essere regolata dalle leggi, non da sistemi di valori e giudizi individuali su cosa siano comportamenti socialmente ammessi. È questo il senso stesso della legge, che ci ha lasciato in eredità la grandezza dell’impero romano, esempio principe di società multi-culturale, tollerante delle diversità. La legge stabilisce, anche nel dettaglio, cosa non è lecito. Voglio vivere in una società dove ciò che non è lecito è sancito in maniera chiara e trasparente dalla legge, non lasciato nel vago di «comportamenti socialmente ammessi» o «valori condivisi». Il motivo è che anche fra noi molto spesso non abbiamo gli stessi valori; e abbiamo idee diverse su cosa siano i comportamenti socialmente accettabili. Molto probabilmente, anzi certamente, per esempio, Galli della Loggia ed io abbiamo alcuni valori diversi, e giudizi diversi sui comportamenti che apprezziamo. Ma conviviamo pacificamente, rispettandoci reciprocamente, aspettandoci l’uno dall’altro il rispetto della legge. Se non rispettiamo la legge, ci sono polizia e sistema giudiziario. Le leggi vengono discusse dalla politica e rappresentano la costante mediazione fra le molteplici culture del Paese. Sostenere che la nostra società debba essere regolata da «comportamenti socialmente ammessi» anziché dalla legge mi sembra un pericoloso ritorno ad una ideologia premoderna, dove le norme non sono scritte ma aleggiano nell’aria misteriose e si possono condannare le persone anche se non violano leggi. Ha ragione Galli della Loggia sul fatto che i comportamenti illeciti devono essere puniti, e nessuno deve essere scusato «perché straniero». Ma devono essere puniti perché violano le leggi, come devono essere puniti i cittadini nazionali che li commettono, non per altro. A chi viene a vivere nei nostri Paesi non dobbiamo chiedere di adottare valori, comportamenti, usanze, cultura o, peggio, religione: dobbiamo semplicemente chiedere di rispettare le leggi, come lo chiediamo ai cittadini italiani.
Il secondo punto in cui non mi trovo d’accordo con Galli della Loggia è quando scrive «Quando si possiede una cultura, e si ha intenzione di mantenerla, è molto difficile, pressoché impossibile, adottarne insieme un’altra. Se si crede in certi valori, è difficilissimo farne propri allo stesso tempo anche altri». Forse Galli della Loggia parla di se stesso, ma, in generale, penso che le cose non stiano così. Chiunque abbia viaggiato abbastanza, o abbia vissuto in Paesi diversi e fra popolazioni diverse, sa bene come sia possibile imparare ad apprezzare culture, comportamenti, e anche valori diversi dai propri ed arricchirsi in questo, senza per questo rinunciare a se stessi. La cultura italiana stessa è largamente una sovrapposizione, un’ibridazione, con radici che affondano nel Rinascimento toscano come nell’Illuminismo milanese e napoletano, nella Torino filofrancese come nella Trieste imperial-regia, negli innumerevoli strati culturali della Sicilia come nelle tradizioni antiche delle terre Sannite o Grecaniche. E lo splendore di Venezia è stato soprattutto lo splendore di una grande apertura alle culture dell’Oriente, che ha aperto all’Europa le porte del mondo moderno. Per non parlare delle differenze culturali fra Peppone e Don Camillo, e tutte le innumerevoli discordie che hanno fatto la ricchezza culturale italiana. La grande forza culturale italiana non è nata dalla chiusura in difesa di una identità nazionale: è nata dalla ricchezza della varietà delle componenti e delle influenze che l’hanno nutrita. La cultura non è mai unica, è sempre una sovrapposizione di strati, e più strati abbiamo più la nostra cultura è ricca.
Sopratutto, la cultura non è una roccia immobile, è una continua evoluzione di idee. L’odierna cultura italiana, dalle idee politiche all’evoluzione del senso religioso, dal cibo al modo in cui uomini e donne si guardano, o dipendenti e datori di lavoro interagiscono, è profondamente diversa da quella di solo settant’anni fa. Perché? Perché ci siamo aperti a influenze di idee esterne, e siamo orgogliosi di averlo fatto. Alcuni comportamenti che giustamente condanniamo in chi immigra oggi in Europa erano comportamenti leciti per parecchi dei nostri nonni. Se i nostri nonni si fossero arroccati nella difesa della cultura locale, sarebbero ahimè ancora comportamenti nostri. Lasciamoci serenamente influenzare da quello che ci convince, e diciamo serenamente no, con la legge, senza timori, a quanto giudichiamo negativo.
L’ultimo punto su cui non sono d’accordo è l’idea che società multiculturali non esistano. Chiunque può verificarlo da sé: prenda un aereo, oramai costano pochissimo, e vada a Londra, a New York, a Shanghai, a Mumbai, o a Toronto, dove il nuovo governo canadese rispecchia il multiculturalismo fin nel suo Consiglio dei ministri. Nel rispetto reciproco e nel rispetto comune della legge, comunità diversissime convivono pacificamente in moltissimi luoghi del mondo. Chiunque abbia vissuto in questi luoghi ne conosce la vivacità culturale. La tolleranza serena delle diversità non significa accettare comportamenti riprovevoli: significa rendersi conto che ci sono mille modi apprezzabili di vivere diversi dal nostro, altrettanto buoni. Dalla diversità e dalla tolleranza nasce un senso civico comune e una nuova comune identità plurale. Alla fine, le cose che ci uniscono come esseri umani e che condividiamo sono sempre molte di più di quelle che ci differenziano. Il mondo è da sempre un mischiarsi di culture diverse e da questo mischiarsi nasce il meglio. La vivacità culturale odierna dell’America è il risultato dell’essere, come essa stessa si definisce, un melting pot: un crogiolo di influenze culturali disparate. Ma è sempre stato così: fra i testi scritti più antichi di cui disponiamo, ci sono dizionari Sumero-Accadico: l’inizio della civiltà è stato un mescolarsi di culture…
Sto scrivendo queste righe da una cittadina vicino a Dakar, in Senegal. Sono qui in visita all’Aims, l’Istituto Africano di Studi Matematici. È una scuola che ha come obiettivo quello di raccogliere i migliori studenti africani e offrire loro una formazione scientifica della più alta qualità possibile. Lo slogan di ispirazione per la scuola è «il prossimo Einstein sarà un’africana». È un posto splendido, dove ragazzi da tutti i Paesi d’Africa vivono insieme, provenendo da culture assai più diverse fra loro che quelle fra una sponda e l’altra del Mediterraneo. Si mescolano, imparano l’uno dall’altro e da insegnanti che vengono dal Canada, dall’Olanda, da Israele, dalla Cina. E io imparo da questi ragazzi molto di più che leggendo giornali italiani. In posti come questo, come nelle strade di innumerevoli città del mondo dove le persone si mescolano, e giovani di tutto il mondo si parlano, sta nascendo il futuro migliore: un futuro fatto della ricchezza del mescolamento, non della paura del diverso.
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