Quelli che Sanremo è Sanremo, e gli snob che si divertono a demolirlo sui social. Chi ha cantato con i Pooh e chi si è commosso con Ezio Bosso. Ognuno vive il rito a modo suo, ma tutti, colti e analfabeti musicali, amanti e detrattori di gorgheggi e ritornelli, sono uguali davanti alla legge della musica. Se potessimo osservare il cervello dei milioni di italiani che in questi giorni si sintonizzano su Rai1 in prima serata, scopriremmo che capolavori e canzonette attivano gli stessi circuiti neurali.
La «camera della musica»
Li hanno identificati da poco i ricercatori del Massachusetts Institute of Technology, armati di un macchinario per la risonanza magnetica. Il New York Times l’ha definita la «camera della musica» del cervello. Rimane indifferente ai rumori, alle parole di Carlo Conti, alle risate per le caricature di Virginia Raffaele e persino alle esclamazioni sui vestiti di Madalina Ghenea. Ma si accende democraticamente per la classica e per l’hip-hop, qualunque sia il ritmo e la melodia. Per trovarla Sam Norman-Haignere, Nancy Kanwisher e Josh McDermott hanno osservato il cervello di dieci persone mentre ascoltavano un campionario di 165 suoni e hanno analizzato matematicamente le aree accese della corteccia uditiva.
Il nostro hot spot musicale
Come hanno spiegato sulla rivista Neuron, è così che hanno trovato il solco che sembra essere il nostro hot spot musicale. Da qui parte la magia ancestrale e universale delle note, quella per cui ci ritroviamo a tenere il tempo con i piedi e a canticchiare mentalmente, anche senza volere. Tu chiamala se vuoi musicofilia, per ricordare il celebre libro di Oliver Sacks. E chissà che non avesse ragione Charles Darwin (il 12 febbraio è il suo compleanno, auguri!) quando ha ipotizzato che i nostri antenati pre-umani forse giocavano con la musica prima ancora di imparare a parlare.
L’età definisce ciò che ci piace
Certo è innegabile che ognuno abbia i suoi gusti, ma secondo il biologo Robert Sapolsky è soprattutto l’età a definire quel che ci piace. Se un nuovo stile si afferma quando avete già compito 35 anni, c’è il 95% di probabilità che sceglierete di non ascoltarlo. Probabilmente è anche questa la fortuna di Sanremo, cambia così lentamente da non sfidare la naturale diffidenza per le novità e così facendo riesce a tenere insieme le generazioni. Se poi un motivetto dell’Ariston vi si pianta in testa, sappiate che in gergo si chiama earworm e lo studio che fa per voi è stato pubblicato dalla rivista Plos One. Di solito questi tarli uditivi presentano sequenze di note vicine sulla scala musicale, e ogni nota è tenuta per un momento prima di passare a quella successiva. La strategia più efficace per liberarsene, secondo Lauren Stewart dell’Università di Londra, è ascoltare intenzionalmente la canzone molesta oppure cantarla ad alta voce. Per mettere alla prova la teoria basta aspettare che arrivi stasera e accomodarsi sul divano di casa.
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