Mai come in questo ultimo anno le parole «natura« e «naturale» hanno dominato le pagine dei giornali, i dibattiti televisivi e finanche le piazze. Da quando si parla di «unioni civili», questi termini vengono spesso usati a proposito e a sproposito. In ben due «family day», tra la folla e sul palco si sbracciavano i sostenitori della cosiddetta «famiglia naturale»: una famiglia può dirsi tale, solo quando è in grado di garantire la riproduzione (papà, mamma, figlio/i). Tutte le altre tipologie di famiglia sarebbero «innaturali», come quelle composte da una coppia di due uomini o di due donne (e perché, tanto per essere coerenti, non inserire in questa categoria anche le coppie eterosessuali sterili?).
Detto in altri termini: l’idea di famiglia non esiste se non è consentita la perpetuazione della specie. La natura, insomma, diventa garante della legittimità di questa particolare concezione. Non è però ammissibile sostenere che ciò che è naturale è buono e ciò che non lo è non è buono (gli antibiotici, per esempio, non sono naturali né lo sono gli aghi delle siringhe, mentre virus e batteri sono naturalissimi). Ma se proprio lo vogliamo fare, cerchiamo almeno di parlare della natura per quello che effettivamente è. Chi parla tanto di natura, purtroppo, spesso non la conosce affatto. E poi di che natura si sta parlando? Cioè dei membri di quale specie? Sarebbe oltremodo interessante sapere quali siano le inclinazioni dei membri della nostra specie prima dell’imporsi dell’evoluzione culturale – questa sì, sarebbe «natura» - ma chi lo saprebbe fare? L’osservazione delle altre specie ci insegna che spesso spetta al maschio più forte fecondare le femmine del branco e che i cuccioli deboli bisogna abbandonarli al loro destino. E in natura i cuccioli sono spesso fragili e sofferenti. Per non parlare degli anziani del gruppo, stanchi e malati, che vengono di frequente abbandonati a se stessi. Anche questo è «naturale». Non si capisce perché un modello di «famiglia naturale» non debba anche tener conto di queste implicazioni, anch’esse naturali.
A questa concezione ferina della «famiglia naturale», si contrappone una concezione umana, frutto di secoli di civiltà: la famiglia si crea attraverso un legame in cui due esseri umani esprimono liberamente il loro reciproco amore. Non un parametro puramente animalesco, ma una dimensione fondata esclusivamente su un piano affettivo. All’interno di questo orizzonte, qualsiasi tipo di coppia (etero o omo, con o senza figli) può essere riconosciuta come nucleo familiare. Nel dibattito sulle unioni civili la posizione ferina si distingue per il suo singolare dogmatismo. Senza possibilità di avere figli non c’è famiglia. Sul fronte opposto, invece, viene fuori un’idea aperta e inclusiva: è famiglia tutto ciò che contempla unioni determinate dall’amore (quindi, anche quelle formate da coppie eterosessuali che possono avere figli). Lo stesso discorso vale per l’uso, fatto molte volte a sproposito, del termine «contronatura». Ancora una volta tiriamo la natura in ballo per attribuirle quelle che sono le nostre consuetudini. Considerare «contronatura» due persone dello stesso sesso che si amano è quanto di più «innaturale» si possa dire. Già Montaigne ci ammoniva nel ricordarci che noi spesso invochiamo la «natura» per parlare dei nostri usi e delle nostre convenzioni.
Ecco perché bisogna sempre diffidare quando si parla di «natura». E soprattutto quando la si usa per dare alle nostre idee una parvenza di oggettività e di persuasività. Si tratta di posizioni strumentali che è molto facile smascherare. Si pensi all’adesione espressa dai vescovi italiani al «family day»: è curioso che l’appello alla natura venga proprio dalla Chiesa. Per secoli le gerarchie ecclesiastiche hanno opposto i libri sacri allo studio della natura: hanno usato la teologia per smentire la scienza (si pensi al rigetto del copernicanesimo e alle violenze inflitte a filosofi e scienziati o alle inspiegabili resistenze opposte alle ricerche sulle cellule staminali). Oggi si compie lo stesso errore, spacciando principi morali per principi naturali. Lo scontro sulle unioni civili – con buona pace per la natura – rivela soprattutto lo scontro tra concezioni diametralmente opposte del vivere insieme: quella dogmatica (che vuole imporre agli altri il proprio modello) e quella aperta (che riconosce una pluralità di modelli, in cui i diversi individui possano esprimere liberamente le loro scelte). Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: mentre i dogmatici escludono coloro che non si conformano al loro modello unico, i fautori del modello aperto propongono una società in cui anche i dogmatici possono vivere in coerenza con i loro principi morali e religiosi.
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