domenica 5 febbraio 2017

LE PAROLE DELLA FELICITA'. F. COLONNA, Le parole per descrivere la felicità in 26 lingue | Le vostre scelte Lo psicologo Tim Lomas raccoglie termini, non traducibili, che raccontano uno stato d’animo o un’esperienza positiva in idiomi diversi: dal corano all’inuit, LA LETTURA, gennaio 2017

Un vocabolario della felicità, in continua evoluzione. Ecco cos’è «The Positive Lexicography Project», raccolta di parole intraducibili, ideata da Tim Lomas, docente di Psicologia Positiva della University of East London. «Ho cercato i vocaboli online, su siti, blog e tra i paper accademici — racconta a “la Lettura” —. Le persone, inoltre, mi inviano suggerimenti per sottopormi termini nuovi». I quali entrano a far parte del vocabolario a due condizioni: non devono avere un equivalente in inglese e devono descrivere esperienze, stati d’animo e tratti personali positivi.

«Non utilizzo criteri stringenti — continua Lomas — perché parte del progetto è proprio esplorare cosa è il benessere umano in tutto il mondo. Trovo quindi suggestivo includere parole indirettamente collegate all’ambito della percezione e dell’emotività». Tra cui, ad esempio, «chiaroscuro», inteso come esperienza estetica, una versione visiva dello«yin» e «yang». Seicento sono i vocaboli raccolti finora e organizzati in tre categorie: sentimenti, relazioni interpersonali e carattere umano. Ventisei, invece, sono le parole selezionate per «la Lettura». Per provare a descrivere una sfumatura in più dell’animo umano
Agape
(Amore incondizionato, disinteressato e smisurato. Greco). Tre sono i tipi di amore in greco: eros, legato all’attrazione fisica; philos, sentimento fraterno e di profonda condivisione e, appunto, agape. Il vertice più alto dell’amore, provato da chi dona tutto se stesso senza pretendere nulla in cambio. Come Gesù: nella tradizione cristiana, infatti, il termine indica l’amore di Dio per gli uomini.
Balikwas
(Saltare improvvisamente in un’altra situazione e sentirsi sorpreso. Tagalog). Scrive in Balikwas: How to Emigrate to The Philippines Chris Payne, ex professore della University of Maryland emigrato a Tanauan, nelle Filippine: «Il termine significa saltare dall’altra parte, sentirsi sorpresi per una nuova situazione ma anche andare contro corrente». Ossia: abbandonare la propria zona di comfort. Come fanno i visionari, spiega Hal Gregersen del Mit, che dubitano delle certezze, cambiano situazioni, raggiungono risultati sorprendenti.
Chrysalism
(Amniotica tranquillità di essere in casa durante la tempesta. Inglese, neologismo). È una delle parole ideate dal designer John Koenig e raccolte in The Dictionary of Obscure Sorrows. L’autore immagina termini nuovi con l’obiettivo di colmare un vuoto linguistico e attribuire un nome alle emozioni difficili da descrivere. Chrysalism viene da crisalide e vuole rendere l’idea di sentirsi protetti, come in uno stato embrionale.
Dadirri
(Atto di profondo e riflessivo ascolto. Ngangiwumirr, lingua aborigena). «Dadirri è dare voce alla primavera dentro di noi», ha detto Miriam-Rose Ungunmerr Bauman, attivista e artista aborigena. «Quando vivo una esperienza dadirri torno a essere completa. Anche se qualcuno caro se ne è andato posso ritrovare così la mia pace». Perché dadirri, spiega Judy Atkinson della Southern Cross University, è un metodo di cura, una pratica per superare traumi e dolore.
Engentar
(Desiderare di stare soli, ricercare una serena solitudine. Spagnolo). Parola diffusa in Messico, indica il desiderio di allontanarsi dagli altri gioendo della propria solitudine. E per chi non sa stare engentado, esiste una guida, How to Do Nothing with Nobody All Alone by Yourself di Robert Paul Smith, che spiega tutto in una frase di commiato: «Mi scusi, ho un appuntamento con me stesso per sedermi a guardare l’erba che cresce».
Fargin
(Orgoglio e sincera felicità per il successo di qualcun altro. Yiddish). L’opposto dell’invidia. Ma attenzione, ammonisce Michael Wex, scrittore canadese: il fargin è raro e, avendone l’occasione, pochi lo provano. Come racconta in Born to Kvetch: «Un angelo appare a un uomo. “È il tuo giorno fortunato — gli dice — puoi avere tutto quello che desideri, in quantità illimitata, ma il tuo vicino ne riceverà il doppio”. È esasperante, pensa l’uomo. Poi ha un’idea e dice: “Voglio perdere la vista da un occhio”».
Gumusservi
(Il riflesso della luna sull’acqua. Turco). Termine evocativo che Yee-Lum Mak ha inserito nel blog di parole stravaganti «OtherWordly», da cui è nato l’omonimo libro. Grazie al suo potenziale estetico Gumusservi è parola nota anche a chi non parla turco: è un hashtag sui social e anche il titolo di un brano. Malinconico, ovvio. E romantico insieme.
Hygge
(Senso di calore, atmosfera accogliente e amichevole. Danese). Nella classifica 2016 delle parole dell’anno dell’Oxford Dictionaries è finita anche hygge. Termine di moda, ma non nuovo. Tanto che nel 1957 Robert Shaplen sul «New Yorker» ha scritto che l’hygge è dovunque a Copenaghen. «Provo a rendere la mia casa hygge», dice Lomas. La stagione più hygge? L’inverno. Perché, ha scritto Helen Russell in The Year of Living Danishlyhygge è una tazza di tè caldo o un paio di calzini di cashmere. Mondadori ha appena pubblicato in Italia Hygge. La via danese alla felicità di Meik Wiking.
Iktsuarpok
(Quando si aspetta qualcuno e non si riesce a smettere di controllare se sta arrivando. Inuit). Tiffany Watt Smith della Queen Mary University non ha dubbi: iktsuarpok è una sensazione che proviamo tutti, tanto da meritare un posto nel suo The Book of Human Emotions dedicato ai sentimenti più comuni. Per la studiosa la nostra tentazione di controllare ripetutamente la casella email non sarebbe altro che una versione «aggiornata» dell’iktsuarpok. «Non è colpa della tecnologia — spiega — ma del nostro desiderio di contatto in un mondo sempre più isolato».
Jugaad
(Trovare soluzioni innovative, improvvisate e geniali, utilizzando quello che si ha. Hindi). È l’arte del life hacking, la capacità di trovare soluzioni creative, frugali e inaspettate. Proprio come spiega il libro Jugaad Innovation. I due autori, Navi Radjou e Jaideep Prabhu (Cambridge Judge Business School), lo spiegano così: jugaad è una rivoluzione culturale, l’innovazione dal basso, diffusa nei Paesi emergenti. Senza grandi investimenti.
Kanyirninpa
(Abbraccio protettivo e salutare. Pintupi). Per il popolo Pintupi l’abbraccio non trasmette solo affetto, ma infonde salute fisica e mentale. Ha scritto Brian McCoy, studioso di tradizioni aborigene, in Holding Men: «Kanyirninpa è la protezione della famiglia verso un nuovo nato. Per gli adulti il significato cambia: non cercano più l’abbraccio della madre ma quello degli altri uomini. Così i più anziani introducono i giovani all’età adulta».
Lagom
(La giusta misura, né troppo né troppo poco. Svedese). Il lagom è lo spirito della Svezia, dove tutto è misurato, dai temporali al design. «Il termine ha molte applicazioni — scrive Meg, autrice del blog “Something Swedish” — e rappresenta l’ideale sociale e culturale svedese di uguaglianza e libertà». L’origine? Dalla locuzione laget om usata dai vichinghi per indicare l’esatta quantità di idromele che si può bere dal corno prima di passarlo ai compagni.
Mepak
(Il piacere delle piccole cose. Serbo). La felicità? Non dipende dai grandi avvenimenti della vita ma dalle piccole esperienze. Lo spiega il termine mepak e lo conferma l’indagine Little Things in Life Make Us Happiest, in cui Glenn Williams, della Nottingham Trent University, dichiara: «I piccoli piaceri ci aiutano a costruire vite più significative». Qualche esempio di mepak? La ricerca ne cita molti: mangiare cioccolata, stendersi su lenzuola pulite, prenotare un viaggio.
Nunchi
(Capacità di interpretare gli sguardi e di leggere le emozioni altrui. Coreano). Si legge sul blog dell’ambasciata coreana in Canada: «Per un canadese sì significa sì e no vuol dire no. In Corea, invece, sì può significare: è una buona idea ma so che il mio capo non l’approverà e poiché non voglio farti preoccupare preferisco dire sì». Per capire l’interlocutore è necessario leggere il linguaggio non verbale. Ossia sviluppare il nunchi. Come? Osservando: uno sguardo laterale o un respiro profondo dicono molto più di una parola.
Orenda
(Il potere di cambiare il mondo a dispetto di un destino avverso. Urone). Per l’Oxford Dictionariesorenda è il potere magico che i nativi americani Iroquois credono pervada tutta la natura sotto forma di energia spirituale. È la forza dei temporali e del vento ma anche il potere miracoloso che solo alcuni uomini possono esercitare. Gli sciamani, per esempio. Orenda, però, è anche una benedizione: permette a chi ne è dotato di sfidare gli eventi avversi e superarli.
Passeggiata
(Camminata piacevole, tranquilla e rilassata. Italiano). «Non avevo mai sentito la parola finché non sono stato in Italia. Qui — dice Lomas — ho capito il piacere che ne deriva. La passeggiata come il cibo fa parte dell’immagine del Paese». Ne è convinta anche Diane Hales autrice di La Bella Lingua: «All’imbrunire — scrive — qualcosa sembra attirare le persone fuori da case e uffici per partecipare alla passeggiata». Segna la fine del lavoro, a vedere e a farsi vedere — spiega. Indossando, magari, gli abiti appropriati.
Queesting
(Accogliere l’amante nel proprio letto per chiacchierare. Olandese). Il termine, in pieno revival su internet, ha una storica tradizione, descritta dal medico statunitense Henry Reed Stiles nel 1871 in Bundling: its origin, progress and decline in America. La donna, spiega, lasciava di notte le porte della propria camera aperte nell’attesa che l’amante entrasse e le parlasse. Lo faceva per conquistarlo e con il pieno consenso dei familiari.
Ramé
(Caotico e gioioso insieme. Balinese). Qualcosa ramé a Bali? Il gamelan. Si tratta di un’orchestra composta da numerosi strumenti, tra cui tamburi, gong, xilofoni, flauti di bambù e strumenti a corda. La musica prodotta è complessa e articolata, con melodie sovrapposte e più linee ritmiche suonate insieme. Il risultato? Caotico, allegro, vitale. In una parola: ramé.
Samar
(Sedersi insieme per raccontare storie all’ora del tramonto. Arabo). «Samar — dice Lomas — racconta in una sola parola un’intera cultura». E una tradizione antica nel tempo. L’ha descritta il teologo Kenneth E. Bailey su «Themelios», rivista di studi religiosi: gli abitanti dei villaggi si incontrano la sera per raccontare storie e declamare poesie. L’atmosfera è informale e chiunque può partecipare anche se a parlare sono di solito gli individui più in vista. E i più anziani: uomini in grado di tramandare la tradizione orale della comunità.
Tithadesh
(È l’augurio che si rivolge a chi ha acquisito qualcosa di nuovo. Ebraico). Un’auto nuova? Tithadesh! Il termine, allegro, ha però un retrogusto amaro, rivelando l’attaccamento alle cose materiali, come ha spiegato con una storia David Frishman. Il figlio di un povero sarto, ha scritto, si lamenta con il padre che realizza abiti nuovi per i ricchi ma non può permettersi di regalargliene uno. Nessuno, così, in sinagoga gli rivolge tithadesh. Un giorno, però, lo riceve: per il suo funerale. Indossa un abito luccicante per l’occasione ma ha perso quello che conta: la vita.
Ubuntu
(Umanità verso gli altri, sentirsi parte di una grande comunità. Bantu). Sono chi sono in virtù di ciò che tutti siamo. Ecco l’etica ubuntu che ha ispirato anche il nome e la filosofia dell’omonimo sistema operativo basato su Linux, con l’obiettivo di portare l’idea di condivisione anche nel mondo software. Chi ha l’ubuntu, infatti, non può perseguire solo il vantaggio personale. Lo ha spiegato l’attivista e arcivescovo sudafricano Desmond Tutu: «Una persona con l’ubuntu è aperta e disponibile. Quando fai del bene si diffonde, è per tutta l’umanità»
Vorfreude
(La gioia che deriva dall’immaginare piaceri futuri. Tedesco)Vorfreude è «il sabato del villaggio», il piacere di pregustare la festa. Rivela allegria e una sottile apprensione. «Le parole possono essere polivalenti — spiega Lomas —. Il gusto di assaporare il futuro è combinato con la paura che non possa arrivare. Come nell’italiano magari, che significa “forse”, “nei miei desideri” o “se solo”, tenendo così insieme un augurio speranzoso e un pensieroso rammarico»
Wabi-Sabi
(Bellezza imperfetta e consumata. Giapponese). «È la capacità di apprezzare la bellezza di fenomeni vecchi o degli oggetti rotti — spiega Lomas —. Siamo costantemente incoraggiati alla ricerca del nuovo, parole come wabi-sabici permettono di percepire il mondo da un’altra prospettiva. È un termine esteticamente rilevante ma può essere utile anche per considerare la propria vita, per accettare il personale processo di invecchiamento e capire che anche lì c’è un valore».
Xibipiio
(Esperienza di un fenomeno ai limiti della percezione o della coscienza. Pirahã dell’Amazzonia). Qualcosa di simile allo Xibipiio? Il bu-bu-settete dei bambini. Lo spiega Daniel Everett, linguista, nel libro Don’t Sleep, There are Snakes: «La parola si riferisce a quella che chiamo l’esperienza della transizione, l’atto di cominciare o terminare qualcosa, di trovarsi al limite di un fenomeno. Come una fiamma tremolante, che entra e esce dalla nostra percezione».
Yuán fèn
(Relazione determinata dal destino. Cinese). La fatidica coincidenza delle relazioni: non avvengono per caso, ma dipendono dalle azioni commesse nella vita precedente. Chi si incontra, insomma, lo fa grazie a una innata connessione universale. Lo yuán fèn, scrive Kwang-Kuo Hwang della National Taiwan University, offre una prospettiva in cui inserire i sentimenti negativi, come incidenti nelle relazioni, rendendo così più facile il loro superamento.
Załatwíc
(Risolvere una situazione e sistemare le cose arrangiandosi. Polacco). Nel 1986 l’antropologa Janine Wedel in The Private Poland ha intervistato sociologi ed economisti per descrivere la società polacca, di cui, spiega, załatwíc è una delle parole chiave. E lo è stata soprattutto in passato quando, per ottenere documenti e beni si ricorreva all’aiuto di amici e parenti. Che mettevano a frutto quello che avevano: competenza, relazioni o anche solo fantasia.

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