Alcuni tecno-ottimisti poggiano la loro visione del progresso tecnologico su una profezia di Keynes del 1930: in una lezione che si tenne a Madrid, pubblicata poi in forma di saggio con il titolo Le prospettive economiche dei nostri nipoti, Keynes prevedeva che nel 2030 le macchine avrebbero affrancato l’essere umano dai lavori, tutti i lavori. L’umanità, concludeva l’economista, potrà finalmente dedicarsi alla filosofia e all’arte. Keynes si sbagliava e a salvarci non sarà la filosofia, ma il più prosaico consumismo. Ecco perché: oggi anche gli economisti più prudenti si spingono a dire che ogni robot «mangerà» circa 6 posti di lavoro per cui il rischio, a tendere, sarebbe la disoccupazione di massa.
Questa visione disastrosa non ha supporti economici: ipotizziamo che si arrivi alla produzione di beni e servizi da parte di robot e intelligenze artificiali dato che, per gli imprenditori, ci sarà un sicuro vantaggio netto nell’uso dei capitale-macchina al posto del capitale-uomo. Ipotizziamo anche che si arrivi a una società distopica con disoccupati di massa. A chi verranno venduti prodotti e servizi se gli umani non avranno uno stipendio? II solo reddito di cittadinanza di cui si dibatte non potrebbe comunque sostenere l’attuale mercato a meno che i robot non diventino essi stessi consumisti.
Paradossalmente una società comunista sarebbe più pronta al cambio rispetto al capitalismo che necessita del consumatore. Ps. Se non dovesse funzionare il consumismo esiste sempre il paracadute del contratto sociale. È quello che già facciamo con semafori e limiti di velocità: perché non permettiamo alle automobili di circolare a 200 km orari per le strade cittadine visto che, dal punto di vista tecnologico, lo potrebbero già fare? Per robot e intelligenze artificiali potranno valere le stesse regole: se rischiano di investire gli uomini basterà imporre un limite di velocità.
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