La psicoanalisi deve rinunciare alle sue pretese di scientificità se vuol cogliere le tendenze profonde nella realtà sociale e quanto esse si riflettano sulla dimensione individuale. Miguel Benasayag sostiene questo cambiamento di prospettiva da molti anni. Non nega cioè che la psicoanalisi possa aiutare uomini e donne in forte sofferenza psichica. Più realisticamente, invita a mettere in relazione una tecnica di intervento psicoanalitico a quanto si muove nella società. Usa un lessico mutuato dalla filosofia francese – l’«essere in situazione» di Jean-Paul Sartre, ma anche il Michel Foucault di Storia della follia – da molti anni. È questo il filo rosso che unisce saggi molti diversi tra loro, da L’epoca delle passioni tristi a Oltre le passioni tristi a La salute a ogni costo (i primi libri due pubblicati da Feltrinelli, il terzo da Vita e Pensiero).
È un punto di vista maturato all’interno del suo lavoro di «operatore sociale e psicoanalitico» che svolge in Francia seguendo giovani «a rischio», «ammalati di lavoro», «depressi sociali», ma che assume un «sapore» diverso se applicato al ruolo delle tecnologie digitali nella percezione della realtà, come testimonia il dialogo su Il cervello aumentato, l’uomo diminuito (Erickson). Nel confronto vis-à-vis con la rete, Benasayag sostiene che l’uso immersivo del computer sta amplificando alcune funzioni cognitive del cervello, a scapito tuttavia di quella caratteristica specifica dell’animale umano che è la socialità e la «naturale» attitudine a costruire relazioni con i suoi simili attraverso il linguaggio. Sono questi i temi del suo intervento all’iniziativa «Next. Umano post-umano» in corso a Trieste da ieri (Miguel Bensayag parlerà oggi). L’intervista è avvenuta prima dell’inizio della manifestazione triestina.
Nella prefazione al libro «Il cervello aumentato, l’uomo diminuito», si legge: «Forse la nostra capacità di accettare i limiti umani si è andata a nascondere in una piega della Storia e riaffiorerà in un momento più propizio, forse bisogna solo aspettare che il pendolo temerariamente sospinto in una corsa folle verso l’attuale estremo di egocentrismo assetato di trasparenza e di immortalità, giunto al suo approdo, rioscillerà tornando a una dimensione che abbandoni il farnetico del trans e del post (transumanismo, postumanismo…) per rientrare nell’alveo dell’umano».
Siamo uomini e le donne della crisi, della fine di un mondo, ma dipende da noi fare in modo che ciò non accada. Il mondo che finisce, quello che Foucault chiamava l’epoca dell’uomo, è stato segnato dall’esilio dell’uomo dal mondo e dal suo ecosistema. Si è costruita questa finzione in cui noi eravamo il soggetto di un luogo disincantato che costituiva il nostro oggetto. Era stata dichiarata guerra alla natura, e si doveva vincerla. Ogni costrizione sarebbe dovuta sparire con la promessa che l’uomo, divenuto il proprio profeta e il proprio messia, aveva fatto a se stesso.
La «guerra», come in fondo ciascuna guerra, non ha avuto che vinti, e siamo qui per dire che forse è il momento di finirla con l’esilio, che è il momento di ritornare a essere vivi fra i vivi, come scriveva Prigogine, che è tempo di creare una «nuova alleanza». L’umanesimo, che sembra così bello visto dall’Occidente, è stato il nome del colonialismo. Bartolomeo de Las Casas spiegava che anche gli indiani erano umani, di un’umanità però ancora non realizzata. Realizzare l’umanità è stato il compito del colonialismo, dell’addestramento delle vite dal razzismo fino all’epoca del capitalismo.
La «guerra», come in fondo ciascuna guerra, non ha avuto che vinti, e siamo qui per dire che forse è il momento di finirla con l’esilio, che è il momento di ritornare a essere vivi fra i vivi, come scriveva Prigogine, che è tempo di creare una «nuova alleanza». L’umanesimo, che sembra così bello visto dall’Occidente, è stato il nome del colonialismo. Bartolomeo de Las Casas spiegava che anche gli indiani erano umani, di un’umanità però ancora non realizzata. Realizzare l’umanità è stato il compito del colonialismo, dell’addestramento delle vite dal razzismo fino all’epoca del capitalismo.
La crisi di quel mondo ci lascia la constatazione dura e amara del fatto che ogni guerra contro la natura è né più né meno che un suicidio. In quel momento si sarebbe creduto, un po’ ingenuamente, che la piccola umanità si fermasse un momento per riflettere, per valutare, per fare amicizia con il suo mondo della vita, vivi tra vivi. Contrariamente a quanto credeva Platone, l’uomo è un essere che affonda le sue radici nella terra, fra le altre creature a loro volta territorializzate.
E invece no: nel momento della crisi del modello della dominazione, le cose sono andate diversamente, alla crisi dell’impotenza e alla minaccia ha fatto eco un incontro davvero catastrofico, alla nostra umanità che affondava nella disperazione è giunta una nuova promessa, una nuova tentazione di vincere la natura, di schiacciare qualunque costrizione. Come la colomba di cui parlava Kant, la quale credeva di poter volare molto meglio se avesse eliminato la resistenza dell’aria.
Nell’«Epoca delle passioni tristi» ha reso evidente il fatto che il dilagare di malattie psichiche non riguardi tanto le singole persone quanto piuttosto la società per la deriva in cui è incorsa. Una posizione vicina a quella espressa di Zygmunt Bauman ne «Retrotopia», un volume in uscita Polity Retrotopia. Che cosa suggerisce come via, magari molteplice, d’uscita da questo cul de sac?
I nostri contemporanei sono lanciati in questa nuova avventura di eliminazione di qualunque limite, di qualunque costrizione, di qualunque regolazione organica, e credono che senza regolazioni, senza limiti, la libertà totale ci sia, più che promessa, dovuta.
Ma nella loro fascinazione e nella loro stupidità i nostri contemporanei ignorano appunto la differenza che faceva Kant fra limiti e confini: se i confini possono essere aboliti, i limiti, che possono cambiare, sono la condizione stessa della vita; senza limiti non c’è vita.
Se tutto è possibile, se il mondo post-organico su cui delirano ricercatori e banchieri è possibile, lo sarà sotto il segno della morte e della tristezza.
MEETING A TRIESTE
IL CONFINE TRA L’«UMANO E IL POST-UMANO
«Umano Post-umano» è il tema di Next, il salone europeo della ricerca organizzato dal comune di Trieste, l’università, la Regione Friuli Venezia Giulia, l’Area Science Park e la Scuola Internazionale di Studi avanzati. Con oltre 100 appuntamenti, l’iniziativa vuole esplorare il ruolo delle tecnologia e della robotica nella realtà contemporanea. Dall’«Etica della robotica» allo sviluppo dei Big Data, filosofi, ricercatori e psicoanalisti affronteranno i temi che si sono imposti con la diffusione della Rete e la progressiva automazione del lavoro manuale e intelelttuale. Durante Next, sarà presentato in anteprima del volume «Macchine intelligenti» di John E. III Kelly (Egea edizioni).
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