l distretto di Barking e Dagenham è l’altra faccia di Londra: quella in crisi di identità, vittima della deindustrializzazione, esclusa dai benefici della globalizzazione. Quando si imbocca la metro districandosi tra i grattacieli per uscirne un’ora dopo, l’impressione è quella di aver cambiato città senza accorgersene. Lasciati alle spalle il chiasso dei turisti e la fretta dei lavoratori incravattati, fanno capolino tra la nebbia case a schiera e palazzi di cemento.
Abitata un tempo dalla working class, questa periferia all’estremo nord-est di Londra è lo specchio delle tensioni che agitano il Regno Unito post Brexit. Il 23 giugno 2016, il 62,4 per cento dei residenti di Barking e Dagenham ha votato leave, insieme ad altri tre fra i trentadue settori del puzzle che compone la metropoli londinese. Macchie quasi invisibili sulla mappa monocromatica del voto nella capitale, dove il remain ha trionfato col 60 per cento. «La collera sociale di questo distretto non risale a ieri», spiega Kenneth Smith, professore di sociologia alla Bukinghamshire New University. «Il leave non è altro che la conseguenza di politiche sbagliate, che datano di decine d’anni fa».
Da quando, a partire dagli anni Ottanta, la rumorosa fabbrica di automobili Ford Dagenham non scandisce più il ritmo del quartiere, Barking si è svuotato. Dei 45 mila operai che vi lavoravano, non ne restano oggi che 4 mila. Così le case a due piani in mattoni rossi, meno care degli alloggi del centro, hanno trovato nuovi inquilini. Rose è una di loro. Italiana di origini nigeriane, vive da tre anni in un modesto appartamento di Barking con suo figlio Louis, di diciassette anni. Per tre stanze e una finestra, Rose sborsa con fatica 1.200 sterline al mese facendo di giorno la baby-sitter, di notte la badante. «Siamo partiti perché in Italia non c’è più lavoro per noi», racconta. È seduta ad un tavolino di un McDonald’s e frega le mani infreddolite mentre tira fuori il suo passaporto bordeaux: « Posso rimanere qui perché ho ottenuto la cittadinanza italiana e ora faccio parte anch’io dell’Unione Europea. Come potrei sostenere la Brexit? Ma non essendo britannica, non ho potuto votare, come molti residenti qui». E, abbassando la voce: «Ho capito che nel quartiere aveva vinto il leave quando ho iniziato a percepire il razzismo». Beve un sorso di Pepsi e sospira. «Eppure, mi chiedo, quale inglese lavorerebbe per 7 sterline all’ora? Nessuno, ne sono certa, nessuno».
Se l’estrema destra mangia la sinistra Matthew, le mani ruvide di chi ha una vita da operaio alle spalle, era un convinto sostenitore della sinistra laburista. Al referendum ha votato leave. «Se vi mostrassi una foto di questo quartiere anni fa, non lo riconoscereste. Un tempo queste strade erano curate, ci conoscevamo tutti. Nessuno si occupa mai di venire a vedere qual è la situazione qui, nessuno ci chiede mai che cosa ne pensiamo», si sfoga accendendosi una sigaretta. Lui, uno dei reduci della working class britannica che vivono nel quartiere, dà la colpa all’Unione europea dei mali di Barking e Dagenham che sente vittima della deindustrializzazione e dell’immigrazione. Eppure anche Matthew, dall’accento inconfondibilmente british, che punta il dito contro gli stranieri, da quell’Europa proviene, figlio di genitori polacchi emigrati a Londra negli anni ’60. Se fino al 2006 il partito dei Labour superava il 60 per cento dei suffragi a Barking e Dagenham, in quell’anno la circoscrizione elesse dodici consiglieri del Partito Nazionale Britannico. Per la prima volta, l’estrema destra metteva piede nel fortino della sinistra. Con il suo motto, sempre lo stesso, ovunque lo si proclami: «Local jobs for local workers, local homes for local families».
Il sociologo Kenneth Smith non ha dubbi: «La classe lavoratrice è stata abbandonata e si ritrova oggi senza punti di riferimento. I Laburisti, lontani dalle periferie, non rappresentano più gli operai. La sinistra di oggi è assimilata all’élite, ai fortunati del centro città». Barking e Dagenham è ormai la casa di migliaia di famiglie di lavoratori provenienti da India, Bangladesh, Pakistan e da numerosi paesi africani. A questi si sono aggiunti, a partire dagli anni Duemila, gli immigrati dal Sud e dall’Est dell’Unione europea. Centotrenta comunità diverse convivono nel distretto. Sono loro i migranti contro cui si scaglia la violenta campagna pro Brexit, senza fare differenze. Ma sono loro la nuova manodopera di cui la city ha bisogno. Non più operai, ma camerieri, inservienti, magazzinieri.
Barking non ha perso la sua essenza di quartiere dei lavoratori. «Trasformatosi da città operaia a banlieue multiculturale, il distretto è rimasto ai margini, tagliato fuori dalla corsa alla modernità del centro. È uno scontro tra vincenti e perdenti della globalizzazione», spiega William Outhwaite, l’autore di “Brexit: sociological responses”. Pur con un tasso di disoccupazione del 7,2 per cento - la media della città di Londra è del 4,3 per cento - gli stipendi, a Barking e Dagenham, non sono sufficienti a garantire un livello di vita dignitoso. La fondazione Trust for London, che monitora le disuguaglianze nella capitale, rileva che il 31 per cento dei lavoratori del distretto sono pagati al di sotto di quel minimo salariale necessario in rapporto al costo della vita londinese. Ancora una volta la tentazione è quella di spiegare la vittoria del leave attribuendo all’immigrazione la responsabilità di un disagio sociale che di fatto accomuna tutti gli abitanti del quartiere. Secondo William Outhwaite, il voto al referendum sulla Brexit va letto a partire dalle disuguaglianze sociali. «In molte zone povere, votare leave è stato come un grido di protesta».
Questo piccolo distretto di 200 mila abitanti incarna una serie di fenomeni economici, sociali e politici che vanno ben al di là delle sue strade grigie, riproducendo in scala le tensioni e le contraddizioni di quella stessa Europa da cui il Regno Unito divorzierà il 29 marzo 2019. Nel frattempo, alla stazione della metro, i manifesti scandiscono gli slogan del sindaco laburista Sadiq Khan: «Everyone welcome», «London is open». Ma gli occhi di chi quella strada la percorre ogni giorno non si soffermano a leggere.
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