venerdì 8 luglio 2022

SOCIAL MEDIA ED EFFETTI PATOLOGICI. E. NICOLOSI, Instagram: la cartina tornasole che decostruisce il nostro io, LA REPUBBLICA-ALFEMMINILE, 30-06-2022

 

Attraverso la lente della spettacolarizzazione

Tra tutti i social network, Instagram è il più dannoso. Lo studio è stato pubblicato dalla Royal Society for Public Health e ha ottenuto diffusione e condivisione dal movimento Young Health. Dannoso, perché altera la percezione di sé e della propria vita generando ansia e stress. Tra le maggiori app di networking (Facebook, Snapchat o anche Twitter e TikTok) è il più nocivo per la salute mentale di chi lo utilizza per via del suo core business: i contenuti fotografici.





E pare che proprio questi riescano a provocare in maniera maggiore sentimenti di inferiorità rispetto ad altri tipi di post, video o scritti. Di fatto, e lo studio lo conferma, la piattaforma non è più uno spazio sul quale condividersi e condividere con la propria cerchia di followers ma è diventato uno strumento che, grazie agli hashtag e ai profili pubblici, veicola le immagini ovunque.

È permesso a chiunque cercare e trovare qualsiasi account, si è innescato quindi un meccanismo di corsa alla celebrità e al consenso, fosse anche per i 15 minuti predetti da Andy Warhol. Ed è abitudine, oltre che regola tacita, che per ottenere celebrità e consenso costi quel che costi, va bene anche se la vita raccontata è un fake. E se per creare una vita fake occorre partire dal racconto fotografico di noi stessi, che sia.

La dinamica è infatti quella della spettacolarizzazione di sé: i primi anni c'erano pochi filtri a disposizione che consentivano di giocare con le luci e i colori per migliorare l'effetto generale della fotografia. Oggi i filtri di Instagram letteralmente stravolgono la realtà, dal calice di vino con il tramonto sullo sfondo, fino ai volti e ai corpi che, di “selfie”, ormai hanno ben poco. Sono storie, tecnicamente e letteralmente.

C'era una volta il selfie no filter

C'era una volta il selfie e tanto meglio se nello scatto si era imperfetti o fuori fuoco: significava che il momento che si stava pubblicando era autentico. Oggi quanta differenza c'è tra la persona reale e quella della fotografia postata nel feed o in quella condivisa nelle storie? Quanto è vero quel punto di rosso al tramonto? Quanto è probabile mettersi in quella posa, per caso? Senza un neo, una smagliatura e con un punto vita di dodici centimetri?

Eppure a molte fotografie come questa appena descritta i like arrivano a valanga. Una volta il selfie ci raccontava di concerti, nottate di studio, viaggi, pranzi con gli amici rigorosamente accompagnati dall'hasthag "no filter". Ed era vero: non c'erano filtri se non uno di quei pochi che modificavano i colori delle fotografie, selfie compresi.

Oggi scorrendo il feed si vedono soltanto una marea di foto ritoccate che ritraggono persone sole, il più delle volte dalla professione sconosciuta ma che sembrano sempre molto felici. Tutto è, in una sola parola, impeccabile, filtrato attraverso effetti sempre diversi eppure sempre uguali. La persona è perfetta, lo spazio sullo sfondo sembra rubato a una rivista di arredamento o di viaggi a meno che lo scatto non sia stato fatto sul posto di lavoro che, se noto, viene opportunamente taggato.

La produzione e la visione, con l'infinite scroll, di contenuti tutti identici e che poco si discostano da quello appena descritto, secondo la psicologia provoca in chi li guarda quei sentimenti di inadeguatezza e inferiorità che a lungo andare compromettono la spontaneità. Ed è in questa immensa omologazione che si perde la spontaneità di ciascuno anche nella vita reale in favore della creazione di vite fake. C'è chi è più fragile e chi lo è meno, chi più avvezzo e chi meno, ma la maschera da indossare per nascondere la realtà è li, è pronta all'uso ed è sempre disponibile. Nella sezione dei filtri.

L'io che si frantuma filtro dopo filtro

Ancora studi, ancora ricerche: il dipartimento di Psicologia dell'Università di Padova ha pubblicato i risultati dell'analisi fatta sul rapporto tra donne e Instagram insieme all'Università del Surrey. Uno dei temi affrontati è quello della percezione che le utenti del social network hanno del proprio corpo e si è proceduto con un esperimento.

All’inizio dell’esperimento è stato chiesto alle partecipanti di compilare un questionario pre-esposizione al social che includeva una misura di insoddisfazione corporea. Successivamente, in modo casuale, le stesse sono state invitate a visualizzare uno di quattro possibili video raffiguranti post di Instagram che potevano mostrare immagini di donne in combinazione con commenti sul loro aspetto fisico o commenti neutri riferiti, per esempio, al paesaggio. In un secondo momento, le partecipanti hanno completato i questionari di follow-up circa l’insoddisfazione corporea, l’umore e l’interesse per la chirurgia estetica.

Le giovani donne esposte a immagini sessualizzate hanno riportato una maggiore insoddisfazione corporea rispetto ai livelli pre-esposizione e rispetto alle partecipanti esposte a immagini di donne non sessualizzate. Inoltre, l’insoddisfazione corporea di queste ultime non è aumentata rispetto ai livelli pre-esposizione, indicando, perciò, che la sessualizzazione delle immagini in Instagram è un fattore influente sulla soddisfazione corporea.

E l’International Business Times ha registrato che il numero delle ragazze che ricorre alla chirurgia è crescente perché è una delle ripercussioni dell’uso smodato dei social network. E ancora, l'Osservatorio nazionale di medicina estetica afferma che, nonostante la pandemia, il settore è in crescita costante da cinque anni.

Si chiama “Selfie dismorphia” (dismorfia da selfie) e la persona che soffre di questo disturbo psicologico ha un rapporto malsano e ossessivo con il proprio corpo e con le imperfezioni che percepisce. A lanciare l'allarme definitivo è stata l’American Academy of Facial Plastic and Reconstructive Surgery che ha pure dato al fenomeno questo nome.

Quando ci guardiamo attraverso la fotocamera iper accessoriata di Instagram vediamo una persona diversa da quella che poi troviamo quando ci guardiamo allo specchio. E spesso quella nello specchio è la persona che delle due ci piace meno. Però è quella reale.

L'io che soffre (anche se non lo da a vedere)

È chiaro che moltissimo dell'impatto che Instagram ha sulla vita degli utenti dipende dalla “bolla”, dalla cerchia composta dagli account che ciascuno segue e con cui interagisce. Tanto più politici, divulgativi, sociali o dedicati a hobby e professioni saranno i contenuti tanto meno si entrerà in aperto conflitto con una carrellata di fotografie che ritraggono solo persone di successo, in ambienti di successo, mentre scrivono di roba di successo.

Ma anche nelle bolle più intellettuali le dinamiche di corsa al successo vengono replicate all'infinito. E quindi anche nel migliore dei casi l'Io soffre, si frantuma e si decostrusce. Anche se non lo dà a vedere, anzi.

L'io sembra sempre solido attraverso i filtri di Instagram, filtri veri e propri o anche filtri psicologici di cui l'Io si circonda e che hanno la forma de mobile di design, della festa in piscina, del vernissage in galleria d'arte o perfino del contenuto politico. I dubbi sul proprio valore, sul proprio successo, su ciò che significano per ciascuno questi due concetti vacilla. Inevitabilmente. Perché è un confronto che non cessa mai e che viene riaperto, messo in discussione e rivoluzionato, anche se non vuoi, tutte le volte che sblocchiamo lo schermo dello smartphone. Circa 80 al giorno. Sono 2617 invece le volte che lo tocchiamo solo, per cercare di vedere se abbiamo nuove notifiche.

E se è vero che il concetto di sé si costruisce proprio grazie al confronto con gli altri, occorre che il confronto sia vero e autentico. Senza scorciatoie né plotoni di esecuzione da cyberbullismo.

Ma su Instagram - e sui social in generale - non c'è alcun terreno per il confronto reale. Le conversazioni sono il più delle volte falsate e manipolate perché il contenuto da cui partono è falsato e manipolato, o da chi lo ha creato o dalla percezione di chi lo legge o osserva. Inoltre, chi decide di interloquire sa che a leggere quella conversazione saranno centinaia di persone, perché, banalmente si svolge tra i commenti di un post pubblico.

I filtri cambiano i connotati della persona con cui interagiamo, le sue esperienze sono romanzate, piene di omissis, ristrette o diluite per andare incontro alle esigenze di lunghezza del video o dell'estetica del carosello di fotografie.

Nelle vite di Instagram non sono previsti fallimenti, delusioni, errori, eruzioni cutanee, cellulite, occhiaie. E non tutte le persone riescono a distaccarsi da quella realtà per atterrare sul pianeta terra e vivere, serenamente, i fallimenti, gli errori, la cellulite e le occhiaie.

Vanità e filtri hanno creato un esercito di Narcisi

Osservare ciò che accade nelle bacheche altri significa privarsi del confronto reale ma significa ugualmente paragonarsi, perennemente, con tutta la bellezza fake e seriale prodotta da effetti usati smodatamente sui volti, sui corpi e sugli spazi. Alcuni utenti perciò preferiscono concentrarsi su sé stessi, sulla propria serialità fake. Narciso, che nella letteratura di Ovidio si innamora del riflesso di sé stesso, è il mito che più aderisce agli utenti Instagram di questo tipo.

Accecato dalla bellezza di quel giovane prima ancora di scoprire che l'acqua dello stagno gli rimandava la sua stessa immagine, Narciso era meravigliato che il giovane piangesse quando lui piangeva, sorridesse quando lui sorrideva. Ascoltava tutto ciò che aveva da dire senza parlare mai. Era perfetto (per Narciso).

Così l'utente di Instagram sceglie di guardare ripetutamente il proprio profilo, controlla compulsivamente la presenza di notifiche relative ai propri contenuti, non si cura di cosa avviene altrove, fuori da sé e fuori dalla sua bolla. E come lui molti altri.

L'esercito di Narcisi è un prodotto industriale, che insegue il modello mainstream di bellezza, obbedisce ai diktat sui posti in cui essere, su cosa "devi" indossare e su cosa pensare ma si percepisce come artigianale, unico e meritevole di gloria.

È precisamente al polo opposto rispetto all'iper esposizione ai contenuti altrui che ci fanno dubitare del nostro valore: è l'approccio concentrato su quell'Io che pure traballa e soffre. Ma mentre i primi soffrono perché non potranno rispondere mai a canoni di bellezza creati dalla realtà aumentata, questo Io soffre d'amore per la propria stessa immagine. Un'immagine solitaria ma bellissima, che non ascolta mai e parla sempre. Alla quale si è devoti e alla quale si deve aderire dentro e fuori dalla fotocamera.

E qui, nell'istante in cui si chiude la fotocamera, l'impennata dell'egopatia si scontra con la vita reale e con lo specchio. Qui il mondo personalizzato, pieno degli items "instagrammabili" si scontra con la casa reale, con la fila al supermercato, con l'afa estiva, con il fatto che il più delle volte in garage non c'è una Jaguar. Si scontra con il fatto che il reggiseno nell'armadio ha due taglie di differenza di quello che esiste su photoshop.

Nuove patologie contemporanee

Secondo gli psichiatri la comunità scientifica deve ancora sperimentare i fenomeni clinici che nasceranno in seguito alle app e all'ossessione che, inconsapevolmente, la nostra civiltà sta sviluppando attorno al loro uso.

La dipendenza da internet è una prima nuova patologia comportamentale ed è è necessario separare i casi di dipendenza conclamata da quelli in cui l’abuso di internet sembra avere una valenza diversa e si pone come unica relazione possibile.

Internet di fatto sta mediando un nuovo modo di comunicare e perfino di pensare, per questo "può favorire l’insorgenza di fenomeni clinici destinati a sorprenderci". Esiste già un termine, "social network addiction", per identificare la dipendenza da app di social networking, Si tratta di una serie di comportamenti che ruotano intorno a un interesse assoluto ed eccessivo per i social network a discapito di una sana apertura verso il contesto circostante, che comporta interazioni reali con gli amici reali, avere hobbies e partecipare ad attività sportive e ricreative.

Le relazioni sono quelle virtuali che nascono e si sviluppano su contenuti virtuali e cadenzate dalle notifiche. Alla base della dipendenza da social network (come dei comportamenti dipendenti in generale) c’è "solitamente una personalità caratterizzata da insicurezza, fragilità e da un basso livello di autostima, che impattano anche sulla sfera relazionale. Pertanto, spesso, le relazioni reali sono sostituite da quelle agite sui social network che mediano il confronto reale con l’altro", come scrive il centro di Psicoterapia Milano Psicologo.

Demonizzare le app non ha senso

Il nuovo mondo è fatto di realtà virtuali e aumentate, filtri, lentiggini fake e nasi microscopici, piante rigogliose in appartamenti di design e lavori da sogno. Ma è fatto anche di inclusione, attivismo digitale, divulgazione. Grazie a Instagram si sono sviluppati dei contenitori che colmano le voragini istituzionali e pubbliche sul piano della salute (anche mentale), della cultura e dell'istruzione.

Su Instagram nascono collettivi e movimenti che vogliono migliorare le condizioni del loro territorio e, perché no, dell'intero Paese in cui vivono. Demonizzare i social o disincentivarne l'uso a prescindere dalle modalità con cui vengono utilizzati non ha senso e anzi, può essere dannoso.

Molte persone hanno trovato soltanto in spazi virtuali la possibilità di costruire rapporti di solida amicizia perché il fato le ha fatte nascere in due posti diversi del pianeta, alcune altre hanno potuto sviluppare una coscienza politica, quale che sia la fazione, perché chi fa politica la fa anche sulle piattaforme online postando fotografie e grafiche con i contenuti del suo partito o del suo movimento politico.

Come una società reale, quella che si è creata dentro le app vede intrecciarsi cultura e ignoranza, spessore e superficialità, notizie e disinformazione, ascolto e disonestà intellettuale. Sta poi a ciascuno scegliere come avvalersi di un mezzo straordinario e democratico come questo in cui, paradossalmente, si parla tantissimo di dipendenza da social, di body neutrality e di consapevolezza dell'Io.

Guida pratica all'uso dei filtri nelle stories di Instagram

Una volta aperta l'applicazione di Instagram cliccando sull'icona bisogna cliccare in alto a sinistra dove si trova la nostra immagine del profilo: in questo modo si attiverà la fotocamera e si potranno fare le famose stories: brevi video o foto (dipende da no) che resteranno disponibili per 24 ore. Poi si cancelleranno in automatico.

I filtri "bellezza", quelli comici, horror o quelli dedicati all'intrattenimento possono essere usati infatti soltanto qui, nelle storie di Instagram.In basso si trova il pulsante touch che serve per scattare una foto o, se tenuto pressato, per registrare un video. Occorre premere sul pulsante con il simbolo di due frecce concentriche, che serve a in far ruotare la fotocamera in modo che inquadri noi in modalità selfie (viene attivata la fotocamera anteriore). In basso accanto al pulsante touch si aprirà un menu dal quale si può scorrere tra i diversi filtri, basta fare swipe verso sinistra o verso destra.

Per selezionare un filtro e provarlo in tempo reale basta cliccare su di esso e vedremo il nostro viso trasformarsi grazie ai diversi effetti, per usarlo basta iniziare con la registrazione di un video. Va quindi tenuto premuto il pulsante centrale che adesso sarà quello del filtro che abbiamo scelto. Possiamo poi modificare i colori e luci, aggiungere scritte e perfino musica, link a siti web e gif in movimento. Al termine della creazione si deve premere sul pulsante in alto a destra che riporta la scritta "fine" e ancora dopo quello in basso a destra che ha la forma di una piccola freccia. A quel punto la storia è condivisa con i nostri followers.

Non è tutto. Facendo swipe verso l'alto ma partendo da un filtro si apre un menu a tendina dal quale è possibile cercare altri filtri di Instagram: ne esistono migliaia. Basta cliccare, una volta aperto il menu, sulla lente di ingrandimento e digitare la parola chiave che secondo noi può indirizzarci verso la categoria di nostro interesse e partire con la ricerca: "make up", "netflix" o ancora "cartoons".

Non è necessario aggiungere manualmente i filtri che ci piacciono e che intendiamo utilizzare in futuro, basta provarlo e si creerà in automatico un menu personalizzato che ci mostrerà direttamente sull'app gli effetti di nostro interesse, li possiamo trovare dove avevamo trovato i filtri predefiniti, accanto al pulsante per scattare o registrare. Esistono poi dei tool per migliorare o modificare le foto che andranno a finire sul feed o sulle stories.

Per la creazione di filtri personalizzati da usare nei video che andranno nella "storia" sono state create delle applicazioni cosiddette "di terze parti", per gli scatti che saranno postati nel feed invece ci sono photoshop o Adobe Lightroom, entrambi molto utili per l'editing delle immagini e che consentono di preparare i preset (cioè le correzioni predefinite).



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