Mettere in discussione la preposizione «tra» vuol dire generare punti interrogativi su come si formano le relazioni, particolarmente in contesti, come l’America Latina, dove equilibri e squilibri dal punto di vista del potere non lasciano il «tra» al di fuori di forti e profonde inquietudini e aneliti di libertà.
Abya Yala è il nome dato a una terra da chi legittimamente le appartiene: una terra «tra» due fuochi: quello incendiario degli invasori e il focolare dei popoli a cui la terra è stata sottratta, espropriata, delegittimando tradizioni millenarie e lo stesso senso di vivere in comunità. Una delle strategie per colonizzare è cambiare il nome che si danno alle cose, alle terre. Ricordare i nomi originari è una questione di resistenza; ecco perché Abya Yala dà il nome al libro curato da Mariateresa Muraca (L’altra intercultura. Visioni e pratiche politico-pedagogiche da Abya Yala al mondo, Multimedia, pp. 170, euro 20) e ci richiama al diritto a un’esistenza degna, a quel buen vivir – semplice e complessa armonia con e tra esseri umani e natura – davvero faticosa in un mondo infestato da pesticidi, agrotossici, agrobusiness, speculazioni, interessi del capitale sempre più aggressivi e in pieno conflitto con le cosmovisioni dei popoli dominati.
LE AGGRESSIONI e gli abusi nelle terre come quelle Yanomami in Brasile sono sempre più scioccanti. Invasioni, assassini, violenze sessuali, crimini commessi da latifondisti, miliziani, garimpeiros – cercatori d’oro, multinazionali restano spesso impuniti. La tragica notizia della morte dell’attivista e ricercatore della causa indigena Bruno Pereira e del giornalista britannico Dom Phillips, «misteriosamente scomparsi» in Amazzonia, conferma che è in atto una brutale violenza sistematica. Bolsonaro difende la cessione dei territori indigeni ad attività minerarie, alle monocolture estensive, sostenendo che «gli indios sono poveri in un territorio ricco» e rendendosi così politicamente complice dei crimini.
GLI SCRITTI di Vera Maria Ferrão Candau, Catheris Walsh, Ochy Curiel Pichardi, Reinaldo Fleuri, Juan Lopez Intzin, Julieta Paredes, organizzati e tradotti da Mariateresa Muraca, ci mettono di fronte alla necessità di scalfire il muro dell’indifferenza facendo emergere questioni critiche sulle rappresentazioni di popoli indigeni e afrodiscendenti dei processi interculturali, sul ruolo di parole e immagini nei processi di dominio.
Torniamo ad Abya Yala, al potere dei nomi che diamo alle cose, a visioni armoniche di sistema di esseri viventi, animali, vegetali, minerali continuamente minacciate dal (dis)ordine del capitale, ma che sopravvivono mediante traduzioni di significazioni, segni e sensi di cui questo libro si fa portatore.
QUEL «TRA» DIVIENE così una scomoda situazione-limite che ci invita a prendere posizione nei confronti di un sistema epistemico e politico ancora presente nella cultura ufficiale che vuol fare dell’intercultura un discorso astratto, affidato a vuoti artifici retorici, piuttosto che pratica politica di resistenza dei popoli oppressi.
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