Ogni promessa è debito. Quando venne lanciato, promisi che ne avrei scritto solo quando sarebbe diventato operativo. Ci sono voluti sette mesi dal lancio, molta attenzione, grandi paure, la gusta dose di fortuna, ma ora ci siamo. Il Webb, attenzione con due b: non si tratta della rete, ma del telescopio spaziale più potente di sempre. Prende il nome da James E. Webb, già sottosegretario di Stato e soprattutto secondo direttore della Nasa negli anni 60, durante i programmi Mercury, Gemini e i primi lanci Apollo. Dopo avere viaggiato per milioni di chilometri e avere raggiunto il suo punto di parcheggio, dopo essere stato verificato, messo a punto, fatto le foto necessarie per la calibrazione e prova degli strumenti di bordo è ora a disposizione della comunità scientifica.
Le sue prime foto sono state presentate al mondo il 12 luglio scorso. A dire il vero la prima – ha richiesto 72 esposizioni su un periodo di 31 ore, che ha registrato luce generata 14 miliardi di anni fa, all’alba dell’universo, l’ha presentata lunedì 11 il presidente Joe Biden in persona, ammantando un evento scientifico di eccezionale importanza con la solita copertina di retorica per le masse. La collaborazione internazionale che ha prodotto il telescopio -Nasa, Agenzia Spaziale Europea e Canadian Space Agency rappresenta – ha dichiarato – il modo con cui “l’America guida il mondo”. Da verificare se i direttori delle tre agenzie sopracitate siano d’accordo, per non parlare dei responsabili dei 258 soggetti, fra agenzie governative e aziende, coinvolti. 142 in Usa, 104 in 12 paesi europei, 12 in Canada.
Biden poteva anche evitare di definire il telescopio Webb “miracoloso”. Vero che non è lui a scriversi i discorsi, però potrebbe selezionare meglio i suoi collaboratori. Non c’è nulla di miracoloso relativo al Webb. I miracoli sono appannaggio del buon Dio. Il James Webb Space Telescope (JWST) è il risultato del lavoro di circa 20mila persone fra scienziati, ingegneri e burocrati, che hanno realizzato un progetto partito nel 1996 che prevedeva il lancio per il 2007 e avvenuto a fine dicembre 2021. Solo 14 anni di ritardo, il che la dice lunga sulle difficoltà incontrate. Il costo, dai 500 milioni di dollari previsti inizialmente, ha finito per lievitare fino a circa 10 miliardi di dollari. Saranno stati bravi come progettisti, ma per quanto riguarda le previsioni di spesa proprio no. In tutto ci sono voluti 52 anni, un tempo che trova suoi analoghi nella costruzione delle cattedrali medievali, quando non bastava una vita per completarle.
JWST è un telescopio il cui specchio principale del diametro di 6,5 metri è un mosaico composto da 18 specchi esagonali in berillio placcato oro. A titolo di confronto, lo specchio del telescopio Hubble, che nei suoi trent’anni di onorato servizio ha rifondato l’astronomia spaziale, ha uno specchio di 2,4 metri di diametro.
JWST raccoglie la luce con una superficie circa 6 volte quella dello Hubble e lo fa osservando nelle frequenze che vanno dal rosso visibile al medio infrarosso (0.6–28.3 μm). Presenta il grande vantaggio di potere penetrare nelle nuvole di polvere cosmica che avvolgono i reparti maternità dove nascono le stelle. Si riescono a vedere le neonate, come se fossero all’interno di una bolla trasparente. Lo si può fare solo nello spazio. La radiazione infrarossa viene bloccata dall’atmosfera. Hubble non può farlo perché è progettato per vedere negli spettri del vicino ultravioletto, del visibile e vicino infrarosso. (0.1–1.7 μm).
Per rilevare segnali anche molto deboli, JWST lavora a temperature estremamente basse, sotto i 50 Kelvin (−223 °C), così da filtrare le interferenze generate da altre sorgenti di energia termica. Per quelle particolarmente intense, ovvero Sole, Terra e Luna, possiede un sistema di ombreggiamento per proteggersi dal calore emesso dal Sole, Terra e Luna. Il suo parcheggio è nelle vicinanze del punto di Lagrange Sole-Terra L2 posto a circa 1,5 milioni di chilometri dall’orbita della Terra rispetto al Sole. A titolo di confronto, Hubble orbita a 550 km dalla Terra mentre la Luna è più o meno a 400mila km dalla Terra. Breve digressione. Nella meccanica celeste, i punti di Lagrange sono punti di equilibrio per oggetti di piccola massa sotto l’influenza di due grandi corpi celesti. Sono spazi di sosta eccellenti, perché richiedono poche correzioni per mantenere la posizione desiderata. Ci sono cinque punti di Lagrange, da L1 a L5, per il sistema Sole-Terra; in modo simile ci sono cinque diversi punti di Lagrange per il sistema Terra-Luna. Fine della digressione.
La posizione effettiva del JWST varia fra i 250mila e gli 832mila chilometri dal punto L2. In termini tecnici si dice che è in una Halo Orbit. Il punto L2 orbita intorno al Sole e Jswt percorre una specie di orbita periodica, tridimensionale, intorno al punto L2 che orbita intorno al Sole. Quindi Jswt orbita intorno al Sole e “oscilla” nelle vicinanze al punto L2. I puristi mi lapideranno per l’approssimazione della descrizione, ma non riesco a fare di meglio per raccontare questa magnifica danza diretta da forza di gravità, forza centrifuga e forza di Coriolis.
Un oggetto nelle vicinanze del punto Sole-Terra L2 orbita intorno al Sole in sincronia con la Terra, consentendo al telescopio Webb di avere distanza e orientamento rispetto a Sole, Terra e Luna quasi costante. Ciò consente di proteggere il telescopio dal calore e luce proveniente dai tre corpi celesti suddetti, annullando i cambiamenti di temperatura originati dalle ombre di Terra e Luna che possono modificare le caratteristiche dimensionali della struttura del telescopio. Si garantisce anche la costanza del flusso di energia solare, che opportunamente convertita, alimenta il telescopio e le sue apparecchiature di contorno. Inoltre ci si trova a una distanza dalla Terra relativamente breve, il che migliora la trasmissione dati. Fortuna che ci sono i punti di Lagrange…
Il James Webb Space Telescope ha quattro obiettivi di ricerca: 1) captare la luce delle prime stelle che si sono formate dopo il Big bang; 2) studiare le galassie e il loro processo di formazione; 3) comprendere la formazione e l’evoluzione delle galassie; 4) studiare i sistemi planetari e l’origine della vita. Ce n’è abbastanza per i prossimi decenni per astronomi e astrofisici in servizio permanente effettivo. Ancora una volta sarà attività di ricerca congiunta, condivisa, che ci rende un pochino migliori.
Se volete vedere le prime immagini del Webb, cliccate qui. C’è molto altro da raccontare, ma non ho più spazio per farlo ora. Ci torneremo su. Promesso.
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