Forse non è nostalgia per la quarantena in sé, ma per l’illusione di un mondo che per un attimo sembrava essersi fermato, permettendoci di vedere cosa c’è oltre il ciclo infinito di lavoro e consumo.
Negli ultimi tempi sempre più persone pubblicano sui social contenuti più o meno seri che di fatto restituiscono la nostalgia per il periodo di quarantena vissuto durante la pandemia da COVID-19. Un sentimento che ad alcune persone può sembrare surreale e controintuitivo ma che invece è più condiviso di quanto si possa pensare.
La nostalgia della quarantena come resistenza alla frenesia
Durante il lockdown del 2020 la società globale ha sperimentato una pausa forzata dalle routine quotidiane. Le strade si sono svuotate, gli impegni sociali sono stati annullati e molte persone hanno dovuto occupare il tempo dedicandosi ad attività intime e domestiche come cucinare, leggere, risistemare la casa, chiacchierare con amici in videochiamata o semplicemente riposarsi. Questa sospensione dalle pressioni esterne ha permesso a tantissima gente di riscoprire - ritrovare - ritmi più umani e concedersi perfino qualche momento di introspezione. Ora, con il ritorno alla cosiddetta "normalità", alcuni guardano a quel periodo con una certa nostalgia, ricordando la semplicità e la calma che caratterizzavano quei giorni.
Diciamo subito però che a ricordarle a posteriori le cose sembrano spesso più belle di quanto non fossero. Nel senso, è facile che a provare nostalgia per quei mesi di lockdown sia anche chi li ha vissuti malissimo, tra il giustificato terrore per un futuro del tutto incerto e mental breakdown per un presente di panico, fatto di costrizioni imposte dall'alto e ovviamente il dolore di essere circondati da morte e malattia.
la questione del tempo: dal 2021 scorre più velocemente?
Un'altra sensazione condivisa e legata alla questione della nostalgia è quella rispetto al tempo che letteralmente corre. Molte persone hanno riferito di avere la sensazione che il tempo scorra molto più rapidamente e si tratta di fenomeno che ha diverse spiegazioni psicologiche e neurologiche, legate alla percezione soggettiva del tempo, alla saturazione degli impegni post-pandemia e ai cambiamenti nella nostra routine cognitiva e sociale.
Il tempo sembra scorrere più velocemente perché il periodo della quarantena è "più lungo" nella nostra memoria rispetto alla sua durata effettiva. La combinazione di routine ripetitiva, l'isolamento fisico e una ridottissima esposizione a nuovi stimoli ha creato un effetto noto in psicologia come teoria della compressione del tempo: quando il nostro cervello sperimenta meno eventi nuovi, il tempo vissuto sembra scorrere lentamente. Al contrario, i mesi successivi alla pandemia sono stati caratterizzati da una rapida ripresa delle attività, con una sovrabbondanza di stimoli e impegni che hanno modificato la nostra percezione temporale.
L'aumento della digitalizzazione - dovuta alle innovazioni nate proprio durante ia pandemia - è stato abbracciato senza essere problematizzato, con il risultato di una vita ancora più frammentata e frenetica di quanto non fosse pre lockdown. Tutto ciò ha portato a un fenomeno noto come compressione temporale: quando siamo impegnati in molte attività e riceviamo tanti stimoli, il nostro cervello registra il tempo in modo molto meno dettagliato: le giornate si susseguono senza eventi "unici" che fungano da ancoraggi temporali. Questo è il motivo per cui, se ci fermiamo a riflettere, fatichiamo a distinguere un giorno dall’altro, e ci sembra che i mesi stiano volando.
stavamo meglio quando stavamo peggio?
È importante prima di tutto notare che la nostalgia per la quarantena non è universale. Molti hanno vissuto quel periodo con ansia, isolamento e fortissime preoccupazioni economiche. Per altri ha rappresentato un momento di pausa da una vita schiacciante, una parentesi in cui hanno potuto riscoprire sé stessi e le proprie passioni. Questo dualismo evidenzia la complessità delle esperienze umane e come eventi globali possano essere percepiti in modi profondamente diversi a livello individuale.
Ma c'è dell'altro. Se oggi molte persone provano nostalgia per la quarantena, non è perché dimenticano le sofferenze e le paure di quel periodo, ma perché il mondo in cui siamo tornati a vivere è un sistema immondo, fatto di iper-produttività, competizione e sfruttamento del tempo come risorsa da monetizzare. Durante il lockdown, per quanto fosse un’esperienza drammatica, abbiamo avuto una pausa forzata che ci ha allontanati, volenti o nolenti, dalle dinamiche della società tecnocapitalista. Il lavoro si è rallentato quando non stoppato del tutto, gli spostamenti si sono ridotti come i doveri quotidiani, e abbiamo riscoperto il valore del tempo vissuto senza l’ossessione della produttività. Abbiamo capito che esisteva un modo diverso di stare al mondo fatto di lentezza, introspezione e connessioni autentiche.
Ma appena il lockdown è finito, ci siamo ritrovati immersi in un sistema ancora più aggressivo di prima, dove il tempo non ci appartiene, dove la performance è tutto e dove il riposo viene visto come una colpa. La normalità a cui siamo tornati non è un ritorno alla libertà, ma alla sottomissione alle logiche della produttività senza fine.
Quella nostalgia non è davvero per la quarantena in sé, ma per l’illusione di un mondo che per un attimo sembrava essersi fermato, permettendoci di vedere cosa c’è oltre il ciclo infinito di lavoro e consumo. Ma il sistema ha reagito, e ci ha risucchiati con ancora più forza, trasformando la pausa pandemica in un’anomalia da dimenticare. Allora forse questa nostalgia ci impone di chiederci se dobbiamo aspettare una crisi globale per vivere un tempo che sia davvero nostro.
Nessun commento:
Posta un commento